Il 2 aprile si celebra la giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo. A distanza di 16 anni dalla sua istituzione si possono fare alcune riflessioni in ambito scientifico, organizzativo e culturale.
L’ambito scientifico
Il grande aumento dell’incidenza (1 caso ogni 77 nati, in provincia di Parma un incremento dai 90 casi del 2011 a 672 del 2022) non trova ancora una spiegazione precisa. I dati della ricerca genetica, le esposizioni a farmaci o sostanze tossiche in gravidanza, l’età dei genitori, le neuroscienze, lo stato dell’inquinamento ambientale segnalano aumenti di rischio ma non consentono una risposta definitiva.
All’incremento hanno contribuito in nuovi criteri diagnostici (DSM 5) e il concetto di Spettro Autistico che ha una maggiore accettazione sociale della diagnosi rispetto ad altre.
La base biologica per quanto ancora non certamente definita è stata contrapposta a quella psicologico-relazionale, ottenendo il risultato di non colpevolizzare le famiglie e in particolare le madri. Tuttavia tutte le ricerche su genetica/epigenetica, plasticità del cervello hanno evidenziato come siano cruciali le relazioni, l’intersoggettività, sintonizzazione, attaccamento, regolazione per lo sviluppo della comunicazione, del linguaggio, di abilità, di socializzazione e di comportamenti adeguati. E’ quindi necessario, al di fuori di ogni logica giudicante, vedere come evolve il rapporto bambino-genitori, caregiver utilizzando tutti gli approcci disponibili, psicoanalisi evolutiva compresa. Le condizioni genetiche e del SNC possono essere molto diverse e pur essendo emerse evidenze relative alle dimensioni e alle connessioni, si stanno delineando possibili sottotipi ma non ancora una spiegazione unitaria. Anche la scoperta dei Neuroni specchio (Rizzolatti) richiede altre ricerche.
L’approccio biopsicosociale, ambientale e culturale evidenzia come vadano considerati tutti i fattori, nella loro entità e nelle reciproche relazioni tenendo conto dell’ambiente e dell’impatto delle nuove tecnologie. La visione olistica è il riferimento per inquadrare le conoscenze che sono in aumento ma non definitive. Perciò risulta fondamentale la ricerca di tipo interdisciplinare.
Le diverse Linee Guida, ultime quelle australiane, hanno un livello “medio” e “basso” delle revisioni delle evidenze dei tanti interventi proposti. Ad oggi sappiamo che è importante la diagnosi precoce entro i 24-30 mesi con attenzione ai primi 12 mesi che potrebbero essere cruciali. Non vi è un farmaco specifico. Gli psicofarmaci possono dare benefici ma va tenuto conto dell’estrema variabilità individuale, della necessità di controllarne azioni ed effetti collaterali. Gli psicofarmaci vanno sempre preceduti e associati a interventi educativi, socio-relazionali e familiari.
In sintesi ad oggi l’intervento è educativo che deve essere precoce e globale. Esso deve essere praticato da professionisti, genitori, educatori in modo che sia sulle 24 ore. A tal fine, l’OMS promuove il programma “Caregiver Skills Training” (CST). La diagnosi di autismo riguarda il bambino e la sua famiglia.
L’intervento deve essere altamente personalizzato, fatto su misura per la persona e la sua famiglia e contesto di vita. Non vi è certezza che quanto è efficace in un caso lo sia anche in un altro, anche simile.
L’intervento deve essere adeguato alla fase di sviluppo e sempre adattato al contesto con adeguate supervisioni. L’efficacia degli interventi è ancora da valutare compiutamente con studi di esito. Tuttavia una percentuale intorno al 20% dei casi viene ad avere un funzionamento caratterizzato da una grave disabilità.
L’ambito organizzativo
Negli ultimi 15 anni i servizi sanitari sono stati rinforzati ma hanno ancora molte difficoltà nell’assicurare tempestività e intensità di cure alla persona e famiglia. Lo stesso per quanto attiene ai servizi sociali in merito al Progetto di vita (legge 328/2000) e il sostegno delle famiglie/care giver. Se i servizi sanitari devono essere sostenuti, essi non possono sostituire il contesto educativo e sociale di riferimento.
