La mostra fotografica che si terrà a dicembre a Masone dal titolo “Fra natura e ritratti, scatti rubati”, di cui uno dei temi proposti è “la nostra storia” mi ha fatto molto riflettere.
Come eravamo.. Come eravamo noi operatori 10-20-30 anni fa? .. Come erano i nostri ospiti?
Ho sempre pensato che uno dei mandati di noi operatori di struttura fosse conservare la memoria. Non solo la memoria di come abbiamo cominciato il nostro lavoro, come abbiamo raddrizzato il tiro, acquisito competenze, costruito la nostra professionalità; ma anche e soprattutto conservare la memoria dei nostri ospiti, ospiti con le loro storie mai abbastanza narrate. Di chi dunque il compito di raccogliere queste storie e riproporle ogni tanto perché non rimangano solo fugaci passaggi, se non di chi ha condiviso con loro un pezzo di strada? Non è forse compito di noi operatori che abbiamo l’onere e l’onore di entrare in queste vite con i nostri interventi e la nostra quotidianità? Per alcuni di loro, se non manteniamo viva noi operatori la memoria, chi la manterrà?
Come nel caso di Michele, entrato in ospedale psichiatrico dopo aver tentato di dirottare un aereo per andare in Australia a riprendersi la famiglia scappata da lui e che finiva ogni assemblea ospiti, ogni volta, con l’annoso quesito: “un pollo. Quanto costa un pollo?”
O nel caso di Bruno, ricoverato perché, dopo aver gettato mobili dalla finestra, arringava a gran voce le persone accorse per vedere che cosa succedeva, e che si illuminava soprattutto quando alle feste si cantava “Romagna mia” per poi concludere con un pianto.
O Giuseppe di cui, solo dopo svariati anni in struttura, siamo venuti a conoscenza del suo passato di ricercato per rapina e omicidio e solo perché quattro carabinieri sono arrivati convinti di trovarsi davanti un pericoloso malvivente trovando invece un uomo consumato nel corpo e nella mente dalla malattia.
O nel caso di Luigi, adorabile vecchietto dagli occhi azzurri, con la passione per la masticazione del tabacco, le camicie che amava rubare nei negozi del paese e l’abitudine ad utilizzare come pungiball le ospiti più anziane a cui lasciava in regalo spesso occhi neri. Luigi che una volta ha deciso di andare in chiesa durante un matrimonio e sedersi vicino alla sposa per seguire meglio, lasciando così all’operatore l’ingrato compito di salvare situazione e matrimonio.
O ancora, e soprattutto, Angelino, l’ospite che in 20 anni di lavoro più ha saputo toccare le corde del mio cuore e legarmi a lui. Angelino che mi prometteva di portarmi a Montecarlo con la sua Roll Royce. Che amava Vasco Rossi ma che ricordava bene la brillantina Linetti, che ti stupiva con parole prese da altre lingue che infilava nei suoi “discorsi” presentati invero più come citazioni. Angelino che, alla dottoressa che lo incalzava con tono manierato e accondiscendente per sapere se voleva entrare nella nuova struttura, rispose, dopo una lunga boccata dalla sigaretta e uno sguardo in tralice, “io non ci parlo con te, vecchiarda”. Angelino che o lo amavi o ti scatenava un’antipatia a “pelle” con la quale dovevi fare i conti ogni giorno trascorso con lui; che in ogni struttura dove ha vissuto ha sempre trovato il modo di legare a sé qualche operatore affascinandolo con la sua ironia e il suo charme. Angelino che quando è morto ha raccolto le lacrime e i sorrisi anche di chi per anni non si era più preso cura di lui.
Se dunque la memoria di come siamo cresciuti, ci siamo formati, abbiamo imparato a “stare con” è importante anche come spunto nelle condivisioni con i nuovi operatori, la memoria dei nostri ospiti è, io credo, imprescindibile per mantenere quell’umanità, quella sensibilità, quell’attenzione all’altro senza le quali il nostro lavoro perderebbe di efficacia e di significato.
Grazie Annalisa per i tuoi racconti pieni di poesia e di passione. Tutti noi che facciamo questo lavoro da anni abbiamo tra i nostri ricordi persone che abbiamo amato come vecchi amici anche se amici non lo erano o come adorati familiari pur non essendo neanche lontani parenti. Credo che esistano pochi lavori in grado di darti emozioni come il nostro. A volte vorrei che tutti gli operatori imparassero ad apprezzare questo aspetto invece di averne un po’ timore ma forse anche questa capacità non è un regalo per tutti..
Anna Codino