Vaso di Pandora

Un’ipotesi

In merito all’articolo di Pier Aldo Rovatti, “Quel che ha da dire Basaglia sulla follia di oggi”, che ci ricordava l’attualità e l’importanza del pensiero di Franco Basaglia, vorrei esprimere alcune considerazioni.

In particolare, concordo con l’Autore dell’articolo che riprende un’osservazione effettuata da Franco Basaglia durante le “Lezioni Basiliane”, quando dice che la follia è dentro di noi, insieme alla ragione e che pensare di volerla ridurre alla ragione ed eliminarla tramite la Psichiatria è un’operazione priva di senso.

E’ quello a cui stiamo assistendo da… sempre e contro cui ritengo di avere lottato tutta la vita.

Il problema è come. Come far sì che la follia possa esprimersi, possa essere capita nel suo significato e possa permettere a chi fa parte dello scenario in cui si manifesta, il paziente individuato e tutti gli altri che ne fanno parte, di rileggere tutto quello che è accaduto, fino a quel momento, in quella situazione, in una maniera molto più vicina alla realtà di quanto non sia fatto abitualmente dalla Psichiatria, che tende a mettere tra parentesi la follia e a cercare di prendere, e di far prendere dagli altri, in considerazione il paziente come un malato? Punto e basta.

Per più di quaranta anni, sono stato psichiatra, fino a dirigere un Dipartimento di Salute Mentale, a Roma, con un bacino di utenza di 500.000 abitanti, psicoterapeuta ad orientamento sistemico e psicoanalista.

Fino a quando ho fatto riferimento al tentativo di umanizzare la Psichiatria, al pensiero psicoanalitico e a quello sistemico, separatamente, non sono riuscito, se non parzialmente, ad avere la forza di riconoscere di avere la mia quota di follia dentro di me, oltre che dentro gli altri e di trovare la maniera di prenderla in considerazione senza spaventarmi, per cercare di darle un significato, che ne evitasse l’espulsione sine die dal contesto interlocutorio nel quale ognuno vive.

Il modo in cui ciò si è rivelato possibile e di cui ho scoperto l’esistenza nel 1997, è costituito dal Gruppo di Psicoanalisi Multifamiliare, a cui sono chiamate a partecipare tante famiglie, compresi i pazienti che ne fanno parte e a cui possono essere presenti alcuni individui o anche un solo individuo proveniente da ogni famiglia, oltre agli operatori del Servizio al cui interno si svolge.

Non sto parlando di una proposta “tecnica”.

Ho partecipato personalmente al dibattito, appena successivo alla promulgazione della “180”, in cui si dibatteva tra i collaboratori di Franco Basaglia e altri operatori provenienti da tutta Italia, se fosse opportuno o meno, una volta superati i Manicomi, un fatto straordinario di cui non si è capito fino in fondo l’importanza, utilizzare nell’inedito scenario che si stava aprendo, quanto espresso dalla Psicoanalisi e dalla Teoria Sistemica. Io ero tra coloro che propendevano per una utilizzazione del patrimonio scientifico della Psicoanalisi e della Teoria Sistemica. E’ vero che entrambe erano nate in ambito privato e per patologie meno gravi di quelle presenti in Manicomio. Ma chi avrebbe potuto impedire di provare ad usarle sistematicamente nei Servizi Pubblici alternativi al Manicomio, per provare a dare un senso alla follia?

La mia tesi non fu accettata da Psichiatria Democratica. Così proseguii per mio conto, nella convinzione che Franco Basaglia aveva regalato a tutti noi una opportunità straordinaria: poter avere a che fare con la follia privi del sistema di contenzione della stessa attuato dal Manicomio.

Dopo venticinque anni di tentativi insoddisfacenti, ho avuto la fortuna di conoscere Jorge Garcia Badaracco, che aveva messo a punto un modo di lavorare, nato in un Manicomio, con pazienti simili ai nostri, in cui confluivano una pratica degli operatori volta alla umanizzazione delle cure, l’uso del pensiero psicoanalitico e di quello sistemico: il Gruppo di Psicoanalisi Multifamiliare (GPMF).

Partecipando ad esso, una volta la settimana oppure ogni quindici giorni, a seconda del contesto di cura in cui viene svolto, è possibile che si riattualizzino in diretta, con l’aiuto e la partecipazione di tutti i membri del GPMF, pazienti, familiari e operatori, quei passaggi da cui ha avuto origine la follia e che, anche oggi, seguitano a verificarsi, che rendono così difficile la vita in comune alle persone che sono coinvolte in questo problematico “stile di vita”.

Si tratta di costruire una Comunità di persone al lavoro, dedita al tentativo di farsi delle domande circa qualcosa che, generalmente, appare incomprensibile, contraddittorio, snervante e difficile da vivere.

Si tratta di prendere in considerazione la follia dove si manifesta, in famiglia, in una situazione di cura, la più simile a quella in cui si manifesta nella realtà. E di provare ad aiutare i presenti a porsi delle domande a proposito di sé stessi e del ruolo che hanno avuto e hanno e, soprattutto, a proposito di quello che può cambiare e come, in un clima molto più accogliente per tutti, radicalmente diverso da quello in cui sono vissuti per tanti anni e che, fino ad oggi, era sembrato l’unico praticabile.

La follia è una realtà umana molto seria, che necessita di essere presa in considerazione nel migliore dei modi o almeno non soltanto nei modi approssimativi e generalmente insoddisfacenti a cui la Psichiatria tradizionale ci ha abituato.  

Il GPMF può rendere più facilmente avvicinabili e, quindi, più efficaci l’insieme delle risposte, farmacologiche, riabilitative e psicoterapeutiche tradizionali, che nel migliore dei casi vengono già effettuate, purtroppo in misura troppo ristretta in relazione alle necessità dell’utenza.

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Commenti su "Un’ipotesi"

  1. questi incontri multifamiliari andavano inseriti di routine in ogni residenzialità assistita siano SPDC e siano comunità terapeutiche e sia in luoghi di cura come cliniche con progetti riabilitativi sia intensivi sia estensivi come di routine anche con cadenze non ravvicinate, mensili o quindicinali piuttosto che settimanali, ma comunque inseriti ed invitati i pazienti ed i familiari a parteciparvi pur senza l’obbligo di intervenire sulla fattispecie di incontri di mutuo aiuto. Purtroppo anche quei pochi tentativi fatti per me non hanno avuto molta utilità perchè mio figlio in ogni circostanza possibile durante i suoi “ricoveri” non è stato invogliato a partecipare e quindi la mia partecipazione non ha sortito gli effetti a cui questa pratica vuole arrivare. Grazie comunque ai tentativi fatti dal dott. Narracci durante il Suo impegno istituzionale e spero che possa continuare a divulgare questa pratica affinchè essa diventi istituzionale e facente parte integrante della cura anche per i casi più difficili e più gravi.

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  2. La differenza la fanno le persone competenti ed oneste, tu e Badaracco, siete tra questi che abbiamo e stiamo frequentando, ma anche Petrella, Conforto, Zapparoli, Antonello R., Peciccia.
    E poi l’esperienza comunitaria di gruppo di lavoro che ci accomuna.

    Rispondi

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