Psicoburocrati all’attacco, ovvero che lavoro è quello dello psichiatra.
Presi dalla furia dell’economia, attirati dai soloni della Bocconi, indottrinati da letture estemporanee che nulla hanno a che vedere con la cura della persona, molti tra gli psichiatri dirigenti all’interno delle Asl sembrano aver abdicato al primato della cura e della presa in carico della persona sofferente per far di conto e confrontarsi invece che con la malattia col budget.
Mi paiono anche abbastanza soddisfatti per non dire sovreccitati da questo nuovo ruolo che consente se non altro di prendere le distanze dal mondo dei folli: far di numeri per non dare i numeri in altre parole.
Certamente chi come me si confronta con la concretezza dell’impresa e deve fare i conti con il pagamento di stipendi ben sa quanto siano importanti le economie all’interno di un’azienda che fornisce servizi sanitari, ma non ci si può improvvisare manager come non ci si improvvisa psichiatri.
La mia proposta è quindi che ognuno torni a fare il proprio mestiere e con forza porti avanti in un dialogo anche serrato gli interessi dei pazienti e delle loro famiglie.
Se poi si vuole cambiare mestiere non è vietato ma è meglio essere chiari prima con se stessi e poi con gli altri e sottoporsi ad un rigoroso percorso formativo che non si esaurisce in un corso frettoloso alla Bocconi o in qualsiasi altra Università.
Non si nega che porsi il problema della organizzazione dei servizi e degli spazi e tempi di cura abbia un riscontro positivo sulla salute dei nostri pazienti: l’ambiente cura se curato abbiamo sempre sostenuto, ma cimentarsi perigliosamente in interpretazioni legislative di delibere regionali o in ancor più complicate iperboli giuridiche, diventa controproducente e sottrae prezioso tempo al contatto col mondo del malato, come peraltro lo sottraggono eccessive partecipazioni a convegni scientifiche che diventano solo sterili esibizioni di sè stessi piuttosto che di idee innovative.
Psicoburocrati………. Cui prodest?