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Workaholic: quando il lavoro diventa ossessione

Nella frenetica società contemporanea, il lavoro assume inevitabilmente un ruolo centrale. Tuttavia, per alcuni, la normale dedizione e il consueto investimento di tempo ed energia si trasformano in una vera e propria ossessione. In questo approfondimento esploreremo il fenomeno dell’eccesso di zelo. Ne analizzeremo origini, significato e implicazioni psicologiche. In aggiunta, faremo in modo di spiegare chi siano le persone comunemente definite workaholic, illustrando l’origine del termine anglosassone e perché sia così azzeccato per descrivere questo fenomeno.

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Origine e significato del termine workaholic

Il termine workaholic è una crasi di due parole inglesi. Si tratta di una fusione dei termini work, lavoro, e alcoholic, alcolista. L’espressione è stata coniata negli anni ’70 e il primo a farne uso è stato lo psicologo statunitense Wayne Oates. La parola descrive una persona che mostra compulsiva ed eccessiva dedizione al lavoro, spesso a discapito di altre sfere della vita. Il workaholic si contraddistingue per l’incapacità di staccarsi completamente dall’ambiente lavorativo, alimentando un ciclo senza fine di impegno e stress.

Riconoscere un workaholic o una workaholic

Chi soffre di dipendenza dal lavoro vive giornate in cui è completamente assorbito, o assorbita, dalla propria professione o, comunque, da attività strettamente correlate a essa. Naturalmente ciò va a diretto discapito di relazioni e tempo libero. Non solo. Tutt’altro che di rado, infatti, è possibile che venga intaccata anche la stessa salute mentale del workaholic.

Quando il lavoro diventa l’unico perno della propria vita, e mette in secondo piano tutto il resto, oscurando o annebbiando qualunque altra dimensione coinvolga la vita di una persona, esso assume un carattere totalizzante. Ogni altra cosa passa sullo sfondo e la propria realizzazione personale diviene una vera e propria ossessione. Il workaholic soffre di una vera dipendenza patologica. Nel suo particolare caso la sostanza che gli dà, o le dà, dipendenza non è affatto una sostanza, bensì si tratta del lavoro. Il sintomo più evidente, e riconoscibile a occhio nudo, di una persona che vive questa condizione è la sua incapacità di governare l’impulso a lavorare. Ogni volta che fa altro si sente svuotata, fuori focus, e teme di sprecare il suo tempo. È come se si trovasse soddisfatta o appagata soltanto quando si immerge nella propria professione.

Il workaholic è gratificato (o gratificata) soltanto quando lavora; la sua autostima si afferma esclusivamente mentre è coinvolto (o coinvolta) nelle attività richieste dalla mansione che svolge.

Workaholic, quando il troppo lavoro mina la salute mentale
Un workaholic si concentra principalmente, quando non esclusivamente, sul proprio lavoro, minando il proprio benessere mentale e, di conseguenza, fisico

Le cause dell’ossessione da lavoro

Le ragioni dietro l’ossessione verso il lavoro sono molteplici e complesse. Una delle principali cause risiede nella ricerca di gratificazione e validazione personale. Molti ritengono che la maniera più rapida e diretta per raggiungere un simile obiettivo sia la rincorsa del successo professionale. Temere di fallire, o desiderare di affermarsi, può spingere un individuo a dedicarsi in modo smodato al lavoro. Il progresso tecnologico ha reso sempre più difficile stabilire limiti tra vita professionale e privata, contribuendo all’instaurazione di una costante pressione lavorativa. Le possibilità che abbiamo oggi per restare sempre connessi e collegati l’uno con l’altro sono validi incentivi all’ingresso nel tunnel della dipendenza da lavoro.

Sono state osservate sia cause genetico-biologiche sia motivazioni ambientali-caratteriali. Biologicamente, è possibile che in una persona si sviluppi uno squilibrio nei neurotrasmettitori che regolano il piacere e la gratificazione. Dal punto di vista ambientale, invece, è possibile che il soggetto manifesti una simile tendenza se ha passato l’infanzia all’interno di una famiglia o di un gruppo sociale troppo perfezionisti ed eccessivamente rigidi. Anche l’esperienza di eventi stressanti – ad esempio, il divorzio dei genitori in tenera età – può seminare un germe che, non appena sviluppato, costringerà l’individuo a trovare la sua unica valvola di sfogo nel proprio lavoro. Ansia da prestazione, bassa autostima o fuga da vuoti affettivi sono tutti corresponsabili della condizione.

La classificazione psicologica del workaholic

Da un punto di vista più strettamente psicologico, il workaholic può essere classificato come una persona affetta da una forma di dipendenza comportamentale. Questa condizione porta spesso a conseguenze negative sulla salute mentale e fisica, aumentando il rischio di stress cronico, disturbi dell’umore e problemi relazionali. È fondamentale riconoscere come la dipendenza da lavoro non sia una mera espressione di dedizione, bensì una condizione che richiede una valutazione attenta e, qualora si rivelasse necessario, un pronto intervento terapeutico.

Un metodo valido per affrontare la dipendenza da lavoro è la consulenza psicologica. Sedute focalizzate su una giusta educazione alla professionalità e sull’eliminazione di tutte le preoccupazioni associate possono alleviare la condizione, o eliminarla del tutto qualora essa non sia una manifestazione di disturbi più profondi, quali ansia o depressione. Talvolta infatti, il workaholic o la workaholic mascherano con l’iperattività sul lavoro problemi di gravità e incidenza maggiori.

La genesi della dipendenza varia di persona in persona ma perché la psicoterapia possa svolgere il suo compito di indagarla è necessaria portare a galla il problema e fare in modo che chi ne soffre riconosca il suo stato. Nei manuali diagnostici il workaholism trova poco spazio. Ciò si deve al fatto che la società vede tendenzialmente di buon occhio chi si impegna molto per realizzarsi e raggiungere il successo professionale. Le aziende per prime stimolano e favoriscono questo tipo di comportamento. Di fatto, non c’è nulla di male nel proferire impegno e attenzione sul lavoro ma occorre essere in grado di non superare mai la soglia di equilibrio tra salute psicologica e attività professionale.

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