Vaso di Pandora

45 anni dopo

45 anni fa, mi trovavo a Trieste. Ci venivo spesso, per partecipare alla Ricerca del CNR dal titolo:” Prevenzione delle malattie mentali”, che vedeva coinvolte cinque unità: tre principali, Trieste, Arezzo e Perugia, sede delle principali esperienze alternative in Psichiatria, in Italia e nel mondo, più Roma con due piccole unità di ricerca. Io facevo parte di una delle due unità di Roma, coordinata da Luigi Cancrini. Mi occupavo di:” Interventi psicoterapeutici in situazioni di crisi psicotica”. L’altra era coordinata da Massimo Ammaniti.

A Trieste, come ad Arezzo e Perugia, avevo la possibilità di confrontarmi con operatori formidabili, che stavano portando avanti esperienze che avrebbero cambiato il volto della Psichiatria, in Italia e nel mondo,

In queste discussioni si parlava della profonda importanza di avere messo in crisi l’assetto della Psichiatria Istituzionale con la proposta di giungere alla chiusura dell’OP di Trieste. Nel 1977 si era tenuto il Reseau per la chiusura dell’OP. Poi nel 1978 era stata promulgata la Legge di Riforma Psichiatrica che riconosceva necessari sia la chiusura degli OOPP, sia la loro sostituzione con Servizi Psichiatrici territoriali, che avrebbero garantito un’assistenza migliore ai malati.

A quel punto, ci si chiedeva a quali idee di fondo si immaginava di doversi riferire per affrontare la sofferenza mentale grave, da lì in poi.

Come a dire che l’acquisizione della libertà per i malati di mente fosse un passaggio fondamentale, ma che non esauriva di per sé tutti i problemi.

Ci si chiedeva, allora, se potesse essere necessario far riferimento alla fondazione di una Nuova Psicologia dell’Uomo, una volta che l’umanità si fosse liberata della segregazione come pseudo-cura, attuata fino a quel momento con gli OOPP, oppure se potesse avere un senso immaginare di utilizzare le esperienze condotte in campo psicoterapeutico, di ispirazione psicoanalitica e/o sistemica, per collaborare a mettere a punto i programmi di cura. E’ vero che questi due orientamenti si erano sviluppati in ambito privato e per pazienti meno gravi. Ciononostante avevano fornito apporti fondamentali alla comprensione delle forme patologiche più gravi.

E’ vero che lo avevano fatto in una forma assai limitata, con esperienze condotte da pochi terapeuti straordinari e che soltanto loro erano stati in grado di condurre un tipo di esperienze del genere. Però è anche vero che gli apporti teorici e tecnici che avevano prodotto avevano costituito un arricchimento cospicuo all’idea di poter affrontare la patologia mentale grave come qualcosa che poteva essere capita e trasformata mediante trattamenti che coinvolgessero l’individuo separatamente o un gruppo di individui, per quanto riguarda la Psicoanalisi, oppure la famiglia nel suo complesso, presa in considerazione come un sistema, per quello che concerne la Terapia familiare, sia sistemica che psicoanalitica.

Le discussioni erano molto animate. Io ero tra quelli che sostenevano che fosse il caso di fare riferimento alle concettualizzazioni psicoanalitiche e sistemiche. Naturalmente prevalsero gli altri. Così facendo, però, gli epigoni di Basaglia si ritrovarono con un compito immane, difficilissimo da assolvere. Viceversa, a me capitò di incontrare Jorge Garcia Badaracco che aveva messo a punto un modo di intervenire nella psicosi, nato in OP e basato sui riferimenti, da un lato, alla psicoanalisi, dall’altro, alla teoria sistemica.

45 anni dopo, nel 2023, sono stato chiamato da un coraggioso collega di Trieste, Pietro Zolli, ad illustrare come può essere concepito il Gruppo di Psicoanalisi Multifamiliare (GPMF) e, soprattutto, come può essere messo in campo nei CSM.

Il GPMF è costituito da un insieme di famiglie, compresi i pazienti e da un ampio numero di operatori del Servizio Psichiatrico che decide di utilizzarlo, appartenenti a tutte le categorie professionali che lo compongono. Quindi, è composto non soltanto da psichiatri e psicologi, ma anche da infermieri, assistenti sociali, terapisti della riabilitazione psichiatrica, etc. etc. .

Confesso che fossi molto timoroso, sulle prime, nel portare elementi di riflessione dell’intervento psicoterapeutico nei luoghi in cui era stata messa a punto e sviluppata la teoria della liberazione dal Manicomio.

Ma, ben presto, mi sono reso conto che, nonostante gli operatori, in particolare quelli più giovani, sottolineassero che i Servizi per la Salute Mentale di Trieste fossero molto efficienti, in realtà i Servizi apparivano loro essere molto “saturi”. Come se, a livello organizzativo, fosse stato prevista la giusta contromisura ad ogni tipo di problema che si prospettasse e che questo finisse per sminuire la necessità, da parte degli operatori, di scervellarsi alla ricerca delle soluzioni, cioè li costringesse a fare i conti con la loro creatività come in qualsiasi altra città d’Italia, in cui non mancano sollecitazioni quotidiane di questo tipo. Come se il desiderio proposto proprio dai più giovani, appartenti sia alle categorie professionali più specialistiche, sia a quelle di meno, fosse quello di ripartire dai bisogni, se possibile non preformati, messi in evidenza da pazienti e familiari. Anzi, forse si trattava proprio di questo: un po’ come ripartire da zero, non da bisogni già identificati, ma dai bisogni emergenti dalle situazioni critiche che si manifestano oggi.

La prima giornata è stata dedicata alla enunciazione dei principi generali.

La seconda ci siamo calati nel gruppo costituito dai discenti, disposti in cerchi concentrici, volto a far sentire loro il clima che si costruisce in un GPMF, in cui, per partecipare alla pari con tutti gli altri, gli operatori non possono bisbigliarsi le impressioni tra vicini, con il rischio/certezza della tendenza ad escludere gli altri dalla “comunicazione privata” che si ritagliano e che sarebbe del tutto incompatibile con quello che avviene in un gruppo. Così come sarebbe del tutto improprio dare un’occhiata al telefonino, che è una parte di noi, ormai, ma che non può essere nemmeno una via di fuga nella quale immergersi per evitare di fare i conti con le emozioni dolorose ma illuminanti che possono comparire in un GPMF e a cui, se vogliamo che la nostra presenza abbia un senso nel gruppo, non possiamo sottrarci. 

In poche parole sono stati due giorni pieni di stimoli e di riflessioni, nel corso dei quali ha avuto ampio riconoscimento non solo il movimento nato dall’opera di Franco Basaglia, ma anche le considerazioni di Jorge Garcia Badaracco. 

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Commenti su "45 anni dopo"

  1. Grazie Andrea,
    La tua tenacia e creatività sono un esempio, portare nel cuore della “riforma” elementi di innovazione autenticamente sostenuti da supporti scientifici e da una enorme mole di esperienze concrete non è cosa da tutti

    Rispondi

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