Questo a maggior ragione a fronte della complessità degli interventi che richiede una permeabilità disciplinare e la capacità di adattare le attività a seconda dei contesti per garantire accessi a cure specialistiche, ospedali, ma anche negozi, teatri stadi… Per questo servono adeguati investimenti pubblici e privati e una crescente sensibilità per imparare linguaggi nuovi, non verbali.
Il tema di fondo è quello dei diritti/doveri e di come declinare, armonizzare e utilizzare i diversi interventi disponibili a livello sanitario, sociale e nella comunità. E’ indubbio che il diritto all’autodeterminazione, alla libertà, al progetto di vita indipendente debbano essere assicurati, anche se appoggiati sulla presenza dell’altra persona, familiare, caregiver e amministratori di sostegno. Ciò richiede investimenti per far fronte a condizioni che possono essere di disabilità, anche molto grave. Questa consapevolezza implica anche la capacità di articolare servizi che siano sempre più adeguati per assicurare la vita della persona nella comunità evitando ogni forma di neo-istituzionalizzazione. A tal fine è necessario sostenere le famiglie, predisporre ambiti di sollievo e autonomia, equipe mobili, centri diurni, alloggi protetti, fattorie…
E’ necessaria un’innovazione dei servizi superando le divisioni tra sanitario e sociale, tra educazione e terapia, tra cure e care. Le persone hanno livelli molto diversi di funzionamento e possono studiare, laurearsi, lavorare, progettare e costruire la propria vita. Fondamentale è il ruolo delle associazioni dei familiari, il loro ruolo nell’assicurare sostegno ai servizi, forme di automutuoaiuto e sensibilizzazione dell’opinione pubblica.
Alcune riflessioni finali
Nella letteratura si sottolinea la rilevanza delle co-morbilità con ADHD, con disabilità intellettiva, epilessia, disturbi mentali mentre secondo un’altra ottica si considera l’espressione della stessa alterazione biologica nei diversi apparati: sistema nervoso, apparato sensoriale, digerente, ed altri che spiegherebbe l’ipersensibilità, le intolleranze e la difficoltà all’adattamento e alla socializzazione. Due approcci che possono integrarsi?
Si tratta di una condizione che si mantiene tutta la vita o di un disturbo che, pur di lunga durata potrebbe essere reversibile? La diagnosi precoce di una condizione rappresentata come irreversibile quali ricadute ha sui genitori (reazioni depressive) e sulle speranze di cura?
Il concetto di Spettro che unifica sulla base di comuni disturbi della comunicazione e socializzazione per altro di diversa intensità, quadri molto diversi per quanto riguarda il funzionamento, la gravità e i bisogni assistenziali, rischia di dare una rappresentazione fuorviante del disturbo accentuando i tratti di genialità, creatività e le prodigiose capacità di memoria o di calcolo. Questo può essere utile a ridurre lo stigma ma rischia di rendere secondari i bisogni dei casi più gravi, a basso funzionamento, non verbali, con significativi comportamenti problema.
Il concetto di spettro rischia di portare alla ricerca di tratti autistici in adulti con altri disturbi mentali suffragando, a posteriori la convinzione di essere affetti da una condizione non diagnosticata e di conseguenza non trattata, con conseguenti rivendicazioni.
La prevalenza nei maschi è 4 volte superiore a quella delle femmine, e quella dei migranti/stranieri (il 40% delle nuove diagnosi) aprono interrogativi diversi. Infine non siamo di fronte a bambini “da aggiustare” ma da amare ed educare con tutte le attenzioni e competenze, da parte di famiglie sempre più preparate, servizi educativi, scolastici, sociali e sanitari capaci di lavorare insieme in contesti sociali accoglienti, educanti e curanti. Una consapevolezza sull’autismo che serve ad ogni forma di diversità.