Vaso di Pandora

A proposito di femminicidio

Femminicidio: problema oggi alla ribalta, ma da sempre presente anche se a lungo ignorato. E’ difficile capire se è oggi divenuto più frequente o invece solo oggetto di maggiore attenzione. Certamente è di dimensioni importanti.
Qualche dato statistico preso dalla copiosa letteratura sul tema, ovviamente orientativo e tutto da verificare.

Il femminicidio – definito come tale in quanto opera del partner – corrisponderebbe al 75% degli omicidi a carico di donne. La maggior parte degli omicidi-suicidi avviene in contesto di due partner (Sono descritte anche donne omicide del compagno). Il 5% di suicidi maschi aveva ucciso la partner. L’omicidio del partner è il 25% degli omicidi. Il tipico omicida della partner non ha precedenti penali, è di età media; ciò che conferma la posizione del tutto particolare di questo reato nell’ambito dei comportamenti criminali.
Questi pochi dati ovviamente non pretendono a una metaanalisi, ma vogliono ricordare le dimensioni del problema.

Non c’è bisogno di ribadire la radicale condanna e riprovazione: essa è scontata, per la totale illiceità del gesto e anche perchè fra i delitti questo è fra i più sconcertanti e perturbanti, per l’intreccio fra desiderio di possesso, angoscia, rabbia. Ma al di là dell’immediata condanna, del giudizio etico e della prospettiva giuridica è importante cercar di capire, come per ogni altra tipologia di delitto; avendo bene in mente che capire non significa approvare, ma al contrario dotarsi di migliori strumenti per gestire e prevenire il rischio.

Una importante componente di questi fattacci è, credo, di ordine psicologico-individuale: non raramente il femminicida è una persona disperata come fa pensare, quanto meno, la non piccola percentuale di suicidi che seguono al femminicidio.
Una chiave di lettura potrebbe essere la teorizzazione del narcisismo che dobbiamo a Heinz Kohut (ma non solo a lui), che addita come tappa fondamentale dello sviluppo mentale la realizzazione e coesione del Sè.

Questo sviluppo della propria soggettività richiede una esperienza di rispecchiamento empatico da parte di un caregiver, da cui prendere qualcosa che contribuisca allo sviluppo: il prototipo è la madre. E’ o dovrebbe essere una condizione evolutiva che passa anche tramite delusioni, ma non catastrofiche. Fisiologica questa tappa nel bambino, assai meno nell’adulto: se persiste staticamente, indica serie difficoltà a raggiungere un equilibrio narcisistico adeguato anche in termini di autostima. Qui la compagna (o il compagno) mantiene la sua caratteristica di oggetto-sè, irrinunciabile e insostituibile poiché il suo venir meno comporta un rischio di disgregazione. Le è vietato sottrarsi: pena la morte.

Il dissacrante Oscar Wilde ci offre una insolita variante a questo tipo di delitti sollecitati da un desiderio che da erotico si fa omicida. Egli però inverte i ruoli dei due sessi, o generi che dir si voglia: qui è la donna che uccide. Wilde, in una narrazione poi ripresa da un’opera di Richard Strauss, prende spunto dalla mitica vicenda di Salomè, offertaci dai Vangeli di Marco e di Matteo, che la vede come principale responsabile della morte di Giovanni il Battista.

Egli vi aggiunge un particolare non da poco, che fa della vicenda un vero caso di “maschicidio” (credo che qualcuno se ne verifichi nella odierna cronaca nera): nella sua opera, Salomè vede la propria avance sessuale “voglio baciare la tua bocca” respinta da Giovanni. La sua conseguente richiesta, soddisfatta dal Re Erode, di avere in dono la testa del profeta, non è solo una vendetta, ma un perverso soddisfacimento del desiderio erotico: “Giovanni, ho baciato la tua bocca”. Esprime così plasticamente quanto si attua negli odierni femminicidi: si tratta di ridurre l’Altro a oggetto indifeso, nel confluire narcisistico di desiderio e vendetta.

Di fatto, a quanto ne sappiamo, il maschicidio non è molto frequente. In questa asimmetria, una componente importante è di tipo sociologico – culturale.

In virtù della sua maggior forza fisica, il maschio ha da sempre avuto il compito non solo di difendere il nucleo familiare da interferenze e aggressioni esterne, e di assumerne la rappresentanza di fronte alla collettività; ciò lo ha posto anche come garante dell’ordine interno al gruppo, anche quanto al comportamento sessuale, beninteso femminile: come tale, è stato autorizzato alla violenza anche omicida e si è sentito tale. E’ classico il riferimento al delitto d’onore.

Otello si dispera non dopo aver ucciso Desdemona, ma solo scoprendo di averla uccisa a torto, “da innocente”: fino a quel momento, non solo il suo acting soddisfaceva una personale voglia di vendetta, ma svolgeva un preciso compito sociale e un dovere etico. In un bel racconto di Pirandello, un femminicida confessa di aver sempre tollerato l’infedeltà della moglie ma solo finché era ignota ai più: una volta scoperta, l’uccisione era doverosa, pena il discredito e la condanna sociale del “cornuto e contento”.

Tuttavia, il tradimento e l’abbandono non sembrano l’unica motivazione. Qualche ricerca si situa in controtendenza rispetto a quanto segnala la letteratura nei più diversi paesi del mondo, dall’Italia alla Grecia, al Sud-Africa a Israele. Esiste una tipologia di femminicidio che risponde pur sempre alla classica definizione, omicidio della compagna o ex compagna: ma la motivazione sarebbe una maggior affermazione professionale di lei rispetto al partner.

Si tratta pur sempre di una patetica difesa di una presunta superiorità di genere; ma non è un caso che tali ricerche provengano dagli USA, dove successo professionale e guadagno sono notoriamente valori supremi (per l’ideologia puritana ereditata dai padri fondatori, segno della grazia di Dio).

In ogni caso, certo è che oggi alcune personalità in qualche modo carenti e sofferenti, anche quando devono riconoscere in teoria che i tempi sono cambiati non sanno o non vogliono/possono trarne le conseguenze anche comportamentali in termini di parità dei generi.

Si parla molto della insufficienza degli interventi preventivi anche in presenza di evidenti segni di pericolo; forse ai provvedimenti di sicurezza, necessari ma troppo spesso poco efficaci, se ne dovrebbero affiancare di tipo terapeutico e/o educativo a favore dell’autore di minacce e molestie preannuncianti più gravi conseguenze: quindi prima del fattaccio, non dopo: dopo, è tempo di giusta sanzione. Modalità concrete tutte da studiare e mettere a punto: ma un cambiamento di ottica mi pare doveroso anche se difficile perché comporterebbe anche una faticosa pietà per Caino.

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