La violenza si manifesta in modo diverso con esiti dissimili in relazione all’appartenenza al genere maschile o femminile.
Detto così lascia il tempo che trova.
Ovvio direte che un maschio usi la forza per prevalere, ovvio che un maschio vada in guerra uccida i cosiddetti nemici: ricordate la guerra di Piero di De Andrè?
Altrettanto ovvio che una femmina si difenda sottomettendosi ed assecondando la prepotenza del partner per sopravvivere al punto di accettare l’inaccettabile, le percosse , gli insulti (gli animali ci insegnano).
Ovvio, per niente ovvio un accidente.
Il demone che alberga dentro le persone si palesa ogniqualvolta si affronta un problema in questo modo perché si evita di affrontare il fatto in sé che a mio avviso è sia di ordine sociale che personale, ma le due direttrici inevitabilmente si intrecciano.
Assistiamo al baccano dei media, al silenzio negli stadi, alle rappresentazioni di una ovvia protesta a fronte di omicidi ripetuti che interessano prevalentemente donne e poi?
Ricordate il conformista di Giorgio Gaber? Ascoltatelo.
Il vero problema è la dipendenza, la mancanza di libertà di espressione, l’impossibilità di essere realmente ascoltati.
Che il maschio tema la potenza orgasmica della donna (intendendo con ciò la capacità di animare e confondere, di esaltare e deludere, di creare e distruggere) è storia vecchia come il mondo.
Che le donne debbano essere protagoniste della vita politica e sociale ed apportare valore prescindendo dalla banalità degli uomini è cosa saggia e utile, ma lasciamo perdere la farsa delle quote rosa.
La complementarità del femminile e del maschile va curata attentamente sia in famiglia che a scuola per permettere una reale parità di diritti e doveri nell’ambito della scontata differenza.
Personalmente ho realizzato quello che ho fatto prevalentemente con l’aiuto delle rappresentanti del genere femminile senza rinunciare al mio essere maschile riconoscendo che dentro di noi entrambe le funzioni albergano.
Commento di Pasquale Pisseri
Tutto da condividere, e in particolare l’inevitabile intreccio fra fattori sociali e personali: i primi prevalenti nei maltrattamenti e violenze “minori”, ben descritti nel film di Paola Cortellesi, ma anche negli ostacoli tuttora non del tutto rimossi alla carriera delle donne; i secondi, personali, necessariamente presenti nel femminicidio che – non dimentichiamolo – mentre distrugge la vita della donna devasta anche quella dell’assassino, spesso suicida o destinato alla galera. E’ fondatamente ipotizzabile qui un disturbo, in forma di psicopatologia narcisistica che impedisce di concepire l’oggetto di “amore” altro che come oggetto-sè, cui è impossibile rinunciare (va precisato che ciò non implica una incapacità di intendere o volere).
E’ anche vero che in qualche modo temiamo il femminile, con la sua potenza orgasmica e riproduttiva. Essa va ben al di là di quanto espresso in un vecchio detto, che mi permetto di ricordare pur se un po’ volgare: “Il est plus facile de rester la bouche ouverte que le bras tendu”.
E la mamma è il primo essere con cui abbiamo a che fare nella vita, in condizioni di totale dipendenza. Ed è l’essere indiscutibilmente capace di generare: si dice che per millenni il ruolo riproduttivo del maschio sia stato misconosciuto, per incapacità di riconoscere il collegamento fra la gravidanza e l’incontro sessuale (sarà vero?).
Qui, credo, nasce l’intreccio fra fattori psicologico-individuali e sociali: forse abbiamo compensato queste inferiorità col ricorso al solo nostro indubitabile vantaggio, la forza muscolare. Un po’ ambivalenti, al riguardo, tante posizioni religiose e filosofiche: la Madonna è figura importante, ma non propriamente divina; il Taoismo sottolinea l’importanza del principio femminile, ma Lao Tse era un maschio, e così, credo i suoi allievi…
Non a caso la supremazia maschile è entrata in crisi da quando la rivoluzione industriale, ai primi dell’800, ha reso i muscoli molto meno importanti, utilizzabili più che altro in una squallida violenza domestica. Sono nati allora – non per caso – i movimenti femministi e ha iniziato a cambiare il rapporto fra i due generi, in un lento movimento che tuttora non è affatto completato.