Alla Casa di Riposo di Sassello si mangia bene, l’aria è buona, le infermiere sono gentili.
Capita che gli anziani ospiti della Casa di Riposo di Sassello campino a lungo, anche più di cento anni. Quell’anno però erano addirittura tre i vegliardi che avevano varcato la soglia del secolo, Ernesto, Annibale e Giuseppina e allora il Consiglio Direttivo volle organizzare una grande festa, la segretaria disegnò un cartellone azzurro e con il pennarello rosso scrisse: “Tanti auguri cari nonni, cento e più di questi giorni”.
Furono invitati il sindaco, il parroco e il medico condotto, venne la famosa banda del paese, arrivarono il farmacista, il maresciallo dei Carabinieri, gli assessori e tutte le alte autorità.
Era un bel pomeriggio d’agosto, la banda suonava e le infermiere ballavano con i vecchietti che ancora potevano fare certe piroette, senza rischiare di volar per terra. Le suore li guardavano un po’ storto, ma senza esagerare. Il parroco si fece prendere dal buon umore e, dopo aver bevuto un buon bicchiere, invitò la superiora a fare un giro di valzer, così tutti si fecero intorno, ridendo e battendo le mani.
Poi arrivò la torta, un pan di Spagna coperto di glassa e panna montata, il sindaco aprì una bottiglia di moscato facendo un gran botto, quindi prese la parola, augurò ai tre protagonisti – e con buone parole – le migliori cose che si possono augurare. Dopo, a nome di tutta la cittadinanza, chiese se avessero un desiderio, che si potesse in qualche modo realizzare, come regalo per la loro festa.
Piano piano calò un silenzio rispettoso, tutti ascoltavano cosa avrebbero risposto, solo che Ernesto era sordo e non aveva sentito, Annibale era confuso e non aveva capito e Giuseppina non parlava, come se non sapesse bene cosa dire. Il silenzio era ormai assoluto, tutti tra le autorità pensavano a come uscire da quella strana situazione, magari con una battuta spiritosa. Alla fine Giuseppina con un filo di voce disse:
“ … Eh … si potesse una volta tornar figlioli …”.
Il sindaco rimase immobile per un istante, poi disse al maestro della banda di riattaccare con la musica, con un braccio per aria fece cenno a tutti di riprendere le danze e chiamò da parte il parroco, le suore, il dottore, il farmacista e il maresciallo dei Carabinieri.
Ci fu una riunione per capire se si poteva far qualcosa, il farmacista disse che era difficile, il dottore aggrottò un sopracciglio, il parroco rimase perplesso.
Poi la suora disse che, stante la situazione straordinaria, si poteva chiedere al Capo una grazia particolare, così il maresciallo cominciò a dire che avrebbe garantito la copertura legale e l’ordine pubblico, il farmacista disse che si dovevano assolutamente evitare pericolosi effetti collaterali, il parroco ribadì che avrebbe fatto del suo meglio e il dottore infine stabilì che si poteva fare, con un certo sciroppo, ma solo per poche ore e prima del tramonto di quello stesso giorno.
Tornarono alla festa, il sindaco riprese l’attenzione, si fece piano piano silenzio e rivolgendosi a Giuseppina disse che si poteva fare, che dovevano bere un elisir che il dottore e il farmacista stavano proprio ora preparando, ma si raccomandò che rientrassero prima della cena, per prendere le buone medicine e andare finalmente a dormire. Arrivò la suora con un certo boccettino e diede ai tre un bicchierino di sciroppo giallo fosforescente.
Ernesto pensava fosse il solito lassativo, Annibale non capì cosa fosse, ma bevve senza esitare e Giuseppina era convinta che fosse limoncello, fatto sta che bevvero un sorso e dopo poco si fece buio, come se il sole si stesse piano piano spegnendo, poi lentamente tornò la luce e i tre figlioli si trovarono per mano, allegri e spensierati sulla giostra al parco pubblico, sotto Piazza Risorgimento, mentre un’orchestrina suonava un vivace cha-cha-cha.
Era la festa della Madonna della Guardia e tutt’in torno era una gran confusione di gente e di bambini.
Ernesto invitò gli altri due a seguirlo, andarono al banchetto dei dolciumi e comprò una frittella per tutti, poi Annibale offrì una granatina.
Giuseppina era bellissima, portava dei lunghi capelli neri, aveva un vestitino rosso con la gonna lunga e un paio di zoccoli, camminava allegra, come stesse danzando, parlava felice e dalla sua bocca sembrava uscissero fiori e parole. Poi un omone con un barbone nero si mise a strillare, chiamando tutti i bambini alla grande corsa dentro i sacchi, con uno zufolo di legno diede il via e una trentina di ragazzini urlanti si precipitarono verso l’altra parte del prato, la maggior parte cadendo in clamorosi capitomboli.
Ernesto arrivò primo e vinse un salame, una caciotta e una damigianetta di grignolino, che regalò subito a suo nonno, che stava lì a tifare per lui.
La festa continuò fino a sera. Al tramonto i tre bambini chiesero al conduttore se potevano salire sulla diligenza per andare alla Casa di Riposo, che era proprio poco fuori dal paese. Il conducente disse che sulla diligenza non c’era più posto, ma che considerato il breve tragitto, li avrebbe volentieri presi a cassetta. I tre salirono, erano felici come non erano mai stati in vita loro, il conducente fece uno schiocco, i cavalli si mossero lentamente e la diligenza cigolando partì.
I tre bambini erano così stanchi che uno dopo l’altro si addormentarono, appoggiando la testolina uno sulla spalla dell’altro e Giuseppina appoggiando la sua al braccio del conducente. Passarono lungo la strada che porta al mare, davanti alla Casa di Riposo, ma il conducente guardando quei tre bambini beati non osò svegliarli e così tirò dritto e se li portò via con sé.
Alla Casa di Riposo non li hanno più visti, le suore e le infermiere li stanno ancora aspettando per dargli le medicine, ma molti pensano che ormai non torneranno più.