Pubblicato tra il 1890 e il 1891, il ritratto di Dorian Gray è probabilmente l’opera più nota di Oscar Wilde. La celebre narrazione è nota come manifesto dell’estetismo e ha immediatamente raggiunto un enorme successo di pubblico. Film e serie tv hanno ripreso il personaggio dandy e vanitoso dell’Inghilterra vittoriana, aceentuandone però soltanto alcuni aspetti, quelli più funzionali al marketing, e trascurandone la complessità. Come numerosi altri romanzi celebri, anche il ritratto di Dorian Gray è collocato temporalmente in uno spazio abbastanza lontano dall’epoca contemporanea, eppure si rivela sempre drammaticamente attuale. I drammi umani, in effetti, non hanno tempo. Metaforicamente parlando, Dorian Gray veste i panni dell’uomo moderno continuamente insoddisfatto e alla perenne ricerca della perfezione. La sua psicologia non ha davvero nulla di dissimile da chi oggi ricorre a cosmetica, chirurgia o quant’altro per mantenersi giovane e bello.
Il culto della bellezza nel ritratto di Dorian Gray
L’esistenza è fugace. Questo lo sappiamo bene tutti. Nessuno di noi, per quanto lo desideri, è indifferente al trascorrere del tempo. Chiunque è consapevole del fatto che dovrà invecchiare, e, inevitabilmente, morire. Ciononostante, non possiamo certo considerare la vita soltanto in virtù della sua conclusione. Così facendo, non ci godremo nessuna delle bellezze che offre. I nostri giorni trascorrerebbero in un’ansiosa attesa della fine, la quale frantumerebbe inevitabilmente la nostra sanità mentale. Dorian Gray è vittima di queste elucubrazioni e ossessionato dal proprio aspetto. Non sa che l’eterna giovinezza è soltanto un’illusione, nè che non si possa vivere avendo come unico valore e punto fermo l’apparenza. L’ossessiva resistenza all’invecchiamento è una paranoia e una deviazione. La sua vicenda ci è d’insegnamento e ci dimostra queste verità, valide oggi come alla fine dell’800.
Nell’idea di Wilde l’uomo non dovrebbe abbandonarsi a debolezze, negatività e immagini effimere. A suo avviso, lo scopo della vita umana è quello di inseguire una bellezza interiore, elevando gli animi e rendendo l’epoca in cui si vive un periodo memorabile. L’approccio di Dorian Gray si allontana molto da questi concetti. Egli è infatti un vanesio, caduto nella trappola postagli dalle tentazioni e dalle debolezze della vita umana. Il nobiluomo non è in grado di capire che farebbe bene a inseguire ben altri valori per cui basa la sua intera esistenza su quello che è, probabilmente, il più effimero di tutti: l’avvenenza.
La psicologia di Gray non è troppo complessa. Egli ama soltanto sé stesso, si vede come fulcro della propria vita e ritiene di essere la persona più importante nella propria esistenza. Quel che scoprirà è che, così facendo, è destinato a restare in compagnia soltanto di chi ama. Rimarrà dunque solo.
Il Narciso inglese
Non è sbagliato considerare il ritratto di Dorian Gray come una rilettura del mito greco di Narciso. In entrambi i casi, infatti, abbiamo lo stesso protagonista: un giovane bello e vanitoso incapace di innamorarsi perché irrimediabilmente attratto dalla propria immagine. Il ritratto, in Wilde, e lo specchio d’acqua, per l’affascinante giovane greco, sono il punto di incontro di queste due anime. Eppure, non sono che oggetti inanimati. Dorian Gray e Narciso non sanno relazionarsi con altre persone, non hanno una vita sociale regolare né interesse a conoscere persone che possano donar loro affetto, sulle quali riversare il loro amore, perché sono già innamorati, impegnati a vivere una relazione sentimentale, che tale non è, con la propria immagine riflessa.
La passione infiamma questi due protagonisti e, com’è chiaro soprattutto leggendo Narciso, essi giocano due ruoli: amante e amato. In Dorian Gray abbiamo un elemento differente: la consapevolezza. Se nel mito greco vediamo un bel giovane rapito da sé stesso, ma fondamentalmente incosciente di quanto gli stia accadendo, in Wilde abbiamo a che fare con un uomo che è al corrente della bellezza della propria immagine. Il vittoriano ha anche contezza del fatto che, con l’incalzare degli anni, essa svanirà. L’obiettivo di Gray diventa dunque quello di rifuggire questa eventualità, di fare tutto quanto in suo potere per custodire la sua immagine al riparo dal tempo. Per ottenere questo fine, il protagonista del romanzo rinuncia però a qualcosa di molto più importante, ovvero la sua essenza umana, la propria anima.
La psicologia nel ritratto di Dorian Gray
Dorian Gray, a livello sociale, è un inetto e un incapace. Nonostante si circondi di ammiratori, ammiratrici e confidenti, rimane sempre fondamentalmente solo. Non sa aprirsi e non si sforza di farlo, perché sa che potrà sempre contare su sé stesso e la propria avvenenza. Ciò gli basta. Vive la sua esistenza in maniera egotistica, unilaterale, come se fosse un’isola attorno alla quale ruotano le altre persone, senza entrare mai davvero in contatto con essa. Dorian Gray ama il suo viso, le sue mani e il suo corpo e li accetta solo in un’unica forma, congelata dal tempo, mentre ripudia l’uomo nel ritratto, che si fa vecchio e curvo.
L’esteta si fa forza della sua immagine, ma questa è l’unico vero asset di cui dispone. Se dovesse perderla, sprofonderebbe in un baratro di delusione e tristezza. La sua condizione è patologica, perché rifugge la realtà e vive in una fantasia che ha creato lui stesso.
Incapace di reggere il confronto con il mondo esterno e stanco di vivere nella solitudine e nella vacuità delle apparenze effimere e fini a sé stesse, Dorian Gray finirà inghiottito nella sua psicosi della bellezza a tutti i costi. Rinuncerà infine a essa, rinunciando anche alla propria vita.