Vaso di Pandora

La strana America elegge Trump

Strana America (usuale sinonimo degli USA). Ha appena eletto un Trump: personaggio atipico che, qualunque cosa si pensi della sua proposta politica, ci appare fuori dalle righe, bizzarro, “impossibile”. Ricorda alla lontana, su scala ben maggiore e con ben altra durevole fortuna, il nostro Grillo dei primi tempi. Vuole apparire non convenzionale, magari scandalizzante, anti – establishment in modo che pare affascinare persone socialmente marginali, anche con truccature e mascheramenti vari, ma pure altre che reclamano legge e ordine, soprattutto contro gli immigrati. Il suo rapporto con il grande capitale va al di là della eterna ben nota, probabilmente decisiva, influenza di esso nella vita politica e, palesemente, nelle elezioni, quando i candidati non possono mai fare a meno di grosse donazioni. Con Trump si va al di là: con lui un esponente, forse il massimo, del grande capitale assume un ruolo ufficiale nella sua organizzazione. 

Trump seduce le classi a basso reddito

Tuttavia, Trump seduce ampie fasce di classi a basso reddito, con meccanismi che possiamo solo ipotizzare: il vecchio trucco di contrapporre i penultimi agli ultimi, lasciando in pace i ricchi (es. operai e immigrati ormai inseriti contro i nuovi arrivi migratori); ricorso, credo voluto, a clamorose volgarità che lo contrappongono  radicalmente a un qualche  sgradevole atteggiamento radical chic. Tutto ciò, credo, in parte spontaneo e in parte strumentalmente accentuato. E lo favorisce l’angoscia per la criticità del momento, con timore per una possibile decadenza e spinta a cambiare guida politica: molto azzeccato e penetrante il motto “make America great again”.   

Le reazioni in Europa

Per noi europei capire tutto ciò non è semplice. L’America ci ha sempre interessato e un po’  sconcertato, poiché è “come l’Europa ma diversa dall’Europa”.

Le nostre risposte a questa realtà particolare sono state le più diverse. Razionale quella della classica opera di Alexis de Tocqueville, che postosi nella prima metà dell’800 di fronte alla democrazia americana – ai suoi tempi unica al mondo – ritiene, con preveggenza, che quel sistema si estenderà al resto del globo, e ne analizza i molteplici aspetti: la costituzione che lo regola, la composizione sociale, i relativi rapporti fra le sue componenti, il concretarsi della sovranità popolare nelle istituzioni, caratteristiche e funzionamento del potere giudiziario, i partiti e associazioni politiche, la libertà di stampa, l’onnipotenza della maggioranza e ciò che la tempera, il come cultura, abitudini e esperienza pratica contribuiscono al successo delle istituzioni democratiche, le prospettive per il loro avvenire, il rapporto con la cultura e il mondo intellettuale, prestigio e considerazione per le varie professioni, i rapporti fra individualismo e interesse collettivo, i possibili rischi di dispotismo. Prevede, anche qui lucidamente, che quella nazione condividerà con la Russia il dominio del mondo.

Tutto ciò con l’attenzione e la lucidità di un esploratore, con atteggiamento ancora di tipo simil-illuministico.

Diverse altre reazioni, pur di epoca posteriore.

L’America nella letteratura

Franz Kafka aveva titolato il suo “America” con un più suggestivo “Il disperso”: esprimeva lo stato d’animo di un giovane neo – immigrato negli USA di fronte a un mondo pieno di pittoresco ma angosciante disordine, di violenza implicita o agita, di imprevedibilità, di occasioni attraenti ma rischiose e contraddittorie; vittima quindi, a differenza del protagonista del Processo, non di un ottuso e feroce potere burocratico ma di un caos disorganizzante. Il discorso è stato ripreso in qualche modo dal Chaplin di Luci della Città, dove il protagonista – immigrato di scarse risorse – viene aiutato da un riccone quando questi è ubriaco, ma allontanato malamente e imprevedibilmente quando l’altro è sobrio. Naturalmente, diversa la prospettiva dei  mille contributi di Autori americani, da tanto Hemingway fino al Grande Gatsby di Scott Fitzgerald.

L’America, culla della democrazia moderna

La nascita delle prime contraddizioni e mediazioni coincide con quella degli USA. Essi possono a buon diritto esser considerati gli iniziatori della democrazia moderna, poiché la loro Dichiarazione di Indipendenza ha direttamente ispirato – grazie al collegamento operato da Lafayette – la francese Dichiarazione dei Diritti che l’ha seguita dopo qualche decennio. Tuttavia, pur proclamando l’eguaglianza, essa è stata messa a punto da un gruppo di ricchi piantatori proprietari di schiavi.

I due aspetti così contrastanti hanno trovato una qualche forma riconoscibile e  – nei limiti del possibile – ordinata nel pensiero di due personaggi fondamentali come Thomas Jefferson e Alexander Hamilton. Il primo è stato il principale estensore della Dichiarazione; il secondo, di nascita illegittima e figlio di immigrati, si è fortemente impegnato nel dar  forma al federalismo, sostenendo la necessità che da una semplice confederazione informale si passasse a una vera Unione, sede di un potere centralizzato e autoritario; ciò anche se  personalmente era un irregolare, immigrato e figlio illegittimo.

La Thatcher e Jefferson

Un po’ come la Thatcher dei nostri tempi, la partenza da una condizione di marginalità li ha resi sostenitori di un ordine autoritario. Accusava gli avversari di voler imporre ragioni con la “loudness of declamation” ( costume tuttora ben attivo in TV e non solo): metteva  in guardia contro la ricerca di popolarità a buon mercato e contro un rispetto eccessivo dei diritti.

Diversa la posizione di Jefferson, sostenitore di una certa autonomia dei poteri locali e delle libertà personali. Possiamo considerarli    progenitori (alla lontana?) dei due partiti da sempre dominanti, democratico e repubblicano; sappiamo che è stato quest’ultimo a impedire  militarmente, con Lincoln, la secessione del Sud.  I due partiti  si disputano da sempre la maggioranza in elezioni governate da un sistema che anch’esso ci appare bizzarro, uscito anch’esso da un compromesso fra le due tendenze, centripeta e centrifuga: il nome stesso – United States of America – parla di una entità nazionale che tuttavia rispetta l’identità dei singoli stati in essa confluiti.

Il futuro dopo Trump

E il futuro? Assistiamo da lontano a una delle solite alternanze, o a qualcosa di diverso? Sarebbe bello poter fare previsioni, dato il legame importante con quella realtà, “differente  da noi ma uguale a noi”.  

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