Convegno SAPAR
Si discute sull’assetto attuale dell’uso delle slot machines e di altri giochi, non senza note polemiche nei confronti di provvedimenti miranti a limitarlo.
Dipendenze, sappiamo che il gioco d’azzardo vi può rientrare, insieme all’uso di sostanze, anche perché con queste condivide alcune dinamiche e motivazioni: la ricerca del rischio e le connesse fantasie di onnipotenza.
Ciò è ovvio per il gioco, meno per l’uso di sostanze: ma anche per questo incide la spinta a superare e possibilmente ignorare i propri limiti, anche pericolosamente.
Forse la ricerca del rischio ha in sé qualcosa di nostalgico: nostalgia del tempo in cui il primitivo, l’“uomo di natura”, non era tutelato da altro che dalla propria capacità di affrontare i pericoli a mani nude. Si può sfidare potentemente il rischio con attività socialmente accettate o perfino ammirevoli, come certi sport estremi che tuttavia non hanno il carattere dell’azzardo perché richiedono (richiederebbero?) grandi abilità da acquisire con pazienza; oppure, in modo più diretto e apparentemente più facile, assumendo onnipotentemente sostanze che sconvolgono la mente, o ancora mettendo in gioco i propri beni economici, anche fino all’estrema rovina.
Una buona chiave di lettura è il “semicerchio della salute mentale” del mito di Ulisse. Questi, volendo ragionevolmente sottrarsi al servizio militare nella guerra di Troia, si era finto folle; ma Palamede è stato più furbo di lui, posando suo figlio Telemaco – all’epoca infante – davanti all’aratro che Ulisse, da buon re pastore-contadino, stava spingendo. Ulisse ha evitato di uccidere il bambino deviando con un semicerchio attorno a lui, per poi riprendere la linea rettilinea del solco da tracciare; ha così dimostrato senza volere la sua salute mentale, e ha dovuto partire per Troia. Salute mentale è dunque perseguire i propri soddisfacimenti ma con gli aggiustamenti imposti dal principio di realtà; è quel che manca nelle addictions.
La fantasia di onnipotenza del giocatore compulsivo è espressa fortemente da Dostoevskij ne “Il giocatore”: il protagonista, nel perseguire l’illusione di dominare la sorte, si fantastica vincitore e – se non ricordo male – sogna a occhi aperti una ricchezza tale da poter un giorno trasferire in Russia una vera gemma paesistica: il lago di Como! Pare evidente il rapporto con il pensiero magico, anche questo condiviso con l’uso di sostanze, basti ricordare Castaneda che nelle sue opere vi attribuisce la capacità di ottenere poteri magici sulle cose.
Il problema è entrato necessariamente a far parte dell’infinito capitolo del rapporto spesso conflittuale delle esigenze individuali con quelle collettive incarnate nelle istituzioni: del disagio della civiltà di Freud. Il problema del confronto di ogni tipo di cultura dominante con le dipendenze, o meglio con le usanze a rischio di dipendenza se lo ponevano già i greci: il razionalista Euripide ci presenta nelle Baccanti il contrasto, conclusosi tragicamente, fra il re Penteo e il Dio del vino induttore di ebbrezze incontrollate, Dioniso. Da allora non si è trovata una soluzione: per parlare della nostra cultura, la politica ha oscillato fra: divieto totale o quasi come per i derivati dell’oppio e della coca; strisciante semi-tolleranza come per la marijuana e derivati; accettazione e consenso all’inserimento esplicito e diffuso nel costume e nelle attività commerciali e produttive, come per l’alcool. In altre culture le scelte sono state ovviamente diverse, ma sempre rispettando tali parametri differenziali.
Quando una sostanza – o attività – a rischio di dipendenza è stata per secoli accettata, e si è profondamente inserita nella cultura – pensiamo fra l’altro alle complicate e seducenti mitologie legate al vino – è molto difficile tornare indietro vietando o disincentivando efficacemente, come ha tragicamente insegnato l’esperienza proibizionistica statunitense. La politica fa ricorso, come nei riguardi dell’alcool, alla leva fiscale, peraltro dal senso ambiguo: serve a far soldi in qualche modo o a limitare il consumo? Nel caso specifico del provvedimento di cui si parla, certo non contribuirà significativamente a risolvere il problema delle dipendenze patologiche ma neppure provocherà gli sconquassi economico-occupazionali temuti dalla SAPAR. Forse esso va ritenuto complessivamente positivo, come tutto ciò che in qualche modo disincentiva il gioco: inaccettabile ed equivoco, a questo proposito, l’intervento del Presidente SAPAR che equipara il gioco d’azzardo – perché tale è – al diffuso gioco con i telefonini, non esente da problemi che però sono del tutto diversi.
Anche se da addetti alla salute mentale siamo sensibili al dramma di tante persone che giungono alla personale rovina economica e affettiva, dobbiamo riconoscere che il problema difficilmente si può tagliare con l’accetta. Sarebbe centrale la possibilità di distinguere il giocatore moderato da quello che si avvia su una brutta china. Il gestore del gioco, se lo si identifica e si dimostra che è consapevole di comportamenti a rischio del giocatore, può esser perseguito, e lo è stato anche efficacemente, in sede penale; ma non sempre ciò è attuabile. Importante la collaborazione dei familiari nel segnalare il problema al gestore stesso, ai Servizi, se necessario all’Autorità Giudiziaria.
Ben più complessa, e difficilmente delineabile, una soluzione organica del problema.