Varazze 28/03/2013
Ho conosciuto Maria quando aveva 24 anni. È dei gemelli ed è gemella monoovulare, anche se fisicamente lei assomiglia di più al papà, la sorella alla mamma, alta 1,65 attualmente pesa 44 Kg., mestruazioni nuovamente assenti da 3 mesi. In passato era arrivata ad un minimo di 27 Kg !
I genitori hanno le due gemelle a 30 anni, la madre rientra in Italia per partorire e sceglie la Liguria perché lì vivevano i nonni paterni. Maria nasce podalica ,per prima,e viene messa in incubatrice. A 4 e affetta da malaria dalla quale guarirà.
I genitori hanno vissuto a lungo all’estero, sia in Africa che in oriente e Sud America perché il padre è stato impegnato, a vari livelli, nella carriera diplomatica… vi sono alcuni anni che ricorda belli “mamma comprava le bambole, e giocava con noi” “il papà non ci lasciava uscire se non sapevamo bene le tabelline”. Il padre era molto preso dal lavoro ma ricorda che facevano insieme anche passeggiate e cavalcate.
Con la gemella sembra che stesse abbastanza bene ma “mia sorella soffriva di cefalea, doveva stare al buio ed io dovevo uscire dalla stanza”
A 18 anni torna in una capitale europea che chiameremo A
Alcune note sui genitori
La madre, è stata in questi anni divisa tra i luoghi del marito e i luoghi di cura della figlia. Maria e la mamma vivono in Francia, vicino ad una cittadina italiana dove vivono i nonni paterni (il nonno è un signore molto amabile).
La sorella laureata vive a A dove segue studi per la carriera diplomatica.
L’ho vista una sola volta e di lei mi ha colpito l’espressione un po’ attonita, “stupita”, che spesso ha anche Maria, anche la madre e talvolta anche il papà.
La madre sembra una donna che cerca con impegno ma anche grossa difficoltà di imparare il mestiere di “mamma” (forse impossibile?!) : sembra metterci buona volontà ,ma anche lei facilmente “si stacca” , diventando attonita , spaesata ,”non nutriente”
La sorella,già laureata , vive ad A dove segue studi per la carriera diplomatica :la ho vista una sola volta e , anche di lei ,mi ha colpito l’espressione un po’ attonita ,stupita che spesso ha anche Maria,anche la madre e talvolta anche il padre .
Il padre parla apertamente delle sue emozioni ma cerca sempre di portare alla razionalizzazione tutto.
Attualmente sembrano molto provati, quasi rassegnati. “Non sarebbe bene che non la vedessimo più fino a quando non è guarita?”
Dicono che psichiatri di A avevano spinto per scegliere una sede di lavoro lontano dalla figlia, affinché lei si potesse autonomizzare.
I viaggi di Maria in Oriente, dal papà, sono sempre stati disastrosi.
Hanno fatto anche una terapia famigliare dai 19 ai 21-22 anni di Maria.
Dicono che erano state utili le sedute, anche se molto dure.
Ci hanno insegnato a cogliere le differenze tra le due figlie. Noi – dice il papà – tendiamo a differenziarle poco. Scoprono, attraverso la gemella, la grande rabbia delle due sorelle verso di loro (genitori distratti, anche assenti fisicamente) che imponevano un modo di vivere – “noi pensavamo a fine di bene” dice il papà -.
Durante la terapia famigliare finalmente Maria svela l’abuso sessuale subito a 10 anni da parte di uno zio materno: parla della paura per le minacce di morte che lo zio le aveva fatto “se parli verrà un tumore al cervello a te e a tua madre”
L’inizio della patologia per i genitori:
A 18/19 anni, dopo una serata piacevole con amici, la mattina di Natale Maria dice al padre che non avrebbe più fatto giurisprudenza (lei voleva fare psicologia, i genitori legge).
Inizia ad eliminare alcuni cibi, come poi emerge avere già fatto per periodi medio-brevi in precedenza.
Si isola, lascia le relazioni sociali ma nega l’esistenza di un disturbo e/o di una sofferenza.
