Negli ultimi giorni abbiamo assistito al dipanarsi della descrizione di come si sono verificati gli eventi in due storie davvero tragiche di omicidi senza motivo: da un lato un uomo di circa trenta anni ha confessato di essere uscito di casa con l’idea di uccidere e di averlo fatto senza un motivo, soltanto perché era attratto dall’idea di dare la morte a qualcuno; dall’altro, un ragazzo di diciassette anni, non ha esitato a uccidere il fratello dodicenne, la madre e il padre per un malessere che sentiva dentro di sé e che non si sapeva spiegare.
Entrambe le situazioni ci vengono presentate come espressioni di violenza, apparentemente omicidi senza motivo.
Interroghiamoci sugli omicidi senza motivo
Dobbiamo rassegnarci ad assistere a simili espressioni di violenza che, ad una prima e frettolosa osservazione, possono apparire senza un motivo e perciò ci agghiacciano molto di più che se un motivo fosse possibile identificarlo oppure possiamo provare a chiederci se gli strumenti che stiamo usando per cercare di capire quello che è accaduto sono così efficaci da permetterci di giungere ad un risultato?
Quello che sto cercando di esprimere è che di fronte a fatti di questa gravità, forse dovremmo abbandonare l’idea che, se facciamo una domanda e otteniamo una risposta, i modi per fare quella domanda e per dare quella risposta sono solo quelli che usiamo.
Quello che sto proponendo è di chiederci: il fatto che stiamo facendo ipotesi esplicative e, in conseguenza di ciò, domande per ottenere risposte nel modo abituale di provare a farlo, che si rivela generalmente utile per capire come avvengono fatti più semplici, meno drammatici, ha un senso se lo usiamo anche in situazioni speciali come queste? Oppure dovremmo provare a chiederci se non dovremmo formulare ipotesi esplicative meno facilmente evidenziabili e, in conseguenza di ciò, provare a costruire un modo di fare domande che permetta di non fermarsi alle risposte ottenute: “non so perché l’ho fatto”,” l’ho fatto per noia” oppure “mi sentivo strano”, “volevo provare a pensare alla mia vita da solo”, etc. etc. che, alla fine ci portano a dire, come si accennava all’inizio, che entrambi hanno compiuto i loro omicidi senza un perché.
Spunti di riflessione
Lungi da me l’idea di dare giudizi o esprimere biasimi. Semmai, solo di proporre alcuni elementi di riflessione in relazione ad una esperienza da me vissuta.
Alcuni anni orsono, svolgevo la funzione apicale in un Servizio per la Salute Mentale, al centro di Roma. Accadde un fatto tragico: un ragazzo di quindici anni uccise entrambi i genitori, si rifugiò sul terrazzo del palazzo in cui abitava la sua famiglia e fu salvato dalla possibilità di farla finita dall’intervento senza paura di un mio collega. Il ragazzo fu ricoverato nel Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura (SPDC) pubblico e, successivamente, in una Casa di Cura Psichiatrica privata. Per capire come stava e perché avesse fatto quel gesto e per dare modo agli operatori del CSM di organizzarsi per seguirlo.
Durante quel periodo, pur essendo ancora presente, tra gli operatori, la spinta a prendersi cura anche dei casi più difficili, sull’onda di quanto accaduto a Trieste e sull’esempio di Franco Basaglia, mi trovai di fronte al fatto che nessun operatore del Servizio che dirigevo intendesse occuparsi del ragazzo in questione.
Mi interrogai a lungo sul perché di questo rifiuto e, in particolare, su quello che mi disse una collega esperta, che in precedenza aveva dimostrato una sensibilità non comune oltre a conoscenze profonde dell’animo umano: “Questa volta non ce la posso fare nemmeno io che generalmente mi espongo oltre i miei limiti”.
In poche parole, si venne a determinare un atteggiamento condiviso da tutti i miei colleghi, riassunto dalle parole della mia collega. A quel punto decisi di occuparmene personalmente, visto che anche quel ragazzo aveva diritto che qualcuno provasse a capire, con lui, quello che era accaduto.
L’omicidio di Sharon e la strage di Paderno Dugnano
Mi è rivenuto in mente questo episodio in questi giorni: come se, di fronte ad un fatto, come l’omicidio senza motivo di Sharon, una passante o l’assassinio di un fratello minore e dei propri genitori avvenuto a Paderno Dugnano, il sentimento che si impossessa di tutti noi sia costituito dal bisogno di tenerci lontano dal dolore incommensurabile dei genitori e del fidanzato della donna uccisa o dei nonni e degli zii del diciassettenne e di pensare che uno che ha fatto una cosa così grave senza un motivo riscontrabile sia diverso da noi, sia un mostro da cui non sia possibile far altro che tenersi lontano.
Accogliere per buone le pseudo-ragioni espresse contribuisce ad aiutarci a tenerlo lontano, a pensarlo come a qualcuno diverso da noi in maniera chiara. Sono solo dei mostri che compiono atti esecrabili senza un motivo!
La mia esperienza con autori di omicidi senza motivo
Ho avuto rapporto con l’omicida dei due genitori, di cui parlavo prima, per tre anni, finché egli, cercando di fuggire da un SPDC, cadde da un’altezza elevata e perse la vita. Nel corso di quei tre anni, ebbi rapporto con lui, con il fratello della madre e con i nonni paterni: una volta, un mio collega ed io lo accompagnammo nella casa in campagna dei due nonni, dove trascorse una giornata serena. Nei colloqui che tenemmo con loro, emersero i motivi del disagio di quel ragazzo: motivi che andavano avanti da molti anni, costituiti dalle difficoltà di rapporto con i suoi genitori, molto diverse ma, entrambe molto importanti. Però ci volle molto tempo per riuscire a farsene un’idea precisa.
Per portare a termine un lavoro del genere, a mio parere, è necessario tenere presenti due questioni:
- Avere la capacità di ipotizzare che le difficoltà non nascono e si sviluppano dentro una persona, una unica persona, ma nei rapporti tra le persone, nei rapporti tra persone che contano l’uno per l’altro;
- Aiutare tutte le persone coinvolte ad appropriarsi della capacità di guardare dentro di sé e di imparare a riconoscere aspetti di sé che non si aveva nessuna cognizione di avere in precedenza e che erano emersi, improvvisamente, con una forza incontenibile, anche perché non legata esclusivamente alle sole persone apparentemente in gioco, ma anche ad altre, appartenenti alle generazioni precedenti (traumi transgenerazionali).
Mi riferivo a questi due aspetti quando inizialmente facevo l’ipotesi che è importante il modo di pensare e il modo di cercare i motivi nascosti che sono all’origine delle nostre azioni, anche delle più terribili quali quelle degli omicidi senza motivo.
Posso sbagliarmi, ma io credo che la possibilità di capire non è legata soltanto alle pseudo-spiegazioni della persona ma anche alle domande che gli vengono effettuate, al modo in cui pensa chi formula le domande e come. Le cose sono più complesse di come appaiono.