Vaso di Pandora

Pressioni sociali durante l’adolescenza: il fenomeno degli hikikomori

Con il termine hikikomori si indica una sottocultura giapponese composta principalmente da giovani adulti che si ritirano dalla società, evitando qualsiasi tipo di contatto sociale per un periodo di tempo prolungato, spesso addirittura per anni.

I motivi dell’isolamento sono molteplici, ma tra le cause principali vi sono le pressioni sociali, l’alta competitività nel mondo accademico e lavorativo, la mancanza di prospettive e le difficoltà a trovare un lavoro stabile. Alcuni individui possono inoltre aver vissuto esperienze traumatiche o problemi di salute mentale come depressione, ansia, disturbi d’ansia sociale, autismo o schizofrenia.

Gli hikikomori sono spesso descritti come persone che trascorrono gran parte del loro tempo reclusi nella loro stanza o nella casa dei loro genitori, evitando qualsiasi tipo di contatto sociale e interazione. In alcuni casi comunicano solo attraverso il web e i social media, fuggendo dal contatto faccia a faccia con altre persone.

Il fenomeno degli hikikomori è stato rilevato per la prima volta in Giappone negli anni ’90, ma negli ultimi anni si è diffuso anche in altri paesi. Il governo giapponese ha cercato di affrontare il problema, ad esempio attraverso programmi di supporto psicologico e di riabilitazione, ma la natura complessa del fenomeno rende difficile trovare soluzioni efficaci.

Hikikomori in Italia: un fenomeno sempre più diffuso

Oggi anche in Italia è presente il fenomeno degli hikikomori, complici anche i due anni di pandemia che hanno contribuito a una certa chiusura da parte di adolescenti e giovani adulti. Sulla diffusione del fenomeno si è espresso Marco Crepaldi, fondatore dell’associazione nazionale Hikikomori Italia, il quale ritiene che la causa principale risieda nelle eccessive pressioni di realizzazione sociale tipiche delle moderne società individualistiche: «Questa, a mio parere, è la causa che, a livello sociale, meglio spiega il fenomeno nel suo complesso, senza banalizzarlo o personalizzarlo. Gli hikikomori sono tutti diversi, possono dare motivazioni differenti per la loro scelta di reclusione, ma tutti sono accomunati da questo impulso all’isolamento, questa profonda difficoltà nello stare con gli altri. Questa paura di esporsi e di confrontarsi con il prossimo».

La competitività sempre più alta richiesta dalla società odierna rappresenterebbe, quindi, un deterrente alla socialità: gli hikikomori rifuggono le pressioni rinchiudendosi nella loro cameretta, vista sempre di più come una zona comfort nella quale poter vivere tutelati dalle continue sollecitazioni del mondo esterno.

«È come se fossimo costantemente in competizione con gli altri – continua Crepaldi – e a volte ci troviamo a rincorrere obiettivi che non desideriamo realmente, ma che fanno parte delle aspettative sociali. Ovvero ci comportiamo in relazione a quello che pensiamo che gli altri si aspettino da noi. Eppure, non tutti hanno la forza, le capacità e la motivazione per tenere il passo di una tale corsa frenetica al successo. Credo che questo sia proprio il caso degli hikikomori. Loro scappano da questa competizione perché la pressione di realizzazione è diventata insostenibile. Semplicemente se ne tirano fuori, la rifiutano, e il modo più “semplice” che hanno trovato è quello di isolarsi».

Lo studio del fenomeno in Italia

Il 2 marzo 2023 sono stati pubblicati i risultati di uno studio effettuato dal CNR IFC Istituto di Fisiologia Clinica in collaborazione con l’associazione Gruppo Abele Onlus di Torino. L’analisi è stata condotta durante l’anno del Covid e ha messo in luce una certa tendenza dei giovani a rinchiudersi per brevi o lunghi periodi, in maniera più o meno intensificata e per motivazioni differenti tra loro.

Alla base sembrerebbero esserci sempre motivi di carattere psicologico e sociale, tuttavia non è stato possibile arrivare a una vera e propria comprensione specifica del fenomeno hikikomori, in quanto lo studio è stato eseguito mediante il questionario ESPAD®Italia 2021, maggiormente orientato all’analisi del consumo di sostanze psicoattive tra i giovani compresi tra i 15 e i 19 anni.

La ricerca è stata condivisa anche da Hikikomori Italia con alcune conclusioni dello stesso Marco Crