Vaso di Pandora

A proposito di guerra: i pescibanana

I pescibanana hanno delle abitudini molto singolari. Molto, ma molto singolari. (…) E’ una vita molto tragica, la loro, poveretti (…) nuotano dentro una grotta dove c’è un mucchio di banane. Sembrano dei pesci qualunque, quando vanno dentro. Ma una volta che sono entrati, si comportano come dei maialini. Ti dico, so da fonte sicura di certi pescibanana che, dopo essersi infilati in una grotta bananifera, sono arrivati a mangiare la bellezza di settantotto banane (…) Naturalmente, dopo una scorpacciata simile sono così grassi che non possono più venir fuori dalla grotta. Non passano dalla porta(…)Muoiono. Ecco, gli viene la bananite. E’ una malattia terribile.

Un giorno ideale per i pescibanana è un racconto breve di J.D. Salinger pubblicato in origine nel gennaio del 1948 dal New Yorker.

Gennaio 1948. La Seconda Guerra Mondiale è terminata nel settembre del 1945.  

Salinger, americano, alla Guerra ha partecipato. Sul fronte europeo, prendendo parte allo sbarco in Normandia.

Il racconto si apre su una giovane donna, in una camera di albergo, la ragazza della 507, sola, che sfoglia una rivista femminile, lava il pettine e la spazzola, si strappa due peli con le pinzette, si lacca le unghie. Una ragazza che non lascia le cose a metà, scrive Salinger, qualsiasi cosa, per un campanello. Che squilla. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei volte. Risponde al telefono. Dall’altra parte la madre, con un’ansia incontenibile.

Scopriamo che la ragazza si chiama Muriel Glass, è in vacanza in Florida e non è sola, con lei il marito Seymour. Sale l’ansia. La madre è preoccupata: quell’uomo non dovrebbe guidare perché fa scherzetti con gli alberi, si rivolge a Muriel usando appellativi impronunciabili, Miss Puttana Spirituale del 1948, oltre a chiedere alla nonna progetti per le vacanze eterne.

Dalla telefonata tra madre e figlia otteniamo altre informazioni: Seymour ha partecipato alla guerra e la moglie lo ha aspettato. Ma lui, da quando è tornato, non è più lo stesso di prima. È pericoloso, potrebbe perdere il controllo. Per quello uno psichiatra dice alla madre di Muriel che l’esercito non avrebbe dovuto dimetterlo.  

Ma Muriel non si mostra preoccupata, parla delle scottature provocate dal sole.

E in noi che leggiamo sale l’ansia e ci chiediamo se Muriel è ingenua o superficiale. Lei non ha paura di Seymour, delle sue stranezze: per lei la guerra è passata, e dunque tutto è passato. Il consumismo è appena nato, pieno di promesse, e ora si può vivere una normale vita da coppia borghese.

Ma l’inquietudine è lì.  

Seymour intanto è sulla spiaggia, sdraiato sulla sabbia con l’accappatoio addosso a nascondere un tatuaggio che non ha (forse una ferita di guerra?). Lo avvicina la piccola Sybil: lei mostra di non avere paura di lui, ma noi continuiamo a non sapere se fidarci, contagiati dal timore della mamma di Muriel e preoccupati dal superficiale, ottimismo di Muriel stessa. Ma Seymour è amabile con la bambina, fanno il bagno insieme per cercare di avvistare i pescibanana. Il gioco è del tutto innocente, anche se non c’è niente di più fallico di una banana. E quindi, temiamo che qualcosa accada.

Un brivido di incertezza ci coglie quando il giovane uomo stringe le caviglie della bambina, quando i due si fanno vicini. È un continuo passare dal temere che lui perda il controllo com’era stato annunciato, a rilasciare la tensione perché nulla accade.

Ma tra le righe, Seymour ci fa comprendere che molte cose gli sono accadute, che le tigri erano tante. E non si fermavano mai.

Poi lui rientra in albergo e prende l’ascensore con una donna che gli guarda i piedi. Lui ne è convinto. E allora glielo dice, e lei se ne va. E la parola stravaganza, con cui Salinger descrive il suo protagonista, diventa per chi legge la conferma di un timore: non si tratta di stranezza, ma di persecutorietà. Anche se la scrittura lascia intendere che possa essere uno scherzo, che a Seymour piaccia mettere in difficoltà.

Siamo sempre più vicini alla verità: Seymour sta male. Oggi gli verrebbe diagnosticato un disturbo post-traumatico da stress. La guerra lo ha segnato. Nel profondo. 

Lui entra nella 507, sente gli odori delle valige e dell’acetone per le unghie, vede la ragazza addormentata, che volutamente lo scrittore non chiama la moglie, nemmeno Muriel, per acuire il senso di estraneità dell’uomo, che prende da sotto una pila di magliette una Ortgies calibro 7.65, si siede sul letto libero e si spara alla tempia.

Fine.

In quella superficiale normalità in cui la moglie desiderava che lui rientrasse, in quella vacanza in Florida che erano soliti fare, in quel prima della guerra, Seymour non è stato in grado di rientrare.

La guerra è anche questo. Miete vittime prima, durante e dopo. Continua ad esercitare la sua forza devastatrice anche tra coloro che si ritengono i vincitori di uno scontro contaminato dall’assoluto patriottismo, che a tanti fa gola.

Il racconto di Salinger ci parla dell’impossibilità di comunicare per una persona che l’esperienza traumatica della guerra l’ha vissuta, e che non si sente più come prima, non si sente più nella relazione con gli altri che la guerra non l’hanno vissuta.

I corpi vengono massacrati, la psiche viene mitragliata.

Nessuna delle persone che Seymour ha accanto riesce a cogliere il problema fino in fondo: sua moglie si trincera dietro quel – va tutto bene-, che serve a rassicurare sua madre, ma anche se stessa; i suoceri si preoccupano per la figlia, nient’altro. Seymour riesce a parlare soltanto con una bambina. E con la metafora dei pescibanana, Salinger-Seymour, ci mette in contatto con quello che pensa della guerra: come i pescibanana, gli uomini sono ingordi, così ingordi che mangiano tutto quello che trovano, si gonfiano, ma non pensano alle conseguenze, perdono completamente senso e misura al punto da non poter più uscire dalla grotta. Il pescebanana è la rappresentazione dell’ingordigia, in cui ci si trova immersi per via delle proprie posizioni. Si assume un’inflessibilità tale da non riuscire più a venirne fuori. E ci si condanna alla fine. Una fine stupida.

La bananite è la più terribile delle malattie.

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Commenti su "A proposito di guerra: i pescibanana"

  1. Immagine metaforica appropriatissima, quella dei pesci banana. Ma la domanda più inquietante è: potremmo non essere pesci banana? Ce lo dobbiamo chiedere in momenti di tragedia come questo: tragedia perfino al di là del tanto sangue che scorre, perchè la guerra ci appare a un tempo impossibile e inevitabile (cerchiamo un instabile compromesso con guerre localizzate e in qualche modo limitate: durerà?).
    L’apologo dei pesci ci mostra il ruolo centrale dell’insaziabilità del desiderio: vedi la “mancanza ad essere” lacaniana. E’ questa che ci fa umani, con la nostra spinta a cambiare, ad acquisire sempre qualcosa di più e di diverso: spinta che ci ha fatto scendere dagli alberi lasciandovi i pacifici gorilla, “and all that sort of things”. Ma anche ci porta a scontrarci fra noi con mille pretesti, sollecitati dalla avidità (non solo nell’assetto capitalistico borghese!). E’ per questo, credo, che in tutta la nostra storia il crollo (sempre violento) di un ingiusto squilibrio di forze e di benessere non è stato mai sostituito dal regno della giustizia bensì da nuove ingiustizie di segno diverso ma non minori. E allora la violenza è necessariamente in noi?
    Speriamo bene … Difficile ma necessario essere ottimisti.

    Rispondi
  2. Un racconto sconvolgente, quello di Salinger, che ancora dopo più di 40 anni, resta vivo nella mia memoria. D’altra parte questa guerra tra Israele e Palestina è fatta tutta di nomi e di facce. Se finisce il tempo degli eserciti e dei proclami e torniamo ai nomi, città, cose, forse recuperiamo il senso ultimo della guerra. Annientare l’individuo.

    Rispondi
  3. Perbacco mi ero dimenticata questo bellissimo racconto che mi aveva affascinato decenni fa quando ero appassionata di Salinger dopo il giovane Holden ed ero ‘piccola’.
    Lino, vorrei essere ottimista come forse lo ero allora sebbene identificata nella disperazione del protagonista.
    Grazie del ricordo
    Sperem

    Rispondi

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