Vaso di Pandora

Recensione al Film “Il viaggio di Felicia” di Atom Egoyan

Cibo come veicolo di erotizzazione, orgia dei sensi a cui partecipa ogni sera il protagonista maschile della storia Joy Hilditch, ma anche cibo come strumento di violenza invasiva, di fusione con l’altro, di sofferenza e di morte.

Già la casa di Joy, signore di mezza età,” persona rispettabile, direttore di catering in un’azienda”  come si definisce lui stesso, pare un mausoleo dove egli è nato  e dal quale non si è mai staccato.

In questa abitazione salta subito all’occhio, a parte una grossa cornice con la foto della madre defunta, una spaziosissima cucina dove Joy prepara  cibi molto raffinati ed elaborati; è un rituale che non riempie ma che sembra ripetersi  con la professionalità  e la classe di un grande cuoco.

Ma se seguiamo lo sguardo del protagonista possiamo approdare ad un piccolo televisore dove scorrono le immagini di  vecchi film: vediamo una  signora che istruisce il pubblico in maniera molto seduttiva, sulla preparazione dello stesso piatto che lui sta cucinando in quel momento… in verità è sua madre da giovane: propone ricette di cucina all’interno di un famoso programma degli anni ‘50 in un idioma francese alquanto  artefatto.

Ritroveremo la figura invadente e soffocante della donna spesso durante la storia, nei ricordi angosciati del protagonista ma anche, addirittura, nelle fotografie poste sulle innumerevoli scatole di frullatori che egli usa per preparare il cibo.

Finito di cucinare l’uomo si siede  davanti alla tavola lussuosamente imbandita e carica di cibi con l’unica compagnia del piccolo televisore che continua a proporre i vecchi filmati della genitrice.

Il fatto è che in questi filmati vediamo, a tratti, un Joy bambino alquanto obeso, soffocato dal cibo,  mai amato davvero anche quando cerca di farsi notare:”Joy è di nuovo in campo” lo si vede a rovinare le riprese col suo corpo sgraziato e la faccia da luna piena: “vai laggiù!” gli rimanda la madre ma non esita ad usarlo per i suoi esperimenti culinari rendendolo un buffone impacciato fino a provocargli il vomito per il disgusto verso alcuni alimenti e divertendosi, a volte, a spaventarlo.

Gli stessi pensieri dell’uomo  hanno preso la forma del filmato televisivo; la sua vita sembra ormai segnata indelebilmente da quel triste periodo infantile e non rimane spazio per altro.

Ma di questa madre forse Joy diventato adulto non può fare a meno, sembra fuso e confuso con lei: lo notiamo nella ritualità della preparazione dei pasti: è uguale nei movimenti delle mani, cucina le identiche portate, addirittura gli stessi cibi che lo avevano disgustato durante l’infanzia rivivendo con maggior forza gli stessi conati di vomito vissuti a suo tempo…

Un’altra cosa possiamo notare: egli si impossessa senza essere visto dei soldi di una ragazza chiamata Felicia, così come da bambino sentendosi solo e rifiutato aveva rubato dei soldi da un portafogli trovato per terra; “Li ho presi io per evitare che Felicia mi lasciasse”, la modalità è la stessa, avida e orale, ci si appropria inglobando qualcosa, cibo a o denaro.

Nella sua vita lavorativa il signor Hilditch è molto rispettato; quasi venerato dai dipendenti che tengono molto al suo giudizio sui vari piatti preparati nell’azienda: non stupisce che di fronte a una proposta di acquisto di un macchinario che prepara i pasti automaticamente egli rifiuti: “ci rimetterei il personale…”; quale macchina potrebbe soddisfarlo quanto  quegli esseri umani che pendono dalle sue labbra?

La protagonista femminile, Felicia, invece è una giovane in cerca di un ragazzo che l’ha messa incinta ed abbandonata – in Irlanda dove lei viveva con il padre e la bisnonna quasi centenaria – per arruolarsi nell’esercito inglese.

Felicia pare una ragazza alquanto bisognosa, sola perché la madre è morta quando lei era molto piccola,  figlia unica con un padre  che le è ostile, poco aperto all’incontro con l’altro e al dialogo non vede di buon occhio la relazione che ha instaurato col giovane, colpevole ai suoi occhi di essere un traditore della patria: “La nostra famiglia ha dei principi! Li ha sempre avuti!”; e alla notizia che leiè incinta: “ Hai il nemico dentro di te; grazie a dio tua madre è morta e non ti vede(…) che tu sia maledetta!”.

Felicia idealizza il fidanzato: quando questi le dice che è bellissima le pare di toccare il cielo con un dito e si fa ingannare – forse il primo inganno che ha sentito di subire è stato quello della morte della madre, così precoce – non accorgendosi che lui vuole solo un rapporto superficiale per poi abbandonarla.

Le racconta di partire per andare a lavorare in una fabbrica di tosaerba: fabbrica della quale la ragazza si mette alla ricerca in Inghilterra fino ad incontrare casualmente Joy.

Forse uno spazio libero dal cibo rimane nella mente dell’uomo: è quello per le ragazze giovani e sbandate, molto bisognose; le riconosce subito e  comincia a diventare indispensabile per loro.

Ne ha già incontrate diverse, le ha filmate quando erano dentro la sua buffa automobile e ne conserva gelosamente i filmini forse nell’illusione di possederle per sempre.

 Felicia ancora una volta si fa raggirare: questo signore dall’aspetto mite e molto disponibile con lei soddisfa il suo bisogno di trovare qualcosa di buono che forse non ha mai provato nella vita.

Lui le promette di aiutarla a rintracciare il ragazzo che l’ha abbandonata, ma  in realtà cerca di legarla sempre più a sé, fino alla morte…

“Sono contento che aspetti un bambino: è un sollievo!” Un figlio è una benedizione Felicia, non te lo dimenticare…” ma poco dopo:”Stai forse pensando di interrompere la gravidanza?(…) Un figlio ha l’esigenza di essere circondato da un amore totale…l’amore della madre(…) io mi ricordo di quando ero bambino(…)Le madri, a volte, sono difficili…”

Ci sembra di riconoscere l’urlo disperato di un bambino che chiede di non nascere, forse l’urlo di Joy che vorrebbe non essere al mondo ma anche l’angoscia di un uomo che non vuole che la ragazza lo abbandoni così come hanno fatto le altre: “(…)ero tutto per loro, nel momento della necessità contavano su di me…ma poi volevano andarsene”.

“Mi sento solo qualche volta nella mia casa…spesso mi sento solo”, ma egli non riesce a sopportare il loro abbandono, le metterà a “riposare” per conservarle sempre dentro sé…

Felicia si salverà,  al  posto del suo sacrificio è però necessaria un’altra morte: quella di Ada; innanzitutto moglie immaginaria di Joy, fantasma di una madre assente, di un rapporto annullato e riempito di cibo e poi una morte reale “affinché il tormento possa dileguarsi e la guarigione iniziare”

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