Commento all’articolo apparso su La Repubblica “USA, Allarme sui social danni alla salute mentale dei ragazzi più giovani”
Il tema dell’impatto negativo dell’uso dei social sul cervello ancora immaturo dei bambini e ragazzi è oggetto di dibattito in molte sedi. L’articolo di Vivek Murthy si inserisce in questo filone di pensiero.
Crediamo che sia un problema con molteplici sfaccettature e che senza minimizzare l’effetto negativo di un uso eccessivo o smodato dei social sullo sviluppo della personalità in formazione, forse dobbiamo interrogarci sul perché di questo uso e chiederci se il malessere crescente tra i giovani e giovanissimi sia “Tutta colpa” dei social. Già questa osservazione ci porta a fare una distinzione tra uso e abuso dei social.
I ragazzi definiti “Nativi digitali“ sono nati e cresciuti in un ambiente in cui l’uso di Internet è una normale pratica familiare, per non parlare del fatto che durante la pandemia a questi ragazzi è stato chiesto e imposto di collegarsi a Internet se non volevano interrompere il percorso scolastico. Le misure restrittive adottate per limitare la diffusione del virus hanno avuto gravi conseguenze sulla salute psichica dei giovani e giovanissimi. La sofferenza e le richieste di aiuto per questa fascia di età sono aumentate tantissimo, e di questo dobbiamo tenere conto.
D’altra parte, Internet in quel momento ha svolto una funzione positiva. Immaginiamo se la Pandemia fosse scoppiata neanche 20 anni fa, senza l’ausilio di internet, probabilmente, il tasso di abbandono scolastico sarebbe stato altissimo, con conseguenze pesantissime, in prospettiva, sulle possibilità di occupazione lavorativa. Per non parlare dell’isolamento sociale, che già è stato pesante, ma chi di noi non ha fatto almeno una videochiamata nei momenti in cui diventava insopportabile?
La questione è che la vita reale e quella virtuale sui social dovrebbero coesistere ma in alcuni casi si osserva uno scollegamento tra loro e un ritirarsi nel mondo virtuale (questo l’abbiamo osservato già da anni in forma estrema con il fenomeno dei Hikikomori).
Ma dietro queste forme di ritiro in un mondo virtuale, forse c’è una grande solitudine, malessere, insicurezza, paura di confrontarsi con gli altri in un momento così delicato della vita in cui ci si deve confrontare con un corpo che cambia e che non sempre si è in grado di accettare, un corpo di cui ci si vergogna. Allora esporsi nel mondo reale può far paura nel timore di essere rifiutati, non accettati, di non essere all’altezza.
A rifletterci questo accadeva anche in epoca pre Internet in modo più solitario e con poca risonanza, i giovani in difficoltà si ritiravano in casa in solitudine, queste condizioni sono meravigliosamente descritte nei testi del grande Giacomo Leopardi.
Oggi, all’epoca di Internet può essere una scorciatoia entrare in relazione da dietro uno schermo che permette di non esporsi direttamente, anche di modificare le proprie immagini e di adattarle a standard accettati. Ma questa scorciatoia può portare in un vicolo cieco dove le proprie insicurezze e le proprie paure sono o diventano uno strumento in mano a una moltitudine di “amici” che non sono tali e, ancor peggio, di soggetti di cui si conosce solo lo pseudonimo o l’avatar ma non la vera identità e che attaccano proprio facendo leva sulle fragilità esposte, pensiamo al cyber-bullismo.
Se così fosse si potrebbe pensare che il malessere sia antecedente e forse causi l’abuso di Internet, e le sue conseguenze, a volte tragiche. Sempre più adulti, anche genitori, alimentano questo uso eccessivo dei social, non riuscendo quindi, di fatto, a mettere un limite sano ai propri figli.
Fortunatamente, emerge anche un aspetto positivo dei social nelle personalità in formazione più fragili, dal momento che sempre più persone, anche adulte, trovano il coraggio dietro uno schermo di raccontare la propria esperienza di malattia, fisica o psicologica, riducendo la stigmatizzazione e, spesso, aiutando altri ragazzi a trovare il coraggio di verbalizzare le proprie difficoltà e chiedere aiuto.
Diverso è il problema dell’impatto negativo su Internet sulle capacità attentive, i social offrono una gratificazione immediata, non c’è bisogno di applicarsi, di pensare, di riflettere e se ciò è negativo per gli adulti lo è in misura gran lunga maggiore per una personalità che si sta formando. Ne è un chiaro esempio TikTok, il social composto da brevi video, molto popolare al momento. Fa effetto vedere un adolescente che scorre i video alla velocità della luce, mentre fatica a mantenere l’attenzione per guardare un film dall’inizio alla fine.
Condividiamo il suggerimento che l’autore rivolge alle famiglie di avere dei momenti social free, in cui anche i genitori rinuncino al cellulare e si aprano alla possibilità di un dialogo coni figli, che aggiungiamo dia spazio anche alle loro difficoltà, forse a volte nascoste anche per paura di deludere i genitori.