Venerdì scorso ho partecipato ad un bel seminario intitolato “Trasfusione di umanità”. Nonostante l’invito a partecipare alla discussione finale, la timidezza mista all’inaspettata sollecitazione ad intervenire ha bloccato il mio pensiero impedendomi di parlare. Una volta salita in auto però, sola, mi sono ritrovata invasa da numerose emozioni ed immagini.
La prima è legata ad un episodio di una settimana fa. Invogliata dalla tiepida giornata di sole io ed una mia collega ci accordiamo per fare una camminata sulla passeggiata che unisce Albisola a Celle. Una volta giunte a Celle ci sediamo in un bar per consumare un caffè insieme. Ad un certo punto mi giro e rimango colpita da un’immagine: un signore apparentemente molto anziano goffamente vestito a festa, con un unico grosso dente incisivo ed un sorriso stampato in viso che ricorda un bambino la mattina di Natale, si tuffa su un gelato colorato, lo gusta con estasi con la bocca spalancata sbrodolandosi dappertutto.
Non posso non osservare il contrasto della scena, gli occhi che brillano di gioia da un lato, le gocce di gelato lungo il mento che cadono sulle mani e sul collo della camicia. Vedo la gioia sul viso, ma provo anche un po’ di fastidio nel vedere quella bocca sporca. Tocco la mia amica, le dico piano: “Guarda l’espressione di quell’uomo!”. Lei si gira guarda e ride: “E’ fantastico!” mi dice e sorridiamo.
Arriva un giovane uomo, si avvicina, pulisce il viso all’anziano signore, lo aiuta ad alzarsi ha vicino un altro uomo un po’ curvo ed insicuro sulle gambe, li prende sotto braccio e li aiuta a salire su un piccolo pulmino (non lo avevo notato prima ). La collega mi dice: “Guarda Paola è un pulmino di una delle strutture del nostro gruppo, per pazienti psichiatrici anziani… Siamo ovunque!” dice, ridiamo.
Antonella poi si fa seria e mi racconta di un suo conoscente; anche lui veniva spesso qui a prendere il caffè, ed è capitato anche a lui di vedere quel gruppo di persone della comunità prendere il gelato, ha visto le gocce cadere sulle mani, sul tavolino, disgustato decide di non venire più in questo bar… peccato non ha visto gli occhi, non ha visto l’espressione felice, che brutto essere cechi pensiamo io ed Antonella.
Un’altra immagine, io ed un’amica, agosto,caldo afoso, decidiamo di pranzare al bar dei bagni in cui siamo al mare, mia figlia un anno e mezzo circa d’età, indossa solo un pannolino pulito,fa molto caldo, è stanca, si è divertita un mondo nel mare, ciondola la testa e sta per addormentarsi, unisco due sedie bianche di plastica vicino al nostro tavolino, la faccio coricare sul telo da mare, si addormenta di botto. Passa una signora la guarda sorride, mi accorgo che vorrebbe darle una carezza, ma evita forse teme di svegliarla o di essere invadente, mi guarda sorride di nuovo e va verso il bar. Poco dopo si avvicina a me una delle ragazze che servono ai tavoli sottovoce e con evidente imbarazzo mi riferisce che un’anziana signora seduta ad un tavolo vicino l’ha invitata a venirci a dire di andarcene, vedere una bambina con il pannolino mentre pranzava la disgustava.
Durante il convegno abbiamo parlato di tecnica, di formazione, di approfondimento, di studio, di fatica, tutti elementi senza cui noi operatori saremmo semplicemente brave persone e non veri professionisti che curano. Di questo siamo tutti convinti, ma siamo altrettanto convinti che questo sia fondamentale e necessario strumentario come lo è un paio di occhiali che rendono la vista perfetta ma, come tutti gli occhiali, inutili appendici per chi è cieco.