Quanto sono vicini a noi gli animali? Quesito che diviene per noi, terapeuti dell’”anima”, più attuale nel momento in cui ci occupiamo di pet therapy, pratica che comporta necessariamente un incontro emotivo con l’animale. L’esperienza affettiva vissuta dalla persona in cura con l’animale è qualcosa di più rispetto a quella aspecifica sollecitata da un oggetto – che so, un suggestivo paesaggio – ma è piuttosto quella di un incontro con l’Altro: con un soggetto in cui siamo “costretti a riconoscere il Tu”.
Nella mitologia classica il fossato che divideva l’uomo dall’animale non era così profondo: basta pensare a figure come quella del centauro o delle sirene. E Giove, figura sicuramente umana e anzi super – umana, usava trasformarsi in animale nelle sue avventure amorose: indice questo del preponderare della dimensione emotivo – istintiva.
La tradizione giudaico – cristiana ci ha portato invece a sottolineare ciò che ci divide, a detrimento di ciò che ci unisce: nella Genesi, il solo rapporto dell’uomo con gli animali è un ruolo di dominio. E la dottrina – cristiana ma certo non solo cristiana – attribuisce solo a noi l’immortalità, grazie al possesso a noi riservato di quella misteriosa entità non necessariamente legata al corpo che sarebbe l’anima. Eppure anche in questo concetto si fa strada la consapevolezza di qualcosa che ci unisce all’animale: un po’ bizzarramente, il termine “animale” ha la stessa radice di “anima”, ed è stato usato per includere anche l’uomo. Francesca si rivolge a Dante: “o animal grazioso e benigno…”
Classica la posizione di Cartesio che riteneva gli animali radicalmente diversi da noi, e incapaci di “cogito”: null’altro che macchine (lasciamo perdere qui, per favore, i futuribili problemi che potranno porci nuove macchine capaci di intelligenza artificiale e magari, chissà, di forme di coscienza: vedi l’HAL di Odissea nello spazio).
Qualcosa che ci renderebbe unici nel mondo animale è proprio la Coscienza, ipoteticamente assente negli animali. Ma che ne sappiamo? Cos’è la Coscienza? Definizione classica: è consapevolezza autoriflessiva di ciò che esperiamo o abbiamo esperito, e pertanto non abbiamo alcun modo di sapere se una qualche forma di questa consapevolezza esiste negli animali, “superiori” o “inferiori” che siano. Se c’è, è un insieme di loro vissuti interiori, come tali a noi inaccessibili.
Dobbiamo chiederci anche se il concetto di coscienza include pure la capacità di esprimere tale consapevolezza: emerge quindi il complicato problema del rapporto fra coscienza e linguaggio, e l’esistenza di un linguaggio negli animali non umani può essere, esso sì, materia di verifica empirica. La loro riconosciuta espressività può esser definita linguaggio? E se sì, come e fino a che punto si diversifica dal nostro? In che modo ciò incide sui modi di una loro interiorità definibile coscienza?
Quel che è certo è che nel rapporto con gli animali a noi più vicini sperimentiamo una possibilità di incontro, di condivisione emotiva, di reciproche risposte. In questo incontro, siamo esposti a due possibili e opposti bias: il rischio di proiettare nell’animale stati d’animo che sono nostri, e quello contrario di negare il suo messaggio, ancora in difesa della nostra presunta “unicità”.
Materia complessa, che non ammette una risposta certa: sicuramente, non l‘apodittica frequente affermazione che gli animali sono radicalmente diversi da noi “perché non hanno coscienza”.
Una nuova consapevolezza si fa strada oggi, con lo sviluppo dell’etologia che ha proprio fra i suoi scopi il ravvisare analogie fra i comportamenti umani e quelli degli altri animali, almeno quelli a noi più vicini: a partire da Konrad Lorenz, ricorderei anche almeno “La scimmia nuda” di Desmond Morris e “Naturalmente buoni” di De Waal, che mostra almeno embrioni di comportamenti etici nella scimmie antropomorfe portandoci nuovamente al problematico concetto di Coscienza, qui nel più ristretto senso di Coscienza etica. E sul piano del costume, il collegato crescere dell’animalismo, fortemente orientato al riconoscere gli animali come portatori di diritti: una delle anime del comportamento vegetariano.
Lettura molto piacevole! La raccolgo come un sereno auspicio per gli umani a passare a una più realistica considerazione degli animali come compagni di un viaggio che ci accomuna … grazie anche per il bel verso dantesco “o animal grazioso e benigno…