Questo scritto, nato in seguito alla lettura di un articolo riguardante la ChatGpt e del modo in cui gli italiani tendono ad avvicinarvisi, ha fatto sì che le mie idee, già confuse, si sono ulteriormente aggrovigliate.
L’argomento dell’IA è affascinante, ancor di più in questa sua ultima versione, per gli innumerevoli apporti che offre per quanto riguarda la sua possibile utilizzazione, però…
Beh, però avevo appena finito di leggere un libro sconvolgente: “Irriducibile”, di Federico Faggin, il fisico italiano che ha dato un contributo sostanziale agli entusiasmanti sviluppi dell’Informatica nel corso dell’ultimo mezzo secolo.
In questo libro, infatti, l’Autore racconta di avere provato, in tutti i modi possibili e immaginabili, a costruire una “mente artificiale”, proprio al termine di una vita dedicata alla rivoluzionarie trasformazioni prodotte dalla individuazione del computer.
E di essersi dovuto arrendere, ad un certo punto, di fronte all’impossibilità di avere la sensazione di riuscire ad imboccare la strada che perseguiva.
Il problema principale che si è trovato di fronte è quello della Coscienza, di cui gli esseri umani sono dotati e a cui, viceversa, i computer non potranno mai arrivare.
E’ rimasto così turbato dalla scoperta che ha fatto, da cominciare ad occuparsi del problema di che cosa sia la Coscienza e, soprattutto, della necessità di giungere ad una sua definizione, visto che la sua definizione è un problema tutt’ora irrisolto.
Si è così dedicato alla ricerca sistematica volta al raggiungimento di questo obiettivo.
Il cammino si è, via via, fatto sempre più complesso, fino a portare l’Autore ad esprimere un ‘ipotesi fantastica quanto affascinante: “Sono convinto che quando capiremo che la Fisica Quantistica non descrive la realtà esteriore ma quella interiore, essa cesserà di essere incomprensibile”, come recita la formula riassuntiva a proposito del significato del libro, nella quarta di copertina.
Non scrivo di questi argomenti perché ne sono un esperto; anzi mi scuso fin d’ora se commetto errori, anzi ho sicuramente commesso errori di cui mi scuso. Però l’idea che scaturisce dal libro mi è parsa illuminante, soprattutto in alcuni passaggi, a proposito di quello che succede in un gruppo di psicoanalisi multifamiliare
(Gpmf) e rispetto a cui, finora, non mi era stato possibile fare riferimento a nessuna immagine in qualche modo rappresentativa di quello che vi accade.
Mi riferisco, in particolare, al “flusso di emozioni” (di “qualia” per l’Autore) che circolano nel gruppo ad un certo punto del suo svolgimento e che viene, in genere, definito:”Funzionamento del gruppo a mente ampliata”. Credo che riuscire a far sì che si metta in moto questo “flusso emotivo” costituisca il risultato più significativo che si può raggiungere in un Gpmf, perché condividere questa atmosfera può rendere meno impossibile comunicare nuovamente a persone che avevano imparato ad evitare di farlo, chi soffre di disturbi mentali gravi e i loro familiari.
Mi sembra che il libro apra alla possibilità di una riflessione teorica sui fenomeni che un gruppo di psicoanalisi multifamiliare può mettere in moto e che, viceversa, non avevano avuto, a mio parere fino alla comparsa delle idee presenti nel libro, nessuna possibilità di essere rappresentate in maniera convincente.
E’ un po’ come se dicessi che il modo in cui il prof. Faggin ristruttura i rapporti tra Materia, Energia e Informazione, alla luce delle scoperte emerse nel corso degli ultimi due secoli in Fisica e non solo e soprattutto che introduce, rispetto a tutto ciò, l’idea geniale che la Fisica non descriva solo il “fuori” ma il “dentro” dell’uomo, ci sospinge oltre le Colonne d’Ercole, in mare aperto. Forse siamo soltanto su una zattera, ma prima d’ora nuotavamo alla deriva.
