Alcune osservazioni sulla tristissima vicenda Vada Sabatia
[Di seguito un commento di Beppe Berruti]
La prima è che non si tratta di casi isolati, violenze su anziani istituzionalizzati, violenze su disabili, violenze persino su bambini un po’ più difficili in asilo nido, ne abbiamo lette (e viste, purtroppo) abbastanza di frequente. Certo poi si può sempre dire che appartengono alla psicopatologia delle singole persone, ma credo ci debbano interrogare sulla violenza delle relazioni, sull’intolleranza verso i più deboli, su come questa organizzazione sociale risponda alle necessità di cura che nuclei familiari piccoli, isolati, in difficoltà economica, non riescono a sopperire.
Poi ci si chiede come episodi del genere possano protrarsi per tempi lunghi senza che nessuno se ne accorga. Clima mafioso e omertoso all’interno dell’istituzione, certamente, timore di perdere il posto di lavoro in tempi così grami, ma anche nessun controllo sociale: né istituzionale, da parte degli organi preposti, politici e tecnici, né informale (parenti, visitatori, fornitori, vicini, manutentori). Il manicomio era celato dalle sue mura ed era “autarchico”, queste strutture no. Possibile che nessuno abbia mai percepito un certo clima, che nessuno abbia mai pensato che erano anche “affari suoi”?
Poi ancora mi è venuta la curiosità di capire di chi è il Gruppo Segesta che opera anche a Milano, e così vedo che appartiene ad una grandissima multinazionale dell’istituzionalizzazione, soprattutto degli anziani, francese e quotata in borsa, frutto della fusione di due gruppi Korian-Medica: 29.480 letti in Francia, 15.709 in Germania, 6.494 in Italia e 5.481 in Belgio. (da Corriere della Sera economia 18/11/2013). Alla faccia delle pratiche anti-istituzionali!
E ancora, non è necessario ripensare a come si va declinando l’assistenza psichiatrica, con un servizio pubblico, che si può criticare per tanti aspetti, ma che è sempre più svuotato dalle varie spending review, dai pensionamenti non sostituiti, e nel contempo schiacciato dalla marginalizzazione e psichiatrizzazione di nuove fasce di popolazione (disoccupati, immigrati, poveri in genere)? E come vengono formati i nuovi psichiatri (pochi!) nelle cliniche universitarie, che strumenti culturali hanno per confrontarsi con problemi così complessi che li aiutino a non diventare cinici o a trincerarsi dietro pratiche difensive.
E le varie legislazioni regionali come supportano la cronicità o le persone rimaste, anche per ragioni età, senza supporti familiari, se non disegnando percorsi trans-istutuzionali, alla ricerca di un contenimento della persona e della spesa, più che di una risposta adeguata a bisogni abitativi e di vita, che contemplino anche sostegno e cura?
Gli operatori violenti pagheranno, come è giusto. Spero paghino anche coloro che dirigevano la struttura e che se non si sono mai accorti di un certo clima, se non di fatti concreti, si sono dimostrati almeno poco capaci, ma se questi temi non diventano, come in altri tempi sono stati, argomento di discussione allargata, politica nel senso alto della parola, casi del genere torneranno. E soprattutto torneranno pratiche di istituzionalizzazione massiva.
Io penso spesso che tutto quanto abbiamo visto e letto sulla Shoah non ha impedito la pulizia etnica nella ex-Jugoslavia, con gli olandesi che hanno girato la testa, lo sterminio dei Tutsi e tutti gli orrori di cui leggiamo sui giornali. Non sono pessimista, ma credo non si possa mai dare una battaglia per vinta e abbassare la guardia, non basta che chi c’era trasmetta la memoria, bisogna confrontarsi con l’oggi e non solo sul sadismo, sempre possibile in certi contesti, ma sulle pratiche sociali nei confronti della popolazione debole e sui diritti.