L’afantasia è una condizione neuropsicologica ancora poco conosciuta, ma che sta attirando crescente interesse da parte di psicologi e neuroscienziati. Si tratta dell’incapacità – totale o parziale – di generare immagini mentali. Chi ne è affetto non riesce a “vedere con la mente”, cioè a evocare visivamente oggetti, volti, paesaggi o scene, neppure quando tenta volontariamente di farlo. Una realtà sorprendente, soprattutto perché molti scoprono di avere l’afantasia solo in età adulta, confrontandosi con gli altri e rendendosi conto che la capacità di “visualizzare” mentalmente non è uguale per tutti.
Ma cosa comporta davvero vivere senza immagini mentali? E quali sono le implicazioni psicologiche di questa condizione? Capirlo significa esplorare in profondità i meccanismi della mente umana, spesso ancora misteriosi e affascinanti.
Il significato di afantasia
Il termine “afantasia” è stato coniato nel 2015 dal neurologo Adam Zeman, ma la condizione era già stata descritta nel XIX secolo da Francis Galton. Deriva dal greco “a-” (privativo) e “phantasia” (immaginazione), e indica appunto l’assenza di immagini mentali.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non si tratta di un deficit cognitivo generalizzato. Le persone con afantasia possono avere un’intelligenza nella norma o superiore, una vita emotiva ricca e un’ottima memoria concettuale. Quello che manca è la componente visiva dell’immaginazione: se chiediamo loro di immaginare una mela rossa, sapranno descriverla concettualmente, ma non la “vedranno” con gli occhi della mente.
L’afantasia si presenta come un continuum. Alcune persone hanno una totale assenza di immagini mentali (afantasia completa), altre ne hanno una forma più lieve o parziale, e altre ancora sperimentano immagini visive solo durante il sonno, nei sogni.
I sintomi principali
Poiché l’afantasia riguarda una sfera molto intima e soggettiva, spesso non viene percepita come un “sintomo” vero e proprio. Tuttavia, vi sono alcuni segnali che possono suggerirne la presenza:
- Incapacità di visualizzare volti, luoghi o oggetti anche familiari;
- Ricordi privi di componenti visive, spesso descritti come concetti astratti o parole;
- Difficoltà nel rievocare visivamente sogni o immaginare situazioni future;
- Scarsa tendenza alla fantasia visiva durante la lettura narrativa o la meditazione guidata;
- Sensazione di “vuoto visivo” quando si tenta di immaginare qualcosa.
In genere, le persone con afantasia scoprono la loro condizione in modo casuale, ad esempio partecipando a test sull’immaginazione visiva o discutendo con altre persone che raccontano in modo vivido le loro immagini mentali.
Come si manifesta nella vita quotidiana
L’afantasia può avere effetti significativi, ma anche molto diversi, a seconda della persona. Alcuni vivono questa condizione con naturalezza e senza alcun disagio, altri invece riportano difficoltà in attività che richiedono l’uso dell’immaginazione visiva.
Tra le esperienze comuni segnalate da chi ha l’afantasia troviamo:
- L’impossibilità di rievocare visivamente persone care scomparse;
- Difficoltà nello studio, soprattutto quando richiede la memorizzazione di mappe, grafici o schemi;
- Minore coinvolgimento emotivo durante la lettura di romanzi o la visione di film;
- Tendenza a sviluppare strategie alternative, come l’uso della memoria verbale o logica.
Non va però trascurato un aspetto interessante: molti afantasici si dimostrano creativi e intuitivi, ma attingono a modalità diverse dall’immaginazione visiva. Alcuni sono ottimi scrittori, musicisti o analisti, segno che l’immaginazione non si riduce solo all’immagine mentale.
Le cause: tra neuroscienze e psicologia
Le cause dell’afantasia non sono ancora del tutto chiare. Le ricerche neuroscientifiche hanno tuttavia evidenziato alcune ipotesi interessanti. Studi di neuroimaging mostrano una minore attivazione della corteccia visiva nei soggetti afantasici durante compiti di immaginazione visiva. Si pensa che possa esserci una disconnessione tra le aree frontali (che generano il comando di immaginare) e le aree posteriori (che elaborano le immagini).
Dal punto di vista psicologico, l’afantasia può essere presente fin dalla nascita (forma congenita) oppure svilupparsi in seguito a traumi cerebrali, lesioni neurologiche o eventi psicologici particolarmente intensi (forma acquisita).
Due sono le principali tipologie identificate:
- Afantasia congenita: presente fin dall’infanzia, spesso identificata solo in età adulta.
- Afantasia acquisita: conseguenza di traumi cerebrali o eventi psicologici, può manifestarsi improvvisamente anche in individui che prima avevano normali capacità di visualizzazione.
Afantasia e mondo interiore: è possibile sognare senza immagini?
Una delle domande più frequenti riguarda la vita onirica delle persone con afantasia: sognano anche loro? E se sì, in che modo?
Le risposte sono varie. Alcuni afantasici riportano sogni privi di immagini, fatti di suoni, parole o emozioni. Altri riferiscono sogni visivi, ma con immagini più sfocate o meno intense rispetto alla norma. Questo suggerisce che la produzione onirica e l’immaginazione volontaria siano processi parzialmente separati a livello cerebrale.
Un aspetto interessante è che molte persone con afantasia scoprono solo grazie a queste differenze di non “immaginare come gli altri”. Questa consapevolezza può generare disagio, ma anche curiosità e desiderio di esplorare meglio la propria interiorità.
Conseguenze emotive e adattamenti cognitivi
Chi vive con afantasia spesso sviluppa strategie cognitive alternative, utilizzando maggiormente il pensiero verbale, la logica o la memoria episodica non visiva. Non è raro che alcuni afantasici siano particolarmente abili nella matematica, nella filosofia o nella scrittura analitica, settori dove l’immagine mentale non è centrale.
Dal punto di vista emotivo, le conseguenze possono variare:
- Alcuni provano una sensazione di “mancanza” o tristezza, specialmente nei momenti di nostalgia o ricordo;
- Altri, invece, non vivono alcuna sofferenza e ritengono semplicemente di funzionare in modo diverso.
In entrambi i casi, la consapevolezza della condizione può rappresentare un’opportunità per conoscersi meglio e valorizzare i propri punti di forza, superando la visione patologica dell’afantasia.
Conclusione: un diverso modo di immaginare
L’afantasia non è una malattia, ma una variante del funzionamento mentale umano. Comprenderla significa allargare la nostra idea di immaginazione, accettando che essa possa esprimersi anche senza immagini. In un mondo sempre più visivo, in cui l’immaginazione è spesso associata alla rappresentazione mentale, riconoscere e legittimare la diversità dell’esperienza interna può rappresentare un passo importante verso una psicologia più inclusiva.
Chi ha l’afantasia non è privo di fantasia: semplicemente, la vive con altri sensi, altre forme, altri codici. Ed è proprio questa pluralità a rendere la mente umana tanto complessa quanto affascinante.