Il fenomeno del negazionismo ha guadagnato rilevanza sempre maggiore, in tutto il mondo, negli ultimi anni; tanto da richiedere un’analisi approfondita che ci permetta di chiarire alcuni dubbi. In questo focus vogliamo far comprendere al lettore chi siano i negazionisti, quali ragioni profonde li spingano a negare in modo così determinato, tanto che potremmo definirlo incrollabile, e da dove derivino le complesse motivazioni psicologiche che sottostanno a queste posizioni.
Esplorare il negazionismo attraverso le lenti della psicologia fornisce una chiave preziosa per capire e affrontare questo fenomeno. Per costruire una società più consapevole, nella quale si possa mediare attraverso una comunicazione efficace, è necessario comprendere le ragioni della negazione e le motivazioni psicologiche che la alimentano.
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Chi sono i negazionisti?
Definiamo negazionisti tutti quegli individui che rifiutano di accettare fatti, prove o teorie riconosciuti dalla comunità scientifica o dalla società in generale. Questo atteggiamento, incomprensibile ai più, può coinvolgere una vasta gamma di argomenti. Tra essi figurano il cambiamento climatico, le vaccinazioni, taluni eventi storici come l’Olocausto e persino alcuni fenomeni scientifici come l’evoluzione. Chi nega non esprime soltanto dubbi o scetticismo, bensì mantiene una posizione di rifiuto radicale. La sua opposizione è granitica, indipendentemente dalle evidenze contrarie e da quanto possano essere schiaccianti.
Il fenomeno è pseudostorico e pseudoscientifico, in quanto non poggia su alcun sostegno credibile. È come se l’oppositore negasse per il puro piacere di farlo, senza basarsi su alcuna evidenza. Lo scopo di questo atteggiamento è aderire a politiche o ideologie di protesta, spesso estreme e alternative. Nato in ambito storico, oggi il negazionismo più diffuso è probabilmente quello scientifico (sanitario, climatico…). Il termine si è caricato di un’accezione negativa che spesso non fa affatto piacere a chi si comporta come tale. I negazionisti storici, ad esempio quelli convinti che la Shoah non sia mai avvenuta o che gli attacchi dell’11 settembre 2001 siano frutto di un inside job organizzato da Cia e Pentagono, maltollerano la definizione e si fanno chiamare revisionisti.
Le ragioni della negazione
Le ragioni che spingono i negazionisti a mantenere posizioni così decise sono molteplici e profonde. Nella maggior parte dei casi, la negazione si alimenta di fattori ideologici o politici. Rigettarli per accettare la realtà implicherebbe un cambiamento radicale nelle proprie convinzioni o nell’identità stessa dell’individuo. Il timore di perdere l’appartenenza a un gruppo sociale, o ideologico, che promuove la negazione può rafforzare questa prospettiva. In tal maniera, si crea un senso di identità e condivisione di valori che va oltre la mera accettazione della realtà oggettiva.
Per poter restare fedeli alla loro narrazione, i negazionisti si vedono spesso costretti a piegare e contorcere la realtà. L’esempio forse più evidente fra i numerosi che si potrebbero esporre riguarda l’opera disinformativa dell’opinione pubblica portata avanti dai negazionisti dell’Olocausto.
Chiunque neghi la realtà della Shoah non può che negare anche la validità delle numerose prove decisive emerse durante il processo di Norimberga. A partire dalle testimonianze dei nazisti rei confessi. Il negazionista ritiene che gli alleati e le lobby ebraiche avessero bisogno del mito dell’Olocausto per giustificare l’occupazione della Germania, schiacciarla economicamente e consentire la nascita dello Stato di Israele, una sorta di avamposto occidentale in terra araba. Senza presentare alcuna motivazione affidabile, questi revisionisti respingono ogni prova presentata nei processi portati avanti nel dopoguerra, ritenendola fabbricata e artificiosa. Ciò vale sia per i rapporti e memoranda interni dei custodi di Auschwitz-Birkenau, sia per la redazione del Diario di Anna Frank.
La psicologia dei negazionisti
Psicologicamente parlando, cosa mette in moto il negazionismo? Per quale ragione una persona dovrebbe radicarsi così tanto in un’opinione errata e strumentalizzata fino ad arrivare a difenderla a spada tratta, sebbene faccia acqua da tutte le parti? Le motivazioni psicologiche che sottendono a questa presa di posizione sono complesse e spesso radicate in profonde dinamiche personali. È difficile evidenziare una o più ragioni che possano rispondere a questa domanda e vadano bene per tutti i negazionisti. Ci sono però alcuni punti d’incontro.
Uno dei fattori chiave è la dissonanza cognitiva, un conflitto interno che sorge quando un individuo si trova a dover confrontare informazioni o fatti contrastanti con le proprie convinzioni profonde. Questo conflitto genera ansia e forte tensione emotiva, spingendo la persona a respingere la realtà in favore delle proprie credenze. La negazione, in questo contesto, funge da meccanismo di difesa psicologica che permette di preservare l’equilibrio emotivo. La razionalità passa dunque in secondo piano rispetto all’integrità morale e alla coerenza verso le proprie idee e convinzioni.
Una seconda motivazione, allineata alla prima, potrebbe essere la volontà di mantenere un senso di controllo o certezza, una sensazione di essere effettivamente al timone della propria vita. Accettare una realtà difficile o scomoda, in disaccordo con i propri ideali, può generare un senso di impotenza o incertezza. La negazione offre invece uno scudo emotivo. Preservare la propria sicurezza e difendere la propria stabilità è, per molti negazionisti, più importante di trovarsi nel giusto.
L’importanza del confronto
La comprensione delle motivazioni e dinamiche psicologiche che alimentano il negazionismo è importante per trovare modalità efficaci di comunicazione e promuovere una consapevolezza critica nella società. II dialogo aperto – e rispettoso – può giocare un ruolo cruciale nella promozione di una comprensione condivisa della realtà. Ciò non significa comunque che la psicologia conosca una strada per portare i negazionisti a cambiare idea. Il fenomeno è così complesso e radicato che già riuscire soltanto a comprenderlo si può ritenere un risultato degno di nota.
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