“Giulia, i nostri pazienti non sono una matassa da sbrogliare, sono sacchi sfondati e rattoppati mille volte. Quello che hai trovato non e’ il filo d’oro, l’impronta del passato, e’ solo un difetto”.
Il libro di Paolo Milone potrebbe essere racchiuso in queste poche righe. Il pensiero che lo informa denota una ferma convinzione da parte dell’Autore: non c’e’ nessuna speranza per loro, i pazienti e, conseguentemente, non ce ne e’ nessuna nemmeno per gli operatori. I mille racconti di cui si compone il libro mi hanno fatto venire in mente un girone dell’Inferno dantesco, piu’ che la descrizione di un moderno reparto di Psichiatria. Come dice il sommo poeta: abbandonate ogni speranza o voi che entrate e rassegnatevi a vivere nel dolore, pazienti e operatori, senza nemmeno provare a chiedervi se in quel dolore potrebbe esserci un senso, anche se molto nascosto.
Credo che la questione di fondo, posta dall’Autore, sia questa: la Psichiatria d’urgenza, quella vera, può prendere in considerazione gli esseri umani, solo per come appaiono in relazione a come si comportano. Tutto il resto non va preso in considerazione perche’ non conta: la storia delle relazioni significative, in relazione a cui costruiamo, tutti, il nostro modo di imparare a relazionarci con tutti gli altri e il modo in cui si declinano nel rapporto con gli altri, con i loro affetti, emozioni, incomprensioni e dolori, non vengono prese in considerazione.
Gli uomini e le donne con problemi seri mentali vanno presi in considerazione come animali a cui va insegnato, con le buone o con le cattive, a comportarsi come tutti gli altri. E basta.
L’Autore comunica onestamente che odia la psicoanalisi, che pretende di porsi nella necessità di capire e, se non di capire, perché potrebbe essere troppo difficile, di fare delle ipotesi esplicative. In effetti la psicoanalisi può servire per capire, ma all’Autore non interessa perché ci ha rinunciato in partenza.
Ho ricevuto il libro da Roberto.
L’ho scorso velocemente ed un senso di tristezza mi ha pervaso.
Che triste lavorare senza speranza
Che triste aver timore della relazione e sfuggire alla curiosità dell’altro-
Che triste fare un lavoro che ti costringe a subire violenze di tutti i generi.
Tutto il contrario dell’arte
Tutto il contrario della fantasia
Tutto il contrario dell’eros
Tutta la mia umana comprensione a Milone giunto alla fine di un incubo
C’è un libro scritto da Gaetano Benedetti e da alcuni suoi collaboratori, non tradotto in italiano, che ha un titolo evocativo: “Die Kunst de Hoffens” , “L’ Arte della Speranza”.
La speranza è un’arte da condividere con chi soffre qualunque forma di dolore.
Benedetti risvegliava la speranza sia nei pazienti che attraversavano stati psicotici della mente che nei terapeuti che accompagnavano questi pazienti nel loro inquietante viaggio.
La psicoterapia come sfida esistenziale, è il titolo di un altro libro di Benedetti; una sfida alla non esistenza, per non rassegnarsi all’oscurità della morte psichica.
Il corrispettivo della morte psichica del paziente è la morte della speranza in chi dovrebbe curare.
In questo senso la psicoterapia è sia per i pazienti che per i curanti una sfida e un monito: mai rinunciare alla forza trasformatrice della speranza.