L’inizio della patologia per la paziente:
Lei riferisce un’infanzia bella fino a 10 anni quando subisce una violenza (abuso) sessuale da parte di uno zio materno (fratello del nonno) di anni 60.
Addebita la sofferenza giovanile, più che all’abuso, alle minacce che lo zio le fece. “Se lei avesse parlato, lei e la mamma sarebbero morte per un tumore”.
L’inizio della malattia è per lei a 10 anni e, quindi, dai 10 ai 13 anni, mentre non parlerà con nessuno del trauma e delle minacce subite, comincia a sviluppare una grande paura per le malattie.
Deve sempre stare con la mamma. A 12 anni la mamma parte con il papà per un viaggio di lavoro. In quel periodo la famiglia vive all’estero.
Vengono lasciate da amici che lei “fa diventare matti” per la paura di restare senza mamma, forse per la paura che possa morire durante l’assenza. Rifiuta il cibo per la prima volta. Allora era una ragazzina snella, lo è sempre stata al contrario della gemella più paffutella. Le mestruazioni erano arrivate proprio a 12 anni, da poco.
A 14 anni va con la sorella in Inghilterra per studio: 2 settimane terribili, sta male ha paura, non dorme sole e torna a rifiutare il cibo (“come si fa a mangiare la marmellata con il prosciutto?!”)
A 15 anni torna in Inghilterra, in Cornovaglia, si trova bene come famiglia, va a cavallo, al mare, frequenta ragazzi e ragazze.
La signora ospitante ha una figlia anorettica (sembra grave) di 18 anni: è, dice, il primo contato con l’anoressia.
Non avvengono questa volta crisi di angoscia (dalla discussione sembrano essere stati dei D.A.P.) ma riprende a rifiutare il cibo.
Torna a Tunisi e dai 15 ai 18 anni, data di inizio della malattia per i genitori, dice di aver vissuto bene.
Si allontano i pensieri sull’abuso subito, scompaiono le paure delle malattie. E’ magra, ma mangia, fa molto sport. In quegli anni ha una vita sociale, frequenta anche ragazzini con i quali ha qualche lieve flirt. Non ha esperienze sessuali delle quali, dice, non sentiva bisogno ma che non immaginava, allora, brutte e/o “sporche”.
A 18 anni si trasferisce a A.
Il percorso di cura
Dai 18 anni agli attuali 24 Maria effettuerà 13 T.S. e molteplici ricoveri: in pratica ha vissuto in questi 6 anni molto più tempo nelle istituzioni sanitarie che in famiglia.
A 18 anni inizia il primo trattamento psicoterapeutico e migliora, si iscrive a lingue per traduttori simultanei (conosce bene Italiano, Inglese, Francese, Spagnolo e un po’ di Tedesco) e supera tutti gli esami del primo anno.
“Improvvisamente” rifiuta di proseguire gli studi, torna a rifiutare il cibo ed arriva a 27 Kg.
A 20 anni la psicologa, di concerto con lo psichiatra la fa ricoverare in una Clinica a A.
Resta ricoverata 9 mesi, durante i quali viene trasferita per una quindicina di giorni in Ospedale Psichiatrico per un primo T.S. con il solvente per lo smalto delle unghie.
Migliora, torna a casa per qualche mese, torna poi in clinica per 3-4 mesi, senza risultati.
I genitori decidono di trasferirla in una Clinica di un altra capitale europea, dove resta una prima volta 4 mesi, pratica terapia alimentare con sondino ed è sottoposta ad un ciclo di ESK.
Lei non è mai d’accordo con i ricoveri, ma il suo corpo richiama continuamente “l’attenzione preoccupata” di famigliari e terapeuti.
Dopo alcuni mesi a casa, torna in clinica per un mese: è dimessa il 27/5 giorno del suo compleanno.
Altri ricoveri si susseguono, anche in un reparto per adolescenti che lei rifiuta preferendo la Clinica.
“Li erano tutti troppo matti!” raccontando della sua vicina di camera che si era tagliata profondamente con un vetro.
