Le neuroscienze sono una disciplina che si interfaccia molto con la psicologia: infatti, coinvolge psicologi e medici – per la maggior parte neurologi e psichiatri – nel momento in cui c’è bisogno di un parere prettamente psicologico o riguardo il funzionamento delle aree cerebrali; biologi, genetisti e farmacologi quando ci si occupa di aree prettamente microscopiche; infine, fisici e ingegneri per studiare tali fenomeni con i software più avanzati e le tecnologie più all’avanguardia.
Perché sono così collegate tra loro?
Ogni concetto, ogni pensiero, e ogni espressione della vita psicologica dell’essere umano viene messo in atto dal cervello, il quale riceve una serie di impulsi elettrochimici che gli permettono di formulare risposte e di recepire gli stimoli esterni e interni. La psicologia – senza una base “solida”, scientifica – rimarrebbe una speculazione filosofica: in effetti, la parola stessa (psico-logia) vuol dire “discorso sull’anima”; quindi, tutto è ricollegabile a un tracciato cerebrale, interno al proprio organismo, che può essere spiegato da un punto di vista psicologico, più teorico, e da uno più scientifico e pragmatico.
Quindi, non sono solo i sintomi del paziente a decretare il funzionamento di una terapia psicologia; lo sono anche le modificazioni a livello neuronale che si ottengono e a cui tali terapie fanno riferimento: le due materie sono, perciò, collegate da un legame indissolubile, da un rapporto causa-effetto che ne determina il perfetto funzionamento.
Neuroscienze e coscienza
L’uomo, secondo Federico Faggin nel suo libro “Irriducibile”, è stato equiparato a una macchina che è intelligente tanto quanto un essere umano: tuttavia, c’è qualcosa di irriducibile nella mente umana, per la quale nessuna macchina sarà in grado di rimpiazzarla. Per anni, l’autore ha cercato di capire come la coscienza potesse nascere da segnali elettrici o biochimici, ma la verità è che questi segnali possono solo produrre altri segnali elettrici, ma mai sensazioni o sentimenti. È la coscienza che fa la differenza tra un robot e un essere umano, ed è ciò che lo rende unico e inimitabile.
In una macchina, non c’è nessuna pausa di riflessione, non c’è nessun pensiero che si interfaccia con le scelte: c’è solo il produrre, il creare ripetitivamente e macchinosamente; il libero arbitrio, le emozioni, le riflessioni, sono figlie della coscienza dell’uomo e come tali vanno onorate. Altrimenti – come dice l’autore – “Se ci lasciamo convincere da chi ci dice che siamo soltanto il nostro corpo mortale, finiremo col pensare che tutto ciò che esiste abbia origine solo nel mondo fisico. Che senso avrebbe il sapore del vino, il profumo di una rosa e il colore arancione?”.
Uno dei temi fondamentali nelle neuroscienze e nel suo intreccio con la psicologia è quello della coscienza. Negli anni, gli scienziati hanno cercato di localizzare i cosiddetti “correlati neurali della coscienza”, che sono quei neuroni che permettono di identificare le molteplici esperienze che l’uomo percepisce, e di attribuire un significato a ognuna di esse. Per provare ciò, è necessario dimostrare che la stimolazione di tali neuroni produca quella risposta, e la disattivazione degli stessi ne cessi la possibilità di percepirla.
Quali sono i limiti delle neuroscienze e della psicologia?
Sono molti quelli che pensano che la coscienza rimarrà al di fuori della portata delle neuroscienze: il problema di fondo è che anche se riuscissero a trovare i collegamenti neuronali che permettono all’uomo di provare quelle percezioni e quelle sensazioni, come sarebbe possibile attribuire una spiegazione scientifica alla soggettività di tali percezioni e sensazioni? Per esempio, si sa che il cervello è in grado – attraverso pathways neuronali specifici – di discriminare superfici che riflettono la luce in modo diverso, e ciò non è difficile da far replicare a una macchina; tuttavia, la difficoltà sta proprio nell’esperienza soggettiva che accompagna la discriminazione del colore. Perché qualcuno percepisce un colore come più o meno vivido? Perché si associa a quel colore un’esperienza negativa o positiva? Perché un colore può suscitare emozioni diverse in due persone?
Esiste una teoria – detta “dell’informazione integrata” – che cerca di dare sistematicità tra coscienza e cervello: sostiene che un sistema è cosciente nel momento in cui riesce a integrare informazioni. Questa definizione ha origine da due caratteristiche fondamentali dell’esperienza soggettiva, che sono l’informazione e l’integrazione, fondamentali e necessarie nel fluire della nostra esperienza quotidiana. Per comprenderle, è necessario far riferimento a due esperimenti immaginari.
Coscienza e informazione
Si immagini di avere uno schermo davanti che ogni pochi secondi si accende e si spegne, e un individuo deve comunicarne lo stato, dicendo “acceso” o “spento”. Allo stesso tempo, viene collegato anche un fotodiodo, un macchinario che si occupa di indicare la presenza o assenza di luce. Cosa distingue, quindi, l’essere umano dal fotodiodo?
Secondo questo esperimento, il fotodiodo riesce perfettamente a distinguere lo stato del monitor – così come gli esseri umani – ma distingue solamente chiaro e scuro; l’uomo, al contrario, è in grado di distinguere miliardi di alternative: il monitor potrebbe mostrare un fotogramma di un film, e l’uomo sarebbe in grado di riconoscerlo, mentre il fotodiodo continuerebbe a distinguere solamente tra “chiaro” e “scuro”. La differenza sta, perciò, nella quantità di informazioni a disposizione.
Coscienza e integrazione
Adesso, si immagini di avere una macchina fotografica digitale con un sensore formato da milioni di fotodiodi: ognuno di essi permette di distinguere un numero enorme di alternative. Quindi, l’informazione a disposizione data dai milioni di fotodiodi è ben diversa da quella di un solo fotodiodo: cosa lo differenzia dagli esseri umani coscienti?
Il sensore della macchina fotografica è costituito da fotodiodi che sono indipendenti tra di loro: ciascuno è in grado di distinguere tra miliardi di immagini, e se il sensore venisse tagliato in due parti, la macchina continuerebbe a funzionare; al contrario, se le interazioni neuronali del cervello umano – formato dall’integrazione causale delle sue parti – venissero interrotte, la coscienza sparirebbe.