Domenica 11 settembre si è conclusa, con una parata ed una regata, la 21 edizione delle vele d’ epoca di Imperia. Per me: la seconda edizione in cui partecipa la Leon Pancaldo… ed io mi destreggio tra i ricordi e il lavoro.
Mi è sempre risultato difficile pensare di avvicinare i miei mondi, la città dell’infanzia e dell’adolescenza a cui sono tornata dopo un po’ di strada fatta altrove e dove ho fatto ritorno con i pazienti. Loro che animano e popolano i pensieri durante la settimana li ritrovo lì, sulla banchina del porto davanti a quella che per noi di Imperia è la manifestazione clou. Certo, non ha la risonanza dei più blasonati raduni di vele di Monaco e Saint Tropez, ma per una città di mare di provincia è sicuramente un momento importante. Il sindaco, gli assessori, i turisti da una parte e la gente di mare, quella vera che il mare lo vive lo annusa e se lo sente addosso, tutti insieme in un clima festoso.
Gruppi di giovani equipaggi alla ricerca dell’avventura, certi di essere protagonisti indiscussi di quello spettacolo che si para davanti agli occhi su quelle che, definite le regine del mare, affascinano i passanti.
Arriva la domenica, giorno della parata e dell’ultima uscita in mare per le vele. Fino a giovedì, giorno dell’assemblea in comunità si discute per chi potrà salire in barca, si parla del mare. Loro almeno 2 volte alla settimana si recano in spiaggia ed un piccolo gruppo fa il bagno, ma in barca è un’altra cosa… qualcuno ricorda di soffrire di mal di mare perché una volta era stato su di una barca, qualcuno evoca la paura degli squali, la paura di cadere in mare e poi c’ è la regola del non poter fumare. Ma si sa ogni novità porta con sé una buona dose di ansia. Passano i giorni e poi la domenica si rimette tutto in discussione. Partono le lunghe telefonate con gli operatori del turno. E poi via il gruppo parte.
Li ritrovo lì sulla banchina del porto ‘un poco spaesati, timidi nelle loro manifestazioni. La prima cosa cibo e caffè, le certezze.
Non so spiegarmi il motivo, ma come una mamma porto con me cappellini che regolarmente non vogliono indossare, e la crema solare protettiva l’acqua, i fazzoletti e scorte di cibo.
E questa volta si gareggia sul serio, il vento concede momenti in cui senti il mare entrarti dentro, le vele fanno rumore e i due alberi si muovono al comando dell’equipaggio che scruta di continuo il mare, il vento e gli altri gli avversari. Un grande lavoro di équipe, uno al comando anzi meglio decisamente ognuno un poco al comando, ma sempre attenti al lavoro dell’altro che cazza, lasca, che compie gesti e manovre sconosciute ma che fanno parte di un comune sapere. Ecco cosa mi attrae dell’andar per mare, quello strano sentimento che ci rende consci di un lavoro difficile, quello che facciamo noi in comunità.
E poi osservi ed osservi ancora e provi ad entrare in sintonia con un qualche cosa che appartiene a te, ai tuoi ricordi.
Sem si addormenta in barca, al risveglio si scusa poi parla della barca del nonno. Su quella barca da piccolo si addormentava spesso. Poi la morte del nonno e la vendita della barca a vela.
Ma la regata è finita si ritorna alla banchina dove ad aspettarci troviamo gli altri desiderosi di rientrare in comunità: una giornata piena di mare, di sole e di vento.
L’importanza di un elemento affascinante e parzialmente estraneo ai più come il
Mare traspare dalla fresca descrizione di Marcella.
Di più: il vento , il rumore delle vele che si spiegano per spingere la Leonpancaldo verso nuovi traguardi disegna un piano concreto ed uno simbolico che possono descrivere la nostra avventura con i pazienti delle comunità.
Brava davvero
ecco fa piacere leggere la descrizione di questa esperienza… la senti .. nessuna retorica
grazie Marcella