Nel 2003 viene trasferita dalla Clinica presso il nostro Centro (grazie a rapporti professionali di conoscenza tra me e un collega della Clinica) dove
“prova” un primo ricovero che non ha risultati positivi . In seguito i rapporti con me e con il Servizio si fanno saltuari, fa vari tentativi di terapia, Francia ed in Italia . Cerca anche di lavorare e di studiare ma senza successo. Anche una vacanza a Natale in oriente dal papà si rivela un disastro . Così tornano da noi ,disperati tutti ed anche noi preoccupati molto nell’accoglierla nuovamente .
Inizio a rivedere Maria, due volte alla settimana, mentre è ospite presso un nostro Centro Crisi, poiché non ha più accettato il ricovero presso il Centro per i Disturbi Alimentari . Era mesi che non la vedevo ed ho cercato di definire con lei e i famigliari questo contratto:
– ricovero
– inizio di una psicoterapia
– tenere tutti duro, rispetto alle richieste che certamente arriveranno di cambiare ancora tutto …….. mah!!
Durante il primo ricovero da noi , si era fatta conoscere all’inizio con la chiusura, la rabbia, gli atti autolesivi. Poi aveva imparato un po’ a chiedere aiuto: di quel ricovero mi sembra questo essere stato il risultato maggiore.
Il secondo ricovero si caratterizza inizialmente per il nuovo rifiuto del cibo preoccupante dal punto di vista medico.
Ora, pur dicendo spesso che vuole andarsene, è tuttavia più in contatto con i pazienti e gli operatori.
E’ riuscita, ad esempio, a chiedere aiuto ad un’infermiera per il tentativo di molestia sessuale (?)da parte di un paziente; in realtà sembra che sia piuttosto lei a stimolare le “avances” nei suoi confronti, scoprendosi poi stupita per questo.
E’ puntuale negli appuntamenti, io non reggo i suoi silenzi e le sue espressioni attonite, come un essere altrove, e ho iniziato a farmi raccontare la sua storia.
Man mano che lei racconta, io gliela ri-racconto, gliela rinvio, e le chiedo se sto comprendendo bene.
Colloquio del 6 aprile
E’ arrabbiata, resta con il cappotto, è tutta “sottile”, ed ha un trucco” come di altri tempi”. Parla dello sciopero della fame e della sete: da quando è stata ricoverata presso il Centro Crisi ha iniziato questa battaglia con noi …….anche se poi chiede aiuto a tutti, mi telefona con estrema cortesia e mi dice che si è tolta la flebo, che non ha più mangiato, che un altro ragazzo ha cercato di sedurla.
A: “a quale fine?”
M: “morire, non esserci più”
Sono colpito dal senso di spaesamento che viene da Maria e dalla sua storia, ma anche dal mio vissuto perché mi trovo facilmente “spiazzato” …….dal dramma (psicotico?) ad una teatralità relazionale, al sentimento di non trovarla da alcuna parte.
Il discorso poi va sui fumetti, io le dico dell’ultimo visto sulla storia di un orso –uomo e lei mi racconta di “Alla ricerca di Nemo”. Penso alla spaesamento perché il pesciolino viene separato dal padre che ne va alla ricerca per i mari e penso alla mia dimensione controtransferale. Ci riavviciniamo, lei sorride, dialoga, sembra del tutto normale mentre prima era lontana, quasi psicotica direi. Poi torna la morte “non ce la faccio più a vivere”
Io mio aggrappo alla ricostruzione della sua storia e le dico che per me la prognosi non è negativa, che possiamo sperare un po’ perché i suoi primi anni di vita sono stati buoni.
Lei mi ribadisce come per lei l’inizio della malattia sia a dieci anni ed alla sofferenza giovanile legata , più che alla violenza subita , alle minacce dello zio materno,fratello del nonno ……
” ero terrorizzata….è mi sentivo responsabile per la mamma”.
Ho l’impressione che l’abuso ,che per Maria segna l’inizio di tutto, sia in realtà un fattore precipitante ,qualcosa che fa emergere un nucleo molto grave, forse psicotico,per anni incistato .
Dopo la seduta mi telefona e con voce gentile mi dice “sono in SPDC, non gliel’hanno detto?”. Mi manda anche un messaggio:”Buona Pasqua dalla sua paziente teriiiiiiiiiibile”. Lo leggerò il giorno dopo quando lei è già in SPDC.