Si anch’io penso che Faggin ci guidi negli spazi dell’intersoggettività , in un crocevia interdisciplinare che ci spinge verso i più ampi orizzonti del conoscere . Mi pare che Irriducibile meriti il crescente dibattito che sta sollecitando , in particolare iniziando dal chiarire differenze fondamentali cui avevo accennato qui su VdP inizio anno e che la presente acuta riflessione precisa bene rispetto alla conoscenza da dentro . Mi farebbe davvero piacere poterne dialogare ancora anche in presenza …
Questo bell’articolo prende le mosse dalla Chat GPT, creata da Sam Altman della OpenAI. Naturalmente ci si chiede: la macchina davvero conversa con noi oppure realizza soltanto una buona imitazione delle nostre conversazioni, che ricorda, certo in modo più perfezionato e complesso, le prestazioni degli automi del ‘700? La linguista Emily Bender, più drasticamente, la paragona a un pappagallo.
C’è un esempio parallelo: è stato messo a punto un robot che imita perfettamente un bambino, e che sa inter-reagire verbalmente, con la mimica e coi movimenti, con un bambino in carne e ossa: questi finisce per considerarlo un essere vivo, un amico. C’è da chiedersi: questo bambino viene ingannato? Direi di sì: certamente il computer può esser dotato di tutte le informazioni necessarie a esprimersi completamente e correttamente; ma è difficile possa ricambiare l’interesse affettivo del bambino, ciò che lo farebbe ritenere capace di desiderio. Fra parentesi, se per ipotesi ciò accadesse sarebbe un guaio, come ci raccontava il Kubrik di Odissea nello spazio.
Più complicato il chiedersi se queste macchine possano avere una coscienza. Se a questo termine diamo il senso più semplice e intuitivo, di consapevolezza riflessa e continua dei nostri accadimenti mentali ed esperienziali, ognuno di noi ha contezza diretta e certa soltanto della propria coscienza individuale: di quelle degli altri ha solo indizi indiretti che glie ne danno una ragionevole certezza, come insegnava tanti decenni fa Karl Jaspers. In questo ristretto senso, da ignorante quale sono, non mi parrebbe impossibile dotare la macchina della capacità di rivedere ed elaborare quanto è appena passato nei suoi circuiti.
Mi pare più praticabile il chiedersi quali sono i limiti della macchina nel capire, nel comprendere. Acquista infatti attualità la vecchia distinzione di Dilthey fra Erklaren e Verstehen. Quanto all’Erklaren, direi che non c’è match: la capacità della macchina di mettere insieme vastissimi capitali di dati, di raffrontarli, di evidenziarne le correlazioni, di valutarne il peso, di elaborarli in vario modo, non può trovare un credibile competitore nella mente umana.
Ma è ovvio che l’uomo è fatto anche e forse soprattutto di verstehen, di intelligenza emotiva. Questa è componente essenziale della capacità professionale di noi attivi nella salute mentale; ma non solo della nostra. E’ essenziale anche nella ricerca scientifica qualche dote estranea alla consequanzialità logica: questa è indispensabile e dominante nel momento della verifica dei risultati, ma l’aprire strade nuove e formulare ipotesi richiede il lasciare spazio all’immaginario, nel senso ampiamente sviluppato da Gilbert Durand.
C’è una posizione che punta, più che a un confronto fra uomo e macchina, alle possibilità promesse da una loro integrazione. Essa recupera il termine “Transumanesimo”, che risale a Julian Huxley e a Teilhard de Chardin, che prende nuova vita dagli impetuosi sviluppi dell’informatica. L’integrazione con l’inserimento stabile nel cervello di reti neurali artificiali, consentirebbe una crescita esponenziale delle capacità umane. E si prospetta anche il reciproco: l’inserimento nei circuiti informatici di neuroni umani viventi
Fa un po’ girar la testa… fermiamoci qui
Devo leggere Faggin. Il tema è appassionante e centrale. Anche per la nuova tendenza a spostare la comunicazione nel mondo virtuale.
Forse l’uomo si sta stancando della coscienza. In questo caso non sarebbe la macchina ad andare verso l’uomo (asintoticamente), ma il contrario.
Un ingombro notevole, la coscienza. Ma che dramma sarebbe un uomo senza coscienza, andremmo sempre più verso l’antisocialita’ (e se fosse proprio così?).
De Andre’ diceva: che bell’inganno sei anima mia e che grande questo tempo, che solitudine, che bella compagnia.
E per finire un bel film indiano che potrebbe riassumere questi temi, visto che il protagonista è alle prese con la sua coscienza, incastrato tra casta e famiglia: La tigre bianca.