Stanno apparendo nelle nostre Email ripetuti contributi di epigoni di Basaglia, che di fatto ripropongono uno stretto legame fra sofferenza mentale e contesto sociopolitico, volendo indurre a ripensarlo. Questa visione andava e va al di là della indiscutibile importanza della risposta sociale al disturbo personale, dei suoi riflessi sul decorso dello stesso e dunque del contesto politico quale necessario contenitore della risposta tecnica e fattore importante del decorso del malessere mentale: ha proposto invece, mi pare, una più profonda integrazione fra i due ambiti, una vera e propria connessione strutturale.
Questa visione è tutta da verificare; l’esperienza degli ultimi decenni mostra che non è precondizione per un possibile civile ed efficace approccio al disturbo.
Ma può essere interessante ricordare il suo decorso nella storia delle idee, che possiamo definire carsico. Limitandoci a qualche importante esempio: è impostazione che riemerge a tratti, a partire dal Freud del “Disagio della civiltà”, che tuttavia non ha ritenuto di approfondirla ulteriormente; e in modo molto più deciso nel discusso Wilhelm Reich, importante soprattutto per la sua analisi del carattere ma anche esposto a una deriva personale con aspetti psicopatologici. Uscendo da un ambito strettamente psichiatrico, va ricordato anche Andrè Breton, il creatore di un surrealismo decisamente fondato sulla psicanalisi, e che vedeva nella “liberazione” dei contenuti mentali inconsci dai vincoli della razionalità classica una omologia con movimenti politici presunti liberatori; tanto da creare la rivista “Le surrealisme au service de la revolution”. Egli a lungo ha dovuto esitare fra la fedeltà al movimento surrealista da lui creato e la adesione al partito comunista (quello di allora…). Ha risolto il contrasto scegliendo la prima alternativa, al contrario del suo sodale Aragon.
C’è stato dunque un tentativo di incontro fra due grandi movimenti diversamente eversivi, marxismo e psicanalisi (senza per questo dimenticare l’esistenzialismo, anch’esso con Sartre avvicinantesi al marxismo, e ispiratore di Basaglia): tentativo, sappiamo, destinato a non realizzarsi che molto parzialmente.
Eversivo…rivoluzionario…limiti all’accogliere cioè poter accogliere questi lampi e poi vederli consumati digeriti banalizzati trasformati
Comunque sempre bello che tu ci aiuti con la tua prodigiosa memoria culturale
grazie!
Eversivo o trasformativo; questo è il dilemma.
Assistendo ad uno dei noiosi talk show ho sentito il direttore de “La Stampa”: Giannini, che dava lezioni di liberismo e democrazia.
Mi sono venuti in mente gli psichiatri democratici, le comunità terapeutiche democratiche, insomma tutti coloro che si definiscono tali, ma che ascoltano solo se stessi, i loro simili e i loro interessi.
Quando nell’ospedale di Cogoleto un gruppo di giovani psichiatri elaborò un progetto terapeutico e lo inoltrò alla direzione, ancora prima di leggerlo, alcuni sindacalisti chiesero chi lo aveva scritto, ovvero, se erano o meno dallo loro parte (ma quale?).
Il progetto non prese il via, poi lo realizzai per conto mio e siamo ad oggi.
Che c’entra Giannini: mi pareva piuttosto arrabbiato per il fatto che stava perdendo potere o che forse doveva incominciare ad ascoltare le ragioni di altri che non fossero i suoi editori (Fiat Stellantis), che a lungo hanno utilizzato le tasse dei concittadini per alimentare le loro aziende prima di scoprirsi Olandesi.
Ci vorrebbe più onestà intellettuale e meno supponenza.