Colloquio del 16/4
E’ dimagrita, assottigliata (zigomi, mandibola, naso affilato, anche se in realtà pesa 46,5 Kg.) , vestita con sciarpa e tuta rosa, sotto un soprabito che tiene in seduta: nell’insieme mi sembra meno corazzata di altre volte.
A: “Il suo corpo racconta qualcosa di questi giorni”.
Muove il piede della gamba accavallata nervosamente e tiene la braccia conserte.
A: “E’ nervosa?”
M: “Si”
A:”Mi sembra una situazione sempre più dura”
Lei piange in silenzio
A:”Ho letto le relazioni dei ricoveri precedenti, le lettere dei colleghi”
Lei continua a piangere e io mi scopro a pensare “vorrei lenire la sua sofferenza”
Le parlo di questo ma lei non capisce la parola “lenire”………soigner…….prise en charge……..
Maria parla dell’ansia che non regge più
M: “è assurdo, mi hanno ridotto la terapia”
con un tono da dama da salotto buono. Parte poi con la “lista della spesa” con molte richieste in merito alla sua vita in Reparto.
A: “ci sono altre cose ancora? – annotandomi tutto – “
Lei finalmente sorride, ride.
M: “e poi ho molta paura”
A:”?”
M:”di una cosa precisa ………le 1500 calorie che ho concordato con la dottoressa (da due giorni ha ripreso a bere ,dopo un preoccupante rifiuto dell ‘ acqua)
A: “ma è la dieta minima”
M: “Io con 1500 calorie prendo peso”
A: “Oltre che peso non si sente di andare?”
M:”47”
A:”l’aiuteremo a non andare oltre”
per ora…….mah! sento che non so proprio cosa fare
Mi accorgo che mi sto grattando
A:”mi viene il prurito, si vede – dico sorridendo – che è una mia reazione allergica a Mari
M:”probabile……..sono triste perché la mamma me ne ha dette di tutti i colori, non ce la fa più, le viene la depressione”
Mi chiedo se non stia parlando anche di me? C’è la farai? Non sono troppo pesante,difficile per te?Io immagino queste domande in Maria.
Ora sembra stare meglio ed il volto mi sembra meno affilato e gli occhi meno matti.
A questo punto della seduta mi parla di un sogno ,che fa da anni,dove c’è un bimbo con una testa enorme e deforme che parla una lingua strana(lei parla molte lingue in realtà ).
M:”tengo in braccio questo bambino con la testa enorme, ma è troppo pesante …..da lontano si vede una ragazza bianca, sottile…è lei che mi ha dato il bambino “.
Le dico che forse mi sta chiedendo di aiutarla a sostenerlo , che da sola era troppo pesante. Maria rimane in silenzio ed allora le dico che forse posso aiutarla a sostenere il bambino ed a capire la sua lingua strana,ma per fare questo deve tollerare l’aiuto mio e dei colleghi del centro.
Ho pensato al sogno come ad una ecografia di una parte “mostruosa”che sta dentro di lei , e che lei dice il vero quando parla di sé come un essere pesante,grosso,un mostro che lei asseta, a cui non dà da mangiare. Mi viene in mente che mi aveva chiesto se si potevano avere tre sedute alla settimana, forse per trovare una lingua giusta per dialogare con me,con sé,e anche con il “mostro” ed essere capita.
Nella seduta successiva racconta che questa settimana sono venute a trovarla la nonna materna e altri parenti di Bergamo e che ha tenuto in braccio una cuginetta di 9-10 mesi .
Poi continua :” Ho smesso di fare quei sogni”.
Le chiedo se ha qualche ipotesi a proposito, ma la sua espressione mi fa capire che non ne ha. Io penso alla cuginetta graziosa come ad un sogno ,e le dico che potremmo immaginare che lei abbia sognato che il bambino è cambiato. Laura emette un piccolo mugugno e io continuo dicendole che forse tiene in braccio un bambino meno deforme. Le chiedo se la cuginetta è meno pesante, lei sorride e dice di si. Le chiedo se è una bella bimba e mi risponde di nuovo in modo affermativo.
