Hanno inventato il temine comunità terapeutica democratica.
Non ho mai pensato che una comunità potesse essere terapeutica senza democrazia intesa come coinvolgimento attivo di operatori e ospiti senza peraltro stravolgere la vocazione di cura.
L’assemblea degli ospiti e degli operatori è a mio avviso il punto focale di questo processo: nessuna comunità è realmente terapeutica se non c’è la possibilità di ascoltare, conoscere, partecipare attraverso l’assemblea alla vita in comune.
In tal senso mi è venuto facile il paragone con le elezioni appena svolte: la scarsa partecipazione,indicando una mancanza di capacità di coinvolgimento ed interesse, pare essere il segno di una ridotta funzione democratica . Pertanto potremmo dire come fanno molti politici che c’è un malfunzionamento sociale.
In genere valutando l’operato degli operatori e dei direttori delle comunità terapeutiche ritengo un segnale d’allarme il fatto che alla assemblea partecipino meno del 70% degli ospiti. Nel caso ritengo si debba intervenire richiamando i dirigenti ad una maggiore capacità di coinvolgimento e di interessamento degli ospiti.
Per farlo bisogna intanto crederci (vale per i leader politici, quanto come per i nostri direttori), poi essere coerenti con il mandato nel nostro caso di cura e con le promesse relative che non vanno disattese.
Per essere credibili bisogna partecipare attivamente e direttamente alla vita della comunità stando con gli ospiti (con la gente, direste ai politici) individuando in modo chiaro e discutibile gli obbiettivi della loro permanenza in comunità.
Alla fine della tornata elettorale gli schermi delle Tv erano pieni di saccenti oratori più o meno protagonisti che ci spiegavano che il 50% dei partecipanti al voto era un numero basso che dimostrava una crisi di fiducia nelle istituzioni e nei protagonisti dei partiti: certamente vero. Il problema è come si fa a coinvolgere e ad interessare la gente a partecipare: stesso problema dell’assemblea delle comunità.
Apro un confronto di idee su ciò: ……..