Un incontro con l’irrazionale nel libro “Val Grande. Racconti dalla Liguria al mare del Nord”
Profondo ma scorrevole, leggibile a vari livelli: come una piacevole serie di racconti fantasy, di piccole avventure, di mini gialli senza delitto né colpevole; oppure, meglio, come un incontro con i confini della ragione, stimolo a pensare con mille accenni e suggestioni. Si ricerca la profondità nella apparente semplicità del quotidiano: torna in mente il grande precedente di Joyce, che quasi provocatoriamente spostava l’Odissea in una angusta Dublino e trasformava le gesta dell’eroe in tante banali vicende, contrarietà, momenti di appagamento.
Quotidiano, ma non proprio. Di fatto, in questa serie di racconti le vicende accadono nell’ambito di piccoli viaggi, molla al cambiamento. Ma l’ambiente prescelto, indicato nel titolo, è spesso il luogo d’origine dell’Autore, situato inoltre in località di confine: mi pare ciò indichi un forte senso di identità e appartenenza, una ricerca di radici affettive personali (espresse con giusto pudore) che però, a differenza di certe versioni sciocche e volgari, non chiude la porta all’Altro ma anzi ricerca l’incontro.
La centralità del rapporto con l’altro
Infatti il rapporto con l’Altro è tema centrale, espresso nell’incontro con vari misteriosi personaggi. Qualcuno di essi è una sorta di “altro Io”: chiaro il richiamo al ”Sosia” di Dostoevskij; nonché alla lacaniana fase dello specchio, in cui l’incontro con la propria immagine è importante nel definire il Sé. Esso apre quindi una importante finestra sul problema del Sé, dei suoi confini, delle sue immagini speculari; nel quadro dell’incontro con “il diverso da me ma uguale a me”: dunque con il perturbante trattato da Freud partendo dal Sandmann di Hoffmann.
L’ambientazione della Val Grande
Il più delle volte l’ambiente è montano-escursionistico, e ciò non è senza rapporto con il tema centrale: una escursione un po’ selvaggia allena all’orientamento, a cercare razionalmente una via in un raggio di possibilità non evidenti, a volte in un intrico di false vie: un buon allenamento cognitivo. E la magia della natura durante l’escursione sospende una illusione di controllo pressoché automatico, fondato su schemi prefissati: è anche rinuncia all’onnipotenza.
Una riflessione sulla magia
Magia, già. Questi racconti pieni di arcani sollecitano una riflessione sulla magia e sul suo significato: come ricorda Federico Pastore, anche se oggi è ridotta a suoi residui deteriori c’è chi la considera la remota origine comune di religione e scienza: mi pare lo confermi la loro vicinanza ancora stretta, ai tempi di quella progenitrice della chimica che è stata l’alchimia. Per altro verso, qualcuno dei racconti ci riporta a una avventura mentale ben più remota: l’animismo. Questo diviene possibile solo mediando. Ricerca radici, non escludente ma attivante una dialettica con l’altro.
Sappiamo bene che la scienza moderna ha seguito a lungo la strada tracciata secoli fa da Francis Bacon e sviluppata da Cartesio: ripetibilità, affidabilità del dato. Metodica che è stata fondamento dello sviluppo tecnologico conseguito in tanti campi; ma inevitabilmente questo rigore ha lasciato fuori qualcosa. Infatti è uscito un po’ acciaccato dalle più attuali riflessioni sul concetto di scientifico, a partire dal principio di indeterminazione; ciò che porta a far ritenere la scienza classica portatrice non di verità ma di modelli utili a una soddisfacente approssimazione. E in particolare, chi lavora in psichiatria comprende la necessità, nel rispetto della scienza, di vedere i limiti dello scientismo positivista.
Infine, l’apparente squilibrio – evidenziato in qualche racconto – fra una scelta apparsa irrilevante e le conseguenze su un ulteriore percorso di vita ci porta a un altro aspetto della rinnovata ottica epistemologica, la teoria della complessità: un piccolo evento può segnare un divaricazione decisiva, nell’ambito di una causalità comunque non lineare.