Vaso di Pandora

Vita da rider

“Non cado dalle nuvole ma ho toccato con mano quello che accade a questi poveri ragazzi. È stata la prima volta che ho usato l’applicazione. Ero ignorante, ora ne ho preso consapevolezza. Ma questo povero cristo cos’ha dovuto patire per portarmi a casa degli hamburger con patatine?”, ha scritto su Facebook l’ex assessore Andrea Bassi dopo aver assistito in prima persona alla vicenda di un rider che ha percorso decine di km da Verona a Bussolengo, per consegnare la cena ordinata su Deliveroo. Bassi ha cercato un’espressione per definire il suo stato d’animo di cliente beneficiato dal sistema delle consegne a domicilio e non ha faticato a trovarla: senso di colpa. D’ora in avanti, ha deciso che i panini andrà a prenderli da solo, ma sa che nemmeno questa è la soluzione. Ipotizza che il prossimo passo delle multinazionali sarà quello di sostituire i rider con dei droni, per i quali nessuno potrà più commuoversi.

Purtroppo quello di Filippo Bazerla, giovane rider veronese, non è un episodio isolato, sono numerosi i ragazzi che lavorano su due ruote, spesso persino sprovviste di catarinfrangenti. Ma non è l’unica mancanza a cui son costretti a sopperire. A questi ragazzi manca ogni forma di tutela: alle visite mediche prima e durante il periodo lavorativo alla dotazione dei mezzi di sicurezza, come il casco, dei mezzi stessi e della loro manutenzione. Le aziende di delivery si ostinano ad assumere i lavoratori con contratti da finti autonomi, nascondendosi dietro a questa presunta autonomia del lavoro dei rider, non si preoccupano affatto della sicurezza dei lavoratori. I rischi a cui sono sottoposti sono molteplici.

I tribunali iniziano ad affrontare cause relative a questa figura lavorativa. Il Tribunale di Torino, ha dato ragione a otto ciclofattorini di Glovo che avevano presentato un ricorso chiedendo di essere riconosciuti come lavoratori subordinati. Ai rider verrà assegnata una somma di denaro per colmare la differenza retributiva per il periodo in cui hanno prestato servizio. Altre due richieste non sono state accolte. La prima si riferiva alla “mancanza di trasparenza” dell’algoritmo utilizzato dall’azienda per assegnare gli incarichi, che secondo i ricorrenti aveva effetti discriminatori sui lavoratori in sciopero. La seconda era legata alle carenze e omissioni in materia di sicurezza sul lavoro. “Su questi punti ricorreremo in appello. Si sente tanto parlare di risarcimenti per migliaia di euro per le offese su Facebook ai personaggi politici e poi chi catapulta i lavoratori in strada a pedalare senza misure di prevenzione e senza sorveglianza sanitaria non deve nemmeno pagare. Deve scapparci il morto perché vengano presi dei provvedimenti?” spiega l’avvocato Giulia Druetta, legale dei rider.

Di contro, il rider Bazerla afferma: “Non mi sento sfruttato, perché non conta la quantità di denaro nel mio modo di essere, quanto la qualità del tempo in cui vivo. Se vado in ufficio devo stare in silenzio 8 ore per fare 2 ore di pausa pranzo, insomma cose alienanti e per me tristi. Io rifiuto e sempre lo farò.” Estremamente chiara la filosofia di vita di Filippo che preferisce lavorare all’aria aperta, macinando chilometri, piuttosto che vivere in modo alienante nelle quattro mura di un ufficio.

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