Accolgo con piacere lo stimolo al dialogo e l’invito di Giovanni Giusto a commentare qualcosa che rimane per me in un’area un po’ oscura, che tendo ad evitare, sulla quale però sento anche il bisogno e il desiderio di condividere e occupandomene in un contesto di affinità protettive (la nostra Piazza?).
Si tratta di parlare e di mettere a fuoco, in qualche modo utile, una modalità invadente di “spettacolarizzazione della sofferenza”. Già questo definire il campo mi consente di vedere un tassello fondamentale nella sua ovvietà: il nostro commentare come gruppo potrebbe essere utile o almeno è animato da questa intenzione, infatti oltre all’esigenza ubiquitaria di comunicare eventualmente per controbattere all’ uso della parola e delle immagini per es. rivolto a bieche finalità narcisistico- commerciali c’è anche la rabbia , magari nello specifico legittima e funzionale, contro un progressivo degrado e incombente perdita di autenticità espressiva che ci minaccia.
Mi sono dunque soffermata su qualche spezzone esemplificativo inviatomi da Giovanni di trasmissioni televisive dove in collegamento al suggestivo titolo: “Avete mai toccato il fondo? Depressione nuova Pandemia” compare e colpisce fortemente il volto di un giovane, un viso bello ,purtroppo inopportunamente truccato, che è possibile osservare in uno scoppio di pianto irrefrenabile che produce abbracci e solidarietà con aspetti un po’ artificiosi e molto esibiti dei partecipanti. I toni sono com’è d’uso caricati , mal prestandosi perciò stesso a un contenimento autentico promotore di ulteriori sviluppi evolutivi di approfondimento e pensiero.
Questa è la descrizione della mia rivisitazione di quelle immagini e mi dispiace correre il rischio di urtare altre sensibilità a questo proposito, ma l’esemplificazione risulta indispensabile per segnalare condizioni pericolose di banalizzazione e per l’appunto spettacolarizzazione della sofferenza.
Infatti mi consente alcune considerazioni che riassumo in tre punti
- la volgarità, non la bruttezza, si propone come problema del nel nostro tempo così come l’indifferenza e il rumore condividendo con queste una patina che le rende più difficili da cogliere nell’immediato sentire
- il fatto che la sofferenza è stata spesso utilizzata nella storia dell’uomo con modalità di spettacolorizzazione e per rimanere e limitarci nel nostro ambito non dobbiamo scordare quando i Manicomi venivano cinicamente visitati proprio nella ricerca di sensazioni forti.
- ci confrontiamo oggi con una forma specifica di “retorica” banalizzante che nei suoi aspetti più ideologizzati ci appare in linea con un atteggiamento” Political Correct” che avrebbe lo scopo di rifuggire l’offesa o lo svantaggio verso determinate categorie di persone all’interno della società e tuttavia si presta a diverse critiche che mettono in luce modalità sentimentalistiche e formazioni reattive mistificanti.
C’è da sperare che la ricerca della verità e della compassione riguardo alla sofferenza ritrovi spazi e tempi più consoni ad esprimere la sua realtà , spazi e tempi che nel passato erano più garantiti da riti riconosciuti e condivisi.
La speranza può forse e paradossalmente essere riposta nella bruttezza della orribile consapevolezza e del rischio reale di soccombere alla pressione generale e frettolosa verso una standardizzazione riduttiva che insieme all’attuale deriva “dataista” potrebbe occuparsi anche delle emozioni per risolverle col calcolo dei “mi piace” che si possono incrementare. Ma già siamo in parte guidati da algoritmi è perciò indispensabile considerare la loro caratteristica addittiva che escludendo la narrazione si lascia accelerare a piacere mentre con le illuminanti parole di un interessantissimo studioso dei nosti tempi Byung-Chul Han ”il pensiero invece non consente alcuna accelerazione, le teorie recano sempre un carattere narrativo”.
Il filosofo tedesco di origine coreana sostiene nello stesso contesto di ricerca la necessità di far apparire la vita in chiave festosa e magica con le modalità dei riti e delle cerimonie che la loro scomparsa dissacra e profana. Da un” reincanto del mondo” ci si potrebbe aspettare l’energia curativa necessaria.