Le chiedo chissà come era lei a 9 mesi e Maria comincia a leggere dai suoi diari :” Les mots sont gratuits…ils sont a ceux qui les utilisent…Le danger de la parole”. Le dico che potrei interpretare male il suo scritto , che però è una garanzia rispetto a se stessa ,poiché il suo scritto è una testimonianza che resta.
Laura sembra colpita da queste parole.
Io credo di doverla prendere alla lettera quando dice “Io sono grassa,pesante”, anche se la mia percezione visiva è diversa. Laura ride ed il piede, che prima agitava nervosamente,si calma :” pourquoi moi?”, “je reve reveillée”, “je suis divisée en deux partes”. Penso tra me e me che forse ci sono anche altre parti di lei e che mi chiede di lavorare insieme per gerle emergere. Laura aggiunge:”se non parlo sono l’unica a portare tutto sulle spalle”. Mi viene in mente che Laura ha spesso male alla schiena e al collo.
Mi dice che domenica la mamma era venuta a trovarla in reparto con i nonni e lei le era andata sulle ginocchia, ma la mamma l’aveva rimproverata: “il papà è molto arrabbiato, non porta più la tua poesia con sé perché non mantieni mai le promesse!”
Il tempo della seduta è finito ma le faccio ancora la domanda che penso lei desideri
A:”La poesia?”
M:”La poesia l’avevo scritta in francese l’anno scorso prima di venire da A al suo Centro, l’avevo decorata per mio papà……lui aveva pianto e non piange mai – intanto lei ricomincia a piangere mentre narra – mi aveva detto che l’avrebbe tenuta sempre con sé, l’aveva fatta plastificare e quando ci trovavamo me la faceva vedere……….ora dice che non la porta più con sé”
Io penso che racconta un pezzo della sua storia ma parla anche di noi e forse mi sta chiedendo qualcosa, forse su come “tenerla” con me ……..mah!
A: “Si sente più sola? l’associazione con la mia battuta………..
M:”Ma ho capito che scherzava”
A:”Non so, in realtà sente che gli altri, che io facciamo fatica con lei e ne soffre”
M:”Non ce la fanno più”
A:”Ma il papà le vuole bene, è molto preso di lei (parlo anche di me indirettamente)”
M:”Lo so”.
All’uscita saluto la mamma che l’ha accompagnata dal reparto alla visita.
Mi sembra tutto difficile, un pò troppo difficile
Alcuni pensieri
Ho l’impressione che l’abuso, che per Maria ,e forse anche per i famigliari, è l’inizio di tutto, sia in realtà un fattore precipitante, qualcosa che fa emergere un nucleo grave e molto precoce di sofferenza psichica. Lei è attualmente abusata da questo nucleo ,che potremmo definire psicotico (questo non significa che la pazienta sia psicotica) molto minaccioso ,come il tumore al cervello presente nelle minacce dello zio che le fece violenza. Penso che Maria cerchi di bloccare , rendere meno devastante e “maligna”,non mangiando, non bevendo, questa parte psicotica che rappresenta gli aspetti “mostruosi” del suo vivere.
Per alcuni anni “la bestia” si era assopita , incistata , ma con l’adolescenza era ri-emersa
con molta violenza.
Anche ora, di tanto in tanto succede che questa parte si nasconda, anche durante i colloqui, ed allora sembra perfettamente normale, una ragazza di “bon ton” con un linguaggio appropriato, sorridente, talvolta ironica.
Ho l’impressione che questa parte “psicotica” non sia mai stata elaborata, metabolizzata
…….i tanti ricoveri bloccano le crisi ricorrenti ma non sembrano aver permesso un’evoluzione.
Forse c’è anche una madre che non ha avuto ” il corso base “, che ha avuto grosse difficoltà con queste due gemelle…..sembra metterci buona volontà, ma facilmente si stacca anche lei divenendo come attonita, spaesata, non nutriente.
La mamma mi ha telefonato in questi giorni chiedendomi se può andare 15 giorni in oriente dal marito, perché altrimenti perderebbe delle indennità familiari e io ho pensato con timore che ci voglia dare in adozione Maria.
