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Violenza assistita: gli impatti psicologici sui bambini

Cura, dialogo e affettività sono tre tratti distintivi di un buon ambiente familiare. La presenza o assenza di questi elementi caratterizza e distingue tra uno spazio sano in cui i bimbi possono crescere, maturare, svilupparsi e uno nel quale ciò non viene loro consentito, dal momento che il loro viaggio verso l’adolescenza e l’età adulta viene affrettato e segnato da episodi lesivi, ai quali non dovrebbero mai assistere.

L’equilibrio di una situazione corretta e consigliabile può venir meno. Ciò avviene se le famiglie si trasformano in luoghi insicuri. Ci troviamo in questa situazione quando i comportamenti violenti di uomini che si fa fatica a definire tali, nei confronti di madri e figli, compromettono la salute fisica e mentale di entrambe le vittime. Queste sono naturalmente più di due, se la famiglia è più numerosa. Nel seguente approfondimento vogliamo esaminare gli impatti psicologici che la violenza assistita comporta sulla salute mentale dei più piccoli.

Che cos’è la violenza assistita?

Violenza assistita: una donna ha assistito a un abuso e cammina preoccupata
La violenza assistita impatta sulla psicologia di tutti quelli che ne sono a conoscenza

Il CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso dell’Infanzia) ci ha dato la definizione più accurata di violenza assistita. Secondo l’ente si tratta del fare esperienza, da parte del/la bambino/a, di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o altre affettivamente significative adulti e minori. I numeri ci dicono che, In Italia sono oltre 425mila i minorenni che, nell’arco temporale della loro infanzia o adolescenza vivono, loro malgrado, una o più storie di violenza in casa. Il sopruso può essere diretto o indiretto. In quest’ultimo caso, il bambino prende comunque consapevolezza di quello che sta accadendo. Gli basta, o le basta, osservare gli effetti stessi della violenza esercitata da padri, compagni o anche ex-partners sul corpo della mamma, la sua psiche e/o l’ambiente in cui vive.

Gli effetti della violenza assistita sul piccolo

L’abuso domestico, anche se vissuto soltanto come violenza assistita, ha effetti e conseguenze sulla salute del minore. Questo altera profondamente le sue capacità di socializzazione e va a impattare direttamente con le abilità sociali. Quanto scritto è valido in numerosi ambiti della vita e dell’espressione del bambino o della bambina:

  • sviluppo fisico: il bambino e la bambina, soprattutto se si trovano in tenera età, non dovrebbero essere sottoposti a stress e violenze. Quando ciò accade, psicologicamente parlando, si possono manifestare deficit nella crescita staturo ponderale e ritardi nello sviluppo psico motorio. Sorgono tipicamente anche disturbi visivi, probabilmente dovuti a una sorta di autodifesa. È come se volessimo rifiutarci di assistere a certe scene.
  • Impatto sullo sviluppo cognitivo: esporsi a violenza danneggia lo sviluppo neuro-cognitivo del bambino. Ciò si traduce in effetti negativi sull’autostima, sulla capacità di empatia e sulle competenze intellettive. Tutti elementi chiave dello sviluppo di ogni competenza sociale.
  • Modellazione del comportamento: paura costante, senso di colpa nel sentirsi privilegiati (quando la violenza assistita pone il bimbo in platea, di fronte ai soprusi propugnati dal padre nei confronti della madre), tristezza e rabbia dovute a senso d’impotenza e incapacità di reagire sono conseguenze che hanno un impatto serio e duraturo sul bambino esposto a violenza. Inoltre, non di rado insorgono fenomeni quali ansia, maggiore impulsività, alienazione e difficoltà di concentrazione. Sul lungo periodo, tra gli effetti registrati, evidenziamo anche casistiche tutt’altro che sottovalutabili. Ci si riferisce a episodi più o meno gravi di depressione, tendenze suicide, disturbi del sonno e disordini alimentari.
  • Limitazione nelle capacità di socializzazione. Quando un piccolo subisce violenza assistita è portato a dubitare degli altri. Le persone possono dimostrarsi benevole e poi svelare la loro faccia peggiore nel privato. Dopo averlo sperimentato sulla sua pelle, a causa del sopruso familiare, ecco che il giovane o la giovane perde parte della sua innata capacità, comune a tutti gli uomini, di stringere e mantenere rapporti sociali. Di qualunque tipologia.

Reagire al disagio domestico

Per quanto difficile sia spezzare le catene della violenza assistita (proprio come avviene con quella domestica subita in prima persona), ciò non è impossibile. E’ di importanza fondamentale non interrompere le relazioni parentali e amicali che possono dare supporto. Si può cercare aiuto presso centri specializzati. Ve ne sono diversi e si tratta di hub o sportelli specifici anti-violenza. Esiste poi una linea telefonica dedicata, nazionale e gratuita anti-violenza e stalking: il 1522.  Il canale di dialogo è multilingue e attivo 24 ore al giorno, Sia da rete mobile, sia da linea fissa.

Rispondere a una violenza assistita

Qualora il sopruso non ci riguardasse direttamente, ma fossimo noi ad accorgerci di segnali rivelatori, non restiamocene con le mani in mano. Contattiamo subito le forze dell’ordine al numero 112. Se approcciamo la vittima, magari perché siamo a lei vicini, affrontiamo l’argomento, con discrezione, e ascoltiamola. Suggeriamole poi di rivolgersi a servizi specializzati che possano offrire sostegno. Se invece siamo medici o insegnanti e scoviamo i segni di una violenza, assistita o meno, su un bambino, iniziamo affrontando i familiari in maniera indiretta, cercando di capire il quadro della situazione. Insegnanti, personale sanitario in servizio nei presidi pubblici e operatori nei servizi, in quanto incaricati di pubblico scrutinio, hanno l’obbligo di segnalare il caso di violenza o maltrattamento in famiglia alle autorità competenti.

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