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Mangiarsi le unghie, il significato psicologico e le cause

L’onicofagia non è soltanto un gesto nervoso o un’abitudine sgradevole. È, piuttosto, un comportamento carico di significati simbolici e psicologici, che può dire molto della nostra interiorità, dei nostri stati emotivi e dei conflitti irrisolti. Il gesto di mangiarsi le unghie ha un preciso significato psicologico e, anche se è spesso considerata un’abitudine innocua, un tic passeggero, quando diventa cronico, può celare dinamiche complesse che meritano ascolto e comprensione.

Mangiarsi le unghie, il significato psicologico: un comportamento (apparentemente) infantile

L’onicofagia compare spesso nell’infanzia o nella preadolescenza e può accompagnare il soggetto anche in età adulta. Molti ricordano di aver iniziato da piccoli, in momenti di noia, ansia o durante situazioni stressanti. In età adulta, invece, il gesto può diventare automatizzato, ripetuto inconsciamente anche in contesti sociali o lavorativi, senza che vi sia una reale consapevolezza.

Ma perché questo comportamento persiste? La risposta può trovarsi nelle fasi precoci dello sviluppo psicologico. Mangiare le unghie è, in qualche modo, un ritorno regressivo a una fase orale, in cui la bocca è veicolo di esplorazione, consolazione e auto-regolazione. È un gesto auto-erotico, che ristabilisce un senso di controllo o di sollievo quando il soggetto si sente sopraffatto.

Mangiarsi le unghie, il significato psicologico dell’onicofagia

Dal punto di vista psicoanalitico, mangiarsi le unghie può rappresentare una forma di auto-aggressività rivolta contro sé stessi. La mano – simbolo di azione, potere, relazione – viene attaccata attraverso la distruzione delle unghie, quasi a voler reprimere un impulso, contenere un desiderio o punirsi per qualcosa.

Ma ci sono anche interpretazioni meno rigide. Alcuni autori vedono nell’onicofagia un modo per gestire emozioni difficili come ansia, frustrazione, noia o vergogna. Il gesto meccanico del rosicchiarsi le unghie può funzionare come un tentativo (per quanto inefficace) di calmare l’irrequietezza interna.

Tra i significati psicologici più comuni troviamo:

  • Sostituzione del contenimento esterno con uno interno: nei momenti di stress, il gesto autoindotto sostituisce il conforto che ci si aspetterebbe dall’altro.
  • Gesto di autocontrollo o auto-punizione: in soggetti perfezionisti o autocritici, mangiarsi le unghie può essere una modalità per “correggere” se stessi, punendosi simbolicamente.
  • Esigenza di protezione o regressione: il ritorno al gesto orale può esprimere un bisogno inconscio di sicurezza, come quello sperimentato nell’allattamento o nella suzione.

Cause profonde e dinamiche inconsce

Non sempre l’onicofagia è legata a un disturbo psichiatrico. Molto spesso è un comportamento reattivo, espressione di un disagio che non ha ancora trovato un altro canale di espressione. Tuttavia, in alcuni casi, essa può comparire in comorbidità con disturbi d’ansia, disturbo ossessivo-compulsivo, ADHD o tratti di personalità ossessiva.

Un aspetto interessante è che l’onicofagia può emergere come “rito privato”, che si consuma spesso in solitudine, lontano dagli sguardi. Questo elemento rituale lo rende simile ad altri comportamenti ripetitivi come strapparsi i capelli (tricotillomania) o grattarsi compulsivamente (skin picking), in cui il gesto diventa un tentativo primitivo di regolare una tensione interna.

Le principali cause dell’onicofagia includono:

  • Stati ansiosi o di iperattivazione psichica, come tensioni scolastiche, lavorative o relazionali.
  • Carattere ipercontrollato o perfezionista, che reprime emozioni o impulsi e li converte in gesti compulsivi.
  • Mancanza di strategie emotive alternative, soprattutto in persone che hanno difficoltà ad esprimere il disagio in modo verbale.
  • Condizionamento appreso nell’infanzia, in famiglie dove il controllo o la rigidità erano predominanti.

L’illusione del sollievo

Il paradosso dell’onicofagia sta nel fatto che il sollievo che ne deriva è solo momentaneo. Subito dopo il gesto, la persona può sperimentare vergogna, frustrazione o addirittura rabbia verso sé stessa. In molti casi, questa reazione innesca un ulteriore ciclo di tensione e consumo, come in un circolo vizioso da cui è difficile uscire.

Le dita ferite, le unghie consumate, la pelle infiammata non sono solo conseguenze fisiche: sono testimonianze visibili di un conflitto interno non risolto, che continua a cercare una via d’uscita. Più si tenta di reprimere il comportamento con la forza di volontà, più esso si ripresenta, proprio perché il vero nodo non è stato affrontato: la fonte dell’ansia, del disagio, del bisogno.

Un sintomo che chiede ascolto, non giudizio

In una società che tende a medicalizzare tutto e a cercare soluzioni rapide, è importante ricordare che sintomi come l’onicofagia non vanno solo eliminati, ma ascoltati. Non si tratta di “smettere di farlo” con qualche smalto amaro o con strategie comportamentali superficiali, ma di capire cosa quel gesto sta raccontando di noi.

Spesso, il percorso più efficace è quello psicoterapeutico, soprattutto di tipo psicodinamico, dove il comportamento viene esplorato in profondità, nel suo legame con la storia individuale, le emozioni represse e i bisogni inespressi. Solo così il sintomo può trasformarsi da prigione silenziosa a messaggero di qualcosa che chiede spazio e riconoscimento.

Conclusione: oltre il gesto, l’incontro con sé

Mangiarsi le unghie non è solo una cattiva abitudine, ma un linguaggio del corpo che parla in vece della mente. È un gesto che può contenere rabbia, insicurezza, frustrazione, ma anche un disperato bisogno di consolazione, di autocura, di presenza. Invece di combatterlo con durezza, potremmo iniziare a domandarci: cosa sto cercando di contenere? Cosa sto cercando di non sentire? Solo accogliendo la domanda nascosta dietro il sintomo, sarà possibile uscire dalla ripetizione e aprirsi a una forma più matura di ascolto di sé.

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