Tutta la famiglia è spaesata, il padre in Oriente, Maria ricoverata, la madre in Francia, la sorella a A.
Io sono spaesato e sono in difficoltà e credo di avere messo in difficoltà anche la mia equipe. Tuttavia anche con i suoi sogni mi ha chiesto di essere aiutata .
III°COLLOQUIO
Appena arriva in seduta mi comunica che a fine maggio andrà a A per festeggiare l suo compleanno con tutta la famiglia.
Poi comincia a raccontare un sogno: “chiedevo da mangiare… non me lo volevano dare. C’erano diversi infermieri…mi controllavano…non prendevo la terapia volentieri”. Le dico che potremmo anche pensare che i personaggi del sogno siano anche parti di lei, e che lei è la regista.
Maria sembra non cogliere la riflessione, e continua dicendo:
M:“Dopo 7 anni, per la prima volta, ho voglia…il cane, la mia casa, riprendere gli studi, ma non voglio bruciare le tappe”.
Le ricordo il sogno della scala, in cui faceva un passo in avanti e tre indietro, le delusioni, i capricci, i matti. Mi risponde: “si, si…piano, piano…cercare di venire fuori”.
Le dico che questo è un cambiamento, che non si deve, anzi, non ci dobbiamo scoraggiare: tutte queste persone che nel sogno la attaccano, non hanno fiducia, non le danno da mangiare. Le dico che credo che lei sia stata molto ferita e che si sia difesa come ha potuto.
M:“ce la metto tutta ma poi mi sento in colpa…verso me stessa, no aspetti…non avevo diritto di vivere, loro avevano la gemella…non merito di vivere una vita normale…con gli alti e bassi, si dice così?”.
Le dico che mi sembra che porti dentro di sé un giudice terribile.
M: “non è un giudice, è come mi fosse stato insegnato”.
Le faccio notare che se c’è un allievo allora ci deve essere anche un maestro.
M: “il mio cervello nasconde…una parte buia che nasconde ed allora la penso come ad un periodo felice”.
Le sue parole mi fanno pensare alla sua infanzia e alla sua adolescenza.
Le dico che c’è forse una relazione con le persone del sogno che non vogliono che lei mangi; forse qualcosa è mancato e lei ribadisce che:
M: “di sicuro è mancato qualcosa”.
Allora racconta che la madre a 19 anni è andata via di casa, per andare a lavorare a R, dove ha conosciuto il padre, allora studente. Emerge anche la figura del nonno materno, ex partigiano, prima uomo coraggioso che diviene poi violento soprattutto con la figlia, futura mamma di Maria.
Maria tuttavia conserva un bel ricordo del nonno, che è morto quando lei aveva 6 anni.
Da allora a me la mamma sembra più simpatica, meno fredda ed attonita.
All’improvviso dice:
“vorrei ringraziarla, anche i suoi colleghi…non sono mai stata così in 7 anni…la paura…la rabbia…tutto sembra attenuarsi…spero che sia definitiva, non un’euforia transitoria”.
Mi viene in mente il suo sogno, che ci indica dei cambiamenti. Le dico che, anche a proposito degli incubi, sognarli vuole dire cominciare a riconoscerli:così non mangiano più dentro di lei, come dei vampiri.
In una seduta successiva Maria mi dice che dorme come non succedeva da anni, poi, dopo un lungo silenzio, prosegue:
“a volte mi dico…stavo bene, ero più forte quando pesavo 27 Kg poi penso…non è vero!! Ora ho più libertà…c’è una parte che vuole assolutamente dimagrire ancora…e un’altra che dice di continuare”.
Mentre Maria parla penso che mi sembra troppo bello, temo le idealizzazioni ma poi penso che tante ragazze come lei sono guarite. Mi viene da dirle che la vita si sta animando:
M:“sento la voglia di fare le cose!!”,
dice, con un’espressione che sembra stupita davvero.
Mentre le parlo faccio un lapsus, dicendo foglia invece che voglia. Gliene parlo facendo riferimento alla foglia delle piante, e le dico che forse la foglia richiama un po’ la leggerezza e lei ora è in una dimensione più leggera. In realtà penso anche alla caducità delle foglie, ma tengo questo pensiero per me. Penso anche a come tanti anni di malattia , senza poter capire bene cosa fossero queste ” cose ” terribili che si muovevano dentro di lei , debbano essere stati veramente difficili per Maria.
M:“È la seconda volta in vita mia che mi capita di desiderare di stare con un uomo”, dice sorridendo. Non riprendo questo riferimento così diretto alla nostra relazione, ma le chiedo
A:senza terrore?
M:annuisce
A:senza rabbia?
M:”si…forse non sono tanto anormale come penso…c’è un problema…”
Le chiedo di che cosa si tratta e mi dice:
M “no, no, niente…oggi vado a farmi un altro tatuaggio”.
Dice che la mamma è contraria e le dice che è ancora matta, ma sorride, il padre invece la rimprovera dicendole che il tatuaggio potrebbe pregiudicarle un futuro lavoro.
Le dico che si trova in un conflitto, ma che mi sembra meno drammatico di altre volte.
M: “devo cancellare questi 7 anni….sono stata terribile, come ricompensare i miei?”.
Io mi sento inquieto.
M:“forse il mio carattere mostruoso era inconsapevole…ma come ho potuto, me lo chiedo”.
Le dico che allora non c’erano ancora i conflitti: c’era un inganno, qualcosa che non la faceva parlare, pensare e decidere.
Alla fine parliamo del fatto che sarò assente per dieci giorni e le dico che mi più chiamare. Mi viene in mente che lo scordo febbraio mi chiamò, da un’isola dove era in vacanza, esprimendo propositi suicidari.
Ricordo in particolare che al suo ritorno iniziammo la psicoterapia, e da allora ho cominciato ad avere qualche piccola speranza.
Le ricordo questa telefonata, ma Maria sembra non capire, allora le ricordo che mi chiamò minacciando il suicidio:
A:”c’era in lei un forte conflitto ma la parte distruttiva non vinse, lei non si uccise e tornò nel nostro Centro.”
Maria conclude la seduta dicendo: “avevo tanta fame”.
Il ricovero fini .
Uscita dal Centro ebbe quasi subito una breve relazione con un professore universitario poco più vecchio di me: io non interpretai questo come un transfert “laterale”, ma credo di averla aiutata a sentire cosa era per lei quella esperienza che andava vivendo.
Ha proseguito una terapia, prima con due poi tre sedute settimanali per un anno e mezzo; cominciò poi a saltare alcune sedute e infine, di concerto con la mamma
M:“potrei venire una volta alla settimana, perché…”
perché stava meglio, perché aveva altre cose da fare. Di fronte alla mia tenacia, nel difendere il setting con due sedute settimanali, tenacia che ora penso essere stata piuttosto stupida, interrompe la terapia, con garbo, e mi lascia un suo scritto sulla storia del rapporto con la malattia.
Il titolo dello scritto è: “La malade imaginaire: trajet d’une silhoutte mentale”.
La madre torna poi in oriente dal papà….. lei una sera è arrivata al nostro Centro Crisi dicendo che aveva sbagliato la coincidenza del treno, chiedendo ospitalità.
Fu ospitata per due giorni e ne fu contenta ma non mi cercò.
Tempo fa mi ha chiamato e mi ha fatto parlare con una amica, psicologa di una comunità non psichiatrica dove ora viveva.
Devo dire che sono stato contento di sentirla ma ho provato anche della irritazione per questa psicologa di mezzo con la quale sembrava trovarsi bene…ho confermato la mia disponibilità e
A: “auguri Maria! mi fa piacere avere sue notizie”.
Da molto tempo non presenta sintomi psichiatrici evidenti, non ha tentato il suicidio e sembra aver messo alle spalle la sintomatologia anorettica…mi sembra quasi impossibile!
Ogni tanto fa brevi telefonate, soprattutto al centro e talvolta anche a me.
Ora vive a A, dove si è laureata ed ha, anche lei, intrapreso la “strada diplomatica”.