Finalmente anche il manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto è chiuso. Due anni di ritardo rispetto alla previsione della legge 81, ma grazie alla generosità della Rems di Barete, che con intelligenza ha aderito all’invito di accogliere alcuni internati siciliani per far cessare l’illegalità di una detenzione ingiustificata e consentire così la chiusura dell’istituzione totale per eccellenza, si è raggiunto un obiettivo che pareva ormai un miraggio.
Gli Opg di Aversa, Montelupo, Reggio Emilia, Secondigliano hanno chiuso i battenti e quello di Castiglione delle Stiviere percorre la difficile strada di una significativa trasformazione.
Vi sono ora le condizioni per dedicarsi allo sviluppo dei contenuti della riforma, per impedire il risorgere delle logiche manicomiali e per arricchire le opportunità di vita nelle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza.
Dobbiamo tutti avere chiaro che la rivoluzione gentile, come io definisco la chiusura dell’Opg, manicomio e carcere insieme, è stata costruita su una contraddizione. Una felice contraddizione ma che con intelligenza, prudenza e sagacia va sciolta.
Si è rotto il muro della segregazione che poteva spingersi fino all’ergastolo bianco, senza incidere sul sistema delle misure di sicurezza, sul doppio binario del Codice Rocco, sul concetto vago e
incerto di pericolosità sociale.
L’indignazione e l’orrore per quei luoghi di inciviltà e disumanità hanno dato la spinta per superare gli Opg e per cercare e individuare una soluzione terapeutica e sanitaria destinata agli autori di reato
prosciolti per incapacità di intendere e volere, raggiunti dalla misura di sicurezza.
La legge 81 ha anche affermato che la misura di sicurezza non può avere una durata superiore al massimo della pena edittale prevista per il delitto commesso; è una norma di grande valore perché
obbliga a realizzare programmi personali finalizzati al reinserimento sociale.
Sono tante le questioni aperte nel funzionamento delle trenta Rems aperte e funzionanti: le dimensioni, che vanno dalle due unità del Friuli Venezia Giulia ai 120 ospiti di Castiglione delle
Stiviere; le problematiche dei soggetti senza fissa dimora, italiani e stranieri; le condizioni di vita delle donne non sempre rispettose del genere; la lista d’attesa a macchia di leopardo tra le diverse
regioni; l’architettura delle strutture provvisorie e soprattutto di quelle definitive.
La priorità assoluta sta però nel chiarire la natura delle Rems che a mio parere devono essere strutture riservate ai prosciolti definitivi (in ultima istanza) e non per misure provvisorie, decise
magari senza perizia. A questo proposito andrebbe stabilito il criterio di due perizie affidate a psichiatri sorteggiati da un albo sulla cui base il giudice potrebbe decidere con maggiore cognizione
e con elementi più sicuri.
Andrebbe anche sciolto il nodo della vigenza o no del Regolamento penitenziario. Occorre definire un testo base che valorizzi un sistema di garanzie dei diritti, superando i limiti attuali per colloqui,
visite e telefonate e comunque non facendo prevalere un atteggiamento tipico del paternalismo solidaristico e/o autoritario che può emergere nelle strutture comunitarie.
E’ indifferibile la riforma del Codice penale, in molti articoli, prima di tutto abrogando il 148 (infermità psichica sopravvenuta in carcere) e il 206 (misure di sicurezza provvisorie). Altrettanto
indispensabile un lavoro di pulizia semantica per eliminare dal codice e dall’Ordinamento penitenziario termini superati come Opg, internati e sostituirli con definizioni corrispondenti alla nuova realtà.
Invece di porsi su questa lunghezza d’onda, per altro suggerita dal Tavolo 11 degli Stati generali dell’esecuzione della pena e nelle mie relazioni sull’attività di Commissario unico per il superamento degli Opg, il Governo e il Parlamento si sono finora affidati alla fortuna e allo stellone d’Italia. Peggio ancora. Il Senato ha inserito nella legge delega sul processo penale e sull’ordinamento penitenziario una norma che cancella la riforma e fa rivivere gli Opg.
Come è potuto accadere? Nella migliore delle ipotesi per superficialità e spirito falsamente caritatevole. Molti, troppi, scoprono una pulsione critica verso il carcere a causa di una realtà certo
dolorosa, ma non più grave delle migliaia di casi di violenze, morti, suicidi, torture che in pochi abbiamo denunciato per anni, inascoltati, proponendo la tensione abolizionista di Massimo Pavarini.
Il comma 16 lettera d) dell’art. 1 della Legge delega sul codice penale e sull’ordinamento penitenziario, approvato dal Senato con voto di fiducia il 15 marzo e ora all’esame della Commissione giustizia della Camera dei deputati (C. 4368) con irresponsabilità e incompetenza prevede la possibilità che le Rems debbano accogliere oltre che le persone prosciolte per incapacità totale al momento del fatto (i folli rei), anche i condannati che manifestano una patologia psichiatrica in carcere durante l’esecuzione della pena (i rei folli), nonché i soggetti bisognosi di osservazione psichiatrica. L’argomento che viene usato ipocritamente è quello legato alla non idoneità delle previste articolazioni psichiatriche in carcere.
Chi stabilirà la non idoneità? Il carcere o la struttura del servizio sanitario pubblico delle regioni?
Resta il fatto incontrovertibile che una struttura che metta insieme prosciolti condannati, imputati, osservandi e, perché no, minorati psichici ha un nome e una storia. Si chiama manicomio giudiziario l’altro ieri e Opg ieri.
Sono io per primo a sostenere che chi ha una grave patologia non deve restare in carcere, che sia malato di cancro, di Aids o con una forma di schizofrenia. Per questo occorrono modifiche chiare
per consentire tutta la gamma di misure alternative, sia l’affidamento come accade per i tossicodipendenti e anche l’incompatibilità con la detenzione. Sarà compito dei giudici di sorveglianza valutare e decidere.
Bisognerebbe anche prevedere una diversa organizzazione dei servizi psichiatrici in carcere, che non può essere limitata alle articolazioni psichiatriche penitenziarie, destinate alle acuzie, alle osservazioni e alla cura dei soggetti con perizia di patologia psichiatrica, ma deve prevedere la presa in carico socio-sanitaria della generalità dei detenuti con problemi di disagio mentale.
Bisogna percorrere questa strada lineare e non far rivivere una struttura che inevitabilmente per la presenza di condannati richiederebbe la presenza di una custodia, la polizia penitenziaria, dal
momento che l’uscita dalla struttura non sarebbe più un allontanamento ma una evasione.
D’altronde noi abbiamo bisogno di far crescere con l’impegno straordinario del personale che fino ad oggi ha dimostrato di credere in questa avventura, una riforma unica nel mondo.
Le associazioni che si sono battute in questi anni per questo obiettivo nel Cartello StopOpg, la Conferenza delle Regioni, il neo costituito Coordinamento delle Rems, molti parlamentari dalle
senatrici De Biasi e Dirindin ai tanti deputati che presenteranno emendamenti soppressivi, chiedono lo stralcio di una norma sbagliata che non può essere sottovalutata nel suo significato regressivo.
Ho dedicato un anno intenso e appassionato per superare ritardi che vanificavano la riforma adempiendo con successo al mandato di Commissario affidatomi dal Governo.
Ora non posso restare inerte di fronte alla cancellazione di un lavoro esaltante.
Voglio rispettare le parole emozionanti di un internato di Aversa ora ospite di una Rems: Io sento che l’aria sta cambiando. Non mi sento di tradire questa speranza e per quel che vale mi impegnerò,
anima e corpo, con un digiuno, per convincere chi può, a fare la cosa giusta.
Condivido che, senza la riforma del CP, si rischia di ritornare agli OPG, solo strutturalmente apparentemente diversi.
Speriamo che la nuova norma passi presto, anche per far funzionare davvero bene le ReMS, cosa di per sé non facile.
Bisognerebbe intanto cambiare l’acronimo sottolineando nel nuovo il primato della cura senza negare la necessità di custodia