Vaso di Pandora

Trasformazioni, variazioni, invarianze: un apologo psicoanalitico

Presentazione

Ho chiesto all’amico Fausto se potevo pubblicare un suo contributo breve sul Vaso di Pandora web.
La Moldava, così si chiama, è stato già pubblicato almeno tre volte in altre prestigiose riviste, io lo voglio riproporre ad un pubblico più ampio non solo di specialisti, ma di persone intelligenti e curiose quali sono i nostri lettori.
Al di là dei ricordi personali di Fausto e della sua capacità di sviluppare agilmente un pensiero profondamente articolato, quello che mi ha interessato e che mi piacerebbe fosse oggetto di commenti è, soprattutto in un mondo in rapido cambiamento con bisogno di modelli di riferimento nuovi ma solidi, che nello scritto venga evidenziato come ciò che definiamo “vero” non sia solo legato alla cruda realtà, ma possa appartenere ad una costruzione di ricordi e di storia nonchè di antichi valori.
di Giovanni Giusto

Sembra indiscutibilmente appartenere alle “proposizioni vere” l’affermazione che il fiume Mincio non confluisce nella Moldava. Infatti la Moldava – in ceco Vltava, in tedesco Moldau – è un grande fiume dell’Europa centrale, il cui corso è interamente incluso nella Repubblica Ceca. Tutti lo ricordano perché è il fiume che attraversa splendidamente Praga.

Con la Moldava il Mincio non c’entra nulla, perché il Mincio nasce dal lago di Garda ed è un affluente del Po. Nel suo percorso non tocca Praga, ma, come è noto, la città di Mantova. Qui si allarga in tre piccoli laghi. Stando così le cose, dove mai il Mincio potrebbe entrare nella Moldava?

Mi rendo conto che un simile discorso può sembrare assurdo. Molto dipende tuttavia da come si svilupperà.

La proposizione “il fiume Mincio non confluisce nella Moldava” è deliberatamente costruita come un’altra bizzarra proposizione “certamente vera”, ideata da Wittgenstein nelle sue Ricerche filosofiche (p. 290). “Una rosa non ha denti. Infatti dove mai una rosa dovrebbe avere i denti?”. Tuttavia, continua Wittgenstein, questa proposizione è assurda solo in apparenza. Infatti: “La mucca mastica il suo foraggio, poi con gli escrementi concima la rosa; dunque la rosa ha denti nella bocca di un animale. Questo non sarebbe assurdo, perché a tutta prima non si sa affatto dove cercare i denti di una rosa”.

Il “gioco” linguistico-antropologico proposto genialmente da Wittgenstein interessa lo psicoanalista, che si dichiara sempre alla ricerca del vero e al tempo stesso si confronta con discorsi dalle dislocazioni insolite e con le analogie dall’apparenza ardita o assurda dei sogni, delle arti e dei deliri. A una considerazione analitica, ciò che a tutta prima può sembrare un’anomalia bizzarra dell’esperienza mostra in realtà connessioni del tutto plausibili e coerenti.

Partendo da questa premessa, vorrei raccontare il seguente, istruttivo episodio, che permette, contro ogni evidenza geografica, di affermare che nella Moldava scorre il Mincio.

Un DVD, regalatomi da un amico musicologo che abita a Roma, contiene il filmato “storico” delle prove d’orchestra della Moldava (1874) di Bedřich Smetana. Dirige l’orchestra (nel 1960) Ferenc Fricsay. Moldava è il poema sinfonico più popolare ed eseguito del ciclo intitolato Má Vlast (La mia patria). Il pezzo orchestrale, che ha dichiarati e dettagliati intenti descrittivi, racconta per immagini musicali la nascita del fiume Moldava da due diverse sorgenti, il suo allargarsi e scorrere, maestoso e mutevole, sino a Praga… L’amico mi scrive che mi ha voluto far conoscere il sensibile e intelligente lavoro di concertazione di questo brano da parte del grande direttore d’orchestra ungherese, in un’interpretazione da considerare esemplare.

Come mi era capitato già le prime volte che avevo ascoltato questa composizione, anche ora resto colpito dalla sua meravigliosa scorrevolezza, ma anche dall’assoluta somiglianza del suo celebre tema principale:

con la musica dell’inno nazionale dello Stato di Israele. I due temi sono pressoché identici. La vena nostalgica del modo minore, l’assenza di qualsiasi tratto marziale e la somiglianza con la Moldava di Smetana caratterizzano in maniera insolita l’inno nazionale israeliano e gli conferiscono una qualità musicale elevata che fa spesso difetto a quel particolare genere musicale rappresentato dagli inni nazionali.

Oggi, grazie a Internet, è possibile cercare con facilità qualche conferma e parecchie informazioni supplementari sull’identità e i rapporti tra le due melodie. Wikipedia e altre fonti mi confermano che il tema delle due composizioni è identico, ma al tempo stesso vengo a conoscere la storia complessa e curiosa delle due musiche, che mi sembra utile riferire per sommi capi a chi non la sappia già.

Le parole dell’inno di Israele, (Hatikvah, La speranza) sono estratte dai versi, scritti nel 1877 dal poeta galiziano Naftali Herz Imber (1856-1909), immigrato in Palestina nel 1882. I versi furono musicati nel 1888 da un emigrato d’origine moldava, Samuel Cohen, divenendo l’inno nazionale solo dopo la costituzione dello Stato d’Israele nel 1948.

Le vere sorprese riguardano per me la musica delle due composizioni e le sue vicende. La prima sorpresa è che più che basarsi sulla melodia della Moldava, Samuel Cohen avrebbe utilizzato il tema musicale di una canzone popolare moldavo-rumena, Carul cu boi (Il carro coi buoi), presente nel folklore musicale rumeno anche in un’altra versione, con diverse parole (Cucuruz cu frunza-n sus, cioè Pannocchia con la foglia in su) e identica melodia. La seconda sorpresa è che queste musiche sono la tarda derivazione di una canzone italiana del XVII secolo: La Mantovana (anche conosciuta come Il ballo di Mantova). Le note della Mantovana si erano progressivamente diffuse sino dal 1600 in tutta l’Europa, comprese le terre di lingua romena da cui il Cohen proveniva.

Se diamo credito alla documentata voce “La Mantovana” di Wikipedia, la canzone originaria fu composta dal tenore italiano Giuseppe Cenci (conosciuto anche come Giuseppino del Biado) e apparteneva a una sua raccolta di madrigali, col titolo Fuggi, fuggi, fuggi da questo cielo (le parole si riferiscono all’inverno cacciato dalla primavera). Le fortune di questa melodia sono sorprendenti. La ritroviamo, ben riconoscibile, sia pure con parole diverse e qualche piccola variante ritmica e melodica, in un buon numero di musiche europee: sia popolari (scozzesi, polacche, spagnole, ucraine, rumene, eccetera) sia colte. Oltre a Smetana nella Moldava, anche Camille Saint-Saëns l’ha utilizzata nella terza delle sue Rapsodies sur des cantiques bretons, op. 7. E nel Novecento è allusa con un accento amaro sarcastico in Das lied von der Moldau, di Bertold Brecht e Hanns Eisler, una canzone che figura in Sveik nella Seconda guerra mondiale di Brecht (1941-44).

Sembra dunque che sia stata la già menzionata versione popolare rumena de La Mantovana ad essere importata in Israele da Cohen e a contribuire a rifornire la musica di Hatikvah, e non tanto il notissimo tema della Moldava. Il celebre tema non fu del resto inventato da Smetana, ma da lui solo genialmente utilizzzato e rielaborato, traendolo da una versione popolare, forse svedese, della canzone mantovana.

Non sono in grado di confermare secondo mie personali verifiche e con appropriate ricerche storico-musicologiche l’esattezza di queste notizie. Il lettore interessato può arricchire queste informazioni via Internet, dove troverà anche diverse esecuzioni di tutte le musiche citate, oltre alle diverse fonti, le cui informazioni mi sono limitato a selezionare e a mettere in ordine.

In conclusione, facendo riferimento a questo insieme di notizie, e tornando alla proposizione iniziale, diventa plausibile affermare che in un certo senso le acque del Mincio mantovano scorrono nella Moldava come le rose hanno a loro modo denti da qualche altra parte. Troviamo conferma che le trasformazioni che si possono produrre nelle proposizioni dei discorsi umani e nelle loro narrazioni sono innumerevoli e degne di essere conosciute e studiate per essere comprese, come ci insegna la psicoanalisi, con le costruzioni, ricostruzioni e trasformazioni di Freud (1937) e di Bion (1965). E’ confortante pensare che siano all’opera intorno a noi e dentro di noi processi conservativi e trasformativi individuali, relazionali e culturali che assicurano persistenza, cambiamenti e transposizioni, cioè transfert, metaforizzazioni e traslochi nello spazio e nel tempo di pensieri e di affetti, di forme, contenuti e valori. Molti rivoli formano col tempo e nello spazio il grande fiume del senso e non senso dei fenomeni culturali; e non solo le rose ma tutti gli uomini utilizzano sin dalla nascita denti che stanno in altre bocche.

Bibliografia

Bion, W. R. (1965) Trasformazioni. Il passaggio dall’apprendimento alla crescita, Armando, Roma 1973.

Freud S. (1937) Costruzioni in analisi, OSF, 11.

Fricsay F. (1960) Rehearses and conducts B. Smetana’s Die Moldau, The Recording Media Europe, Ratingen 2003 (DVD).

Wikipedia, alle voci: La Mantovana, Hatikvah e numerose altre, seguendo i rimandi da una voce all’altra.

Wittgenstein (1953) Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino 1967

YouTube: tutte le musiche citate, spesso in diverse versioni ed esecuzioni.

Parole-chiave: Trasformazioni, costruzioni, Hatikvah, Wittgenstein, Smetana.

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