Vaso di Pandora

I tabù sui disagi psicologici: la morte di Francesco

Le morti tra studenti universitari non sono soltanto quelle su cui si accendono i riflettori perché catturano l’attenzione della cronaca.

Il suicidio del ventiduenne Francesco Mancuso è rimasto nel più assoluto silenzio, come, del resto, moltissimi dei tentativi che si consumano negli spazi privati.

Nella notte tra il 15 e il 16 gennaio, il giovane studente, iscritto alla facoltà di economia dell’Università di Palermo si è tolto la vita, proprio nella data di partenza della sessione invernale. Lui avrebbe dovuto sostenere il successivo 23 gennaio un esame che non riusciva a superare.

I tempi canonici avrebbero voluto che Francesco dovesse già essersi laureato, ma a lui mancavano 5 esami per concludere il suo percorso di studi. Si trattava dell’ultima sessione utile prima di diventare “un fuori corso”. Sicuramente l’ansia di essere rimasto l’unico tra i suoi colleghi, ormai tutti laureati, a dover superare l’esame di economia e gestione degli intermediari finanziari assieme al senso di sopraffazione generato dai tempi stretti per dover concludere il tutto e per non essere da meno rispetto agli altri hanno giocato un ruolo fondamentale in questa tragedia.

La cattiva narrazione di successo e fallimento ci porta a sovrapporre vita e carriera universitaria o lavoro tanto da confondere le due cose. Francesco non era in condizioni di disagio economico e avrebbe potuto accedere ad un supporto psicologico, questo indica che avere maggiori strumenti per chiedere aiuto non elimina di per sé lo stigma che tutt’ora esiste sulla salute mentale e tanto meno non abolisce la pressione sociale. Il disagio piscologico è trasversale ad ogni condizione di classe.

Complici di questo stigma, a volte, le istituzioni stesse. L’Università di Palermo si è rifiutata di pubblicare alcuna nota in merito, nonostante l’avanzata richiesta dei suoi compagni di corso e la loro proposta di conferire una laura ad honorem, postuma, allo studente, ovviamente disattesa per attenersi ad un farraginoso regolamento accademico che offre tale possibilità solo in caso di ragioni di merito.

La cosa più triste è che questa storia è emersa solo perché i compagni di Francesco, chiaramente scossi per l’accaduto, hanno trovato nell’analoga morte della ragazza suicida allo IULM la forza per reagire e per far sì che il racconto da loro fatto non diventi solo un fatto di cronaca, destinato a cadere nel dimenticatoio, ma vorrebbero che il loro amico non cada nell’oblio e che la morte di Francesco diventi un monito a scopi collettivi, facendo capire a chi si trova in condizioni simili che non è solo.

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