Fra qualche giorno si festeggia per celebrare i vent’anni dell’apertura della Comunità Redalloggio e, sento l’esigenza di fare alcune considerazioni sul significato della festa in senso generale, forse per allontanare un sentimento di ritrosia che vivo in occasione di ogni celebrazione. Da sempre gli uomini e i gruppi sociali sentono il bisogno di interrompere lo scorrere del tempo e la quotidianità degli eventi con momenti di celebrazione e di rito. La festa è così al tempo stesso un’occasione di discontinuità che definisce un prima ed un dopo, e nello stesso tempo un elemento di continuità e riconoscimento, dal momento che ciclicamente rinsalda i legami ed attribuisce al tempo regolarità e ritorni.
La preparazione di una festa ha in se una dimensione di eccitazione di attesa e di aspettative, ma anche di inquietudine dolorosa. Perché? Il motivo credo sia da ricercare nel fatto che in tali occasioni ci si trova in maniera prepotente a ricordare, a pensare all’attualità e a fantasticare sul futuro.
Un ricordo personale va al mio primo incontro con gli operatori di Redalloggio nel ‘98 quando ho iniziato a fare i turni notturni in comunità: a darmi le consegne ho trovato un mio ex compagno del liceo, al quale ero stata molto legata, che poi avevo perso di vista come spesso accade; mi accorgo di ricordare precisamente le parole che ha detto in quella circostanza sulle caratteristiche di alcuni pazienti ricoverati allora, sui responsabili della comunità, non risparmiando commenti personali, come era solito fare a scuola, quando commentavamo gli atteggiamenti ed i comportamenti dei professori e degli altri compagni di classe.
I ricordi si accavallano in un fluire di immagini di odori e di sensazioni che si sono modificate nel tempo e che la festa programmata fa riaffiorare. Tornano alla mente i tanti volti di pazienti che hanno vissuto un’esperienza di cura in questa comunità: con alcuni siamo in contatto, di altri abbiamo perso le tracce.
Redalloggio compie vent’anni: una comunità che alla sua apertura aveva già in se un elemento di originalità e differenza espresso dal nome stesso “alloggio” che la definiva come qualcosa di diverso e soprattutto di anticipatorio rispetto a ciò che abbiamo visto progressivamente svilupparsi negli anni successivi; mi riferisco allo sviluppo e valorizzazione di una residenzialità leggera che può svolgere una funzione ben precisa nel panorama delle diverse possibilità di cura per persone malate di patologie psichiatriche gravi.
Nello scorrere della vita di questa comunità non sono mancate le contradizioni e le ambiguità ma proprio il vivere un’esperienza lavorativa in una situazione che sta “in mezzo”(comunità o alloggio? terapia intensiva o estensiva?) mi ha fin da subito affascinato.
Il gruppo è piccolo, la gestione della casa è affidata in parte ai pazienti, si mangia tutti insieme le distanze sono accorciate in una dimensione che allude maggiormente ad una vera e propria casa.
Redalloggio è una struttura adatta per stimolare un rientro presso una propria abitazione, ma anche, in alcuni casi, un luogo dove i pazienti trovano una dimensione favorevole a lungo termine.
La storia di questi anni evidenzia come questi elementi sono stati sempre presenti entrambi. Alcuni pazienti, che sono transitati a Redalloggio, ora vivono in una dimensione di maggiore autonomia, altri hanno avuto bisogno di tornare in comunità più protette e meno stimolanti dal punto di vista prestazionale, ed altri ancora hanno trovato una dimensione di vita possibile e migliore rimanendo per tanti anni con noi. D’altronde, sappiamo che i percorsi di vita di ciascuno non sono lineari e perché dovrebbero esserlo quelli dei nostri pazienti? In questo senso mi sembra che Redalloggio rappresenti una trasgressione al sistema di cura proposto che sembra tendere ad una semplificazione che non sempre rispecchia la realtà dei bisogni che vediamo emergere nei nostri pazienti. Nonostante ciò, riconosciamo come lo stimolo ad avere un tempo definito di ricovero sia utile per tentare di non generare una dipendenza eccessiva sicuramente deleteria, nel percorso possibile di ciascuno di ri-appropriarsi o appropriarsi della propria esistenza riducendo la sofferenza.
Quindi Sabato facciamo festa per segnare ancora una volta la storia della comunità e le storie individuali di chi l’ha vissuta, per mettere una virgola che scandisca il racconto e le biografie di ciascuno.
Facciamo festa per ringraziare tutti gli operatori e ospiti che negli anni hanno contribuito a creare la comunità così com’è ora e facciamo festa per propiziare passaggi, scelte e cambiamenti futuri.
“…e adesso aspetterò domani per avere nostalgia signora libertà signorina fantasia, così preziosa come il vino, così gratis come la tristezza con la tua nuvola di dubbi e di bellezza…” Fabrizio De André