Dall’inizio della vita del bambino la sensibilità intera, ineludibilmente da quella dolorifica, cattura, registra gli input del mondo circostante intervenendo nella costruzione intrapsichica dei limiti e dei confini di un corpo che si articola con il mondo esterno.
La sensibilità dolorifica comprende una componente deputata agli aspetti sensitivo-discriminativi del dolore, afferente alla corteccia sensitiva, che discrimina la localizzazione e l’intensità del dolore, e una riguardante gli aspetti affettivi e motivazionali del dolore, afferente ai lobi limbici e frontali deputati alla dimensione emozionale ed affettiva, coinvolta nelle sensazioni spiacevoli provocate dal dolore.
Si può intuire come un danno delle vie dolorifiche possa intervenire nello sviluppo psicosomatico del bambino nella definizione del se’ e altro da se’ e nella regolazione del soggetto nel campo relazionale ovvero nella costituzione di un corpo fisico inscindibile da un corpo pulsionale orientato all’altro.
In questa accezione il dolore fisico sembra quindi un generatore esperienziale della rappresentazione del dolore inteso anche come stato affettivo, motore di una domanda volta all’altro, vuoi nell’allontanamento del dolore, vuoi nella ricerca del piacere, vuoi sorprendentemente nella ricerca del dolore.
Il bambino che si sveglia nel pieno della notte con il mal di pancia, con le viscere che si distendono e si contraggono, urla solo dolore o anche paura del dolore, per il dolore? Di quale aspetto del dolore chiede che l’altro ( la madre o chi per lei) si occupi per lui? Quale domanda riuscirà a formulare e quale risposta potrà ricevere un bambino affetto da “Insensibilità congenita al dolore” che avrà una paura senza pancia? Come si articoleranno tra loro la domanda del bambino e la risposta materna? O meglio troveranno un punto di incontro o saranno destinate a rimanere per sempre sganciate? Se è la risposta a restituire senso alla domanda attraverso l’interpretazione che la madre fa della domanda del bambino, allora cosa accadrà in questi casi?
Ambrosie Pare’, un chirurgo francese del ‘500, diceva: “Nulla e’ in grado di distruggere le forze quanto il dolore”. Se il piccolo Isaac e la sua famiglia non avessero il sostegno psicologico che meritano penserei invece alle forze vitali distrutte da un corpo sotto anestesia. All’anestesia del dolore che diventa anestesia vitale nella ricerca dell’incontro nell’altro, fenomeno sempre più diffuso nella società contemporanea, dove il professionista della salute mentale, talvolta, prima di curare, rieduca alla capacità del sentire, proprio come avviene per Isaac.
Luca Modolo – Neuropsichiatra Infantile
Il presente articolo fa riferimento a “Isaac, il bambino che non sente il dolore” [CorrieredellaSera.it]