Per quelli della mia generazione che hanno provato una strana nostalgia per la vita della “Vienna Felix”, questa si è espressa nel tempo in modo assai vario e con sentimenti assai conflittuali, soprattutto per la centralità in quel periodo della borghesia,come classe sociale, nella sua massima evoluzione e influenza sulle modalità di convivenza sociale.
La splendida capitale, che fu Vienna alla fine dell’800 , contendeva a Parigi il ruolo di referente della cultura mondiale mentre era la culla della cultura mitteleuropea.
Un viaggio straordinario nella Vienna dei primi del 900, da cui si possono trarre indicazioni preziosissime per un tema prioritario nel gruppo Redancia ,cioè le implicazioni tra arte e discipline mediche e psicologiche, è “L’età dell’inconscio” di Eric R. Kandel insignito del Premio Nobel nel 2000 per le sue ricerche sui meccanismi biochimici che portano alla formazione della memoria.
Studioso raffinatissimo Kandel è considerato un maestro come scienziato, ma anche per fondamentali contributi all’interdisciplinarietà della conoscenza, scrittore di talento per le capacità divulgative in ambito scientifico artistico e psicoanalitico.
Voglio riportarvi una citazione dalla prefazione di “L’età dell’inconscio” uno spezzone di dialogo trascritto da Berta Zuckerkandl che li ospitava: Rodin a Klint: “Non mi sono mai trovato in un’atmosfera simile: il vostro tragico e magnifico affresco su Beethoven; la vostra indimenticabile, sacra esposizione, e ora questo giardino, queste donne, questa musica… e intorno tutta questa gaia, infantile felicità… come si spiega tutto ciò?”…e Klint mosse lentamente la sua magnifica testa annuendo e rispose con una sola parola: “Austria!”
Costretto a lasciare Vienna da bambino con la famiglia, Kandel ci dice di condividere questa visione idealizzata e romantica della vita in Austria all’inizio del secolo scorso , per quanto, solo tenuamente collegata alla realtà, ma impressa nella sua mente e alla base della sua successiva fascinazione per la storia intellettuale di Vienna tra il 1890 e il 1918.
L’approccio di Kandel alla Vienna delle scaturigini del suo potenziale nostalgico, esprime la generatività creativa di un enorme lavoro scientifico e umanistico in uno sviluppo luminoso e di successo a conferma del suo appassionato e fruttuoso impegno.
Al contrario, “ Il mondo di ieri” di Stefan Zweig che racconta, avendolo però vissuto, dello stesso periodo e del drammatico seguito, è permeato di una atmosfera autunnale incentrata sulla perdita di quel mondo e soprattutto delle libertà che lo consentivano.
Anche Zweig aveva avuto l’esperienza del successo, di una brillante e intensa vita artististica: scrittore di fama mondiale quando scrive “Il Mondo di ieri”, proprio quel mondo sprofondato nella seconda guerra mondiale, pare irrecuperabilmente perso e sopraffatto dalla delusione e dalla sofferenza.
Ebreo cosmopolita, viaggiatore curioso, in contatto con i più significativi intellettuali europei dell’epoca è in grado di mantenere una prospettiva internazionale lucida e penetrante nelle drammatiche crisi che avevano portato alla prima e in modo ancora più catastrofico alla seconda guerra mondiale. Tra lo sgomento e la confusione generale subisce in modo consapevole tutte le perdite e i rivolgimenti della sua generazione, tuttavia serbando la memoria, che vuole trasmettere, dello straordinario contesto culturale della sua gioventù e della libertà goduta in quel periodo in cui ,per esempio ,aveva potuto viaggiare in tutto il mondo a volte senza portar con sé nemmeno il passaporto.
E’ impressionante rileggere oggi quest’ultimo libro di Zweig, morto suicida nel 1942 in Brasile, per alcune paurose analogie soprattutto connesse allo stato d’animo delle persone oggi e dello sbalordimento provocato dalla guerra in Europa.
Naturalmente non sono argomenti trattabili con l’esaustività e la competenza che meritano nel limitato orizzonte in cui ci poniamo, ma l’aspetto relativo alla nostalgia di libertà e modi di vivere della nostra generazione ha un nesso con i fondamenti della nostro lavoro e su aspetti psicologici di cui invece mi pare possibile e utile riflettere.
In particolare, sulla precarietà di acquisizioni che paiono definitive nel momento in cui se ne usufruisce, e mi riferisco soprattutto ai diritti umani e alla libertà di movimento di parola e di quanto può rendere l’esistenza godibile e completa.
A questo proposito, ho trovato illuminante in questi giorni rileggere le memorie di Zweig . I ricordi di un intellettuale che racconta dell’energia che animava una vita, piena, libera, improntata ai valori cosmopoliti della libertà e dell’internazionalità fraterna fino alla grande guerra, l’immersione nell’ottimismo e nella fiducia universale dei giovani al principio del ‘900 con lo slancio vitale della fede europea che tuttavia,ammette, già conteneva il pericolo della “cupidigia espansionista” “la coscienza della forza che seduce gli uomini a farne uso ed abuso”.
Racconta della conversazione che aveva potuto avere nel 1913 con Romain Rolland che gli aveva spiegato (pag 177) come nel suo romanzo Jean Christophe avesse tentato di esprimere la sua gratitudine alla Musica, la sua professione di fede all’Unità Europea ,il suo Monito ai popoli perchè tornassero in sé…. , aggiunendo però che le forze che spingevano all’odio proprio per la loro natura inferiore erano ben più veementi ed aggressive che non quelle conciliatrici…Rolland vedeva il male all’opera e riteneva che lottare contro di esso fosse, in quel mentre, compito più importante che servire l’arte “l’arte può confortare noi singoli ,ma non può nulla contro la realtà”.
Zweig conclude empaticamente: “la sofferenza per la vulnerabilità della natura terrena mi parve particolarmente commovente in quell’uomo che in tutta la sua opera aveva esaltato l’arte come imperitura”.
Rolland poi scriverà avvicinandosi alla guerra “Andessus de la mêlée” che gli procurò il boicottaggio dei super-patrioti francesi provocati da questo breve e piuttosto semplice saggio che è peraltro considerato il più celebre manifesto pacifista della grande guerra.
Il valore di questo e gli altri tentativi di conciliazione, che non hanno esercitato il minimo influsso sul procedere degli eventi, sta nell’ aver giovato a noi,dice Zweig, e anche a qualche lettore sconosciuto…hanno attenuato l’orrendo isolamento, la disperazione in cui si trovava un uomo del ventesimo secolo con sentimenti umani…
Propongo per concludere di tornare a S. Freud che in questa ultime settimane molti hanno ripreso e citato attraverso il saggio ” Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte”.
Di recente anche Massimo Recalcati fa riferimento a quel saggio di Freud ricordandoci come nella concezione freudiana la coincidenza tra lo “Straniero” e il “Nemico” si rivela una verità fondamentale che caratterizza la forma umana della vita: il mondo straniero fonte di enormi quantità di stimolazioni, non può che essere avvertito, dall’apparato psichico come un fattore di perturbazione , di minaccia nei confronti della sua inclinazione rigidamente OMEOSTATICA.
Da ciò la crudele semplificazione della guerra con la sua magica riduzione di ogni complessità alla linearità del pensiero paranoicale?
Cara Caterina mi ritrovo molto nel tuo stato d’animo. Credo che prima della pandemia e prima che la guerra si facesse sentire tanto vicina e minacciosa e vedesse l’Italia tanto direttamente coinvolta, non apprezzassimo la “Vienna felix” che anche a noi era dato di vivere, certo appena poco distante da tragedie come quella della Libia o della Palestina ma comunque al riparo di una situazione, per così dire, “sufficientemente buona” almeno per noi. Poi questa fragile illusione si è rotta due volte, e lo stato d’animo, hai ragione, credo non possa essere per ora che quello della nostalgia.
Diffido dalla psicoanalisi della guerra
Esibizioni più o meno narcisistiche di sapienza trascurano la dura realtà dell’ morte indotta da interessi imperialistici così come si evidenziano anche nell’attuale situazione
Ne pagano le conseguenze i deboli gli esclusi coloro che vengono manipolati dai grandi interessi economici.
La domanda è quindi: chi si arricchisce con la guerra?
Proviamo a dare una risposta