Commento all’articolo di A. Codignola apparso su La Repubblica il 29 novembre 2016
La storicizzazione che ci propone l’articolo contestualizza l’applicazione di un metodo, ma anche i processi socioculturali in cui la psicoanalisi ha continuato a vivere.
L’idea che la psicoanalisi di Freud sia morta, è un pensiero del passato, sdoganato dall’epoca contemporanea come una rivelazione avanguardistica. In realtà è la psicoanalisi stessa ad avere seppellito il proprio fondatore, continuando a vivere con gli autori che hanno interpretato e sviluppato la sua dottrina, come figli che succedono al padre.
Riesumare la salma di Freud mi sembra il rifiuto che la psicoanalisi possa essere ancora viva distintamente dal passato. La psicoanalisi è viva e presente, per provarlo è sufficiente volersi aggiornare documentandosi attraverso l’autorevole letteratura contemporanea. Il mio parere è che l’attuale ambiente socioculturale tema la psicoanalisi perché ne attacca la sua fragile identità. In un’epoca in cui è sentito come pericoloso lasciare spazio alla psicoanalisi, si ha la necessità di proclamarne il declino. La psicoanalisi di tutta risposta conferma il suo desiderio di esistere prendendosi lo spazio per osservare il fenomeno sociale e sostenere un processo di pensiero che è interessato al legame, fosse anche nella forma del suo rifiuto.
Credo che la psicoanalisi sia come un paio di occhiali che ti permette di vedere meglio le cose. Che consente di avvicinare alle persone la possibilità di vedere la pienezza e la vacuità delle cose. Non penso che questi occhiali siano demodé perché non servano più, ma piuttosto che le persone non siano in grado di indossarli. Queste temono l’altro perché non ne sostengono la presenza e non ne tollerano l’assenza. La soluzione contemporanea è colmare lo spazio che separa e unisce le persone tra loro, saturandola di oggetti.
Il soggetto attuale si comporta nello stesso modo con le cure. La psicoterapia non è più strumento d’interrogazione del soggetto, ma direttamente risposta alla domanda. Più precisamente un oggetto-risposta. Pertanto s’implementano le soluzioni psicofarmacologiche e le psicoterapie problem-solvig che devono impedire la percezione della mancanza-a-essere con la presenza di avere. Le risposte delle neuroscienze sono più rassicuranti non sempre perché forniscono davvero in ogni circostanza una descrizione oggettiva della sofferenza o della sua causa, ma perché deresponsabilizzano il soggetto dalla ricerca intra psichica del suo dolore. Il problema del disturbo di cui si soffre è meglio tollerato se proiettato fuori di sé e se trattato come qualcosa di cui liberarsi attraverso l’intervento veloce e risolutivo del professionista della salute mentale.
La domanda d’intervento dell’altro ha le stesse caratteristiche consumistiche dell’uso potentemente deangosciante di ogni oggetto contemporaneo che propone una risposta prima ancora della formulazione della domanda. La domanda non è promossa dal soggetto perché sugli scaffali dei supermercati, sulle vetrine dei social-network, sui blog del web, puoi trovare sempre una risposta confezionata ma venduta come personalizzata e pronta all’uso. Non penso che ciò sia un male, ma spiega la scomparsa di un soggetto pensante, autenticamente interrogante e internamente fortificato a fronteggiare il mondo. Se la società è strutturata in maniera paranoica, dove vige la supremazia dell’Io, dove la colpa estromessa dal soggetto è proiettata sull’altro, il soggetto contemporaneo non può essere interessato alla psicanalisi che lo interroga circa il proprio ruolo sul palcoscenico del teatro della vita, ma si fa leggere nell’interno dal neuroimaging e osserva se stesso come sullo schermo di un cinema, o di un PC, dove entrare in contatto con il proprio mondo interno in maniera sicura, in maniera controllatamente distanziante.
Il soggetto di oggi non è più soggetto a niente, neanche alle domande alle proprie sofferenze. Come può interrogare e lasciarsi interrogare dalla psicoanalisi? Di per sé ciò non fa tuttavia della psicoanalisi una tecnica o una forma di pensiero fuori moda. È attuale perché, a prescindere dal contesto sociale in cui lavora, riserva sempre al soggetto un posto in primo piano, perché ha un’applicazione sulla possibilità di aprire un pensiero sull’umanità e non a chiuderlo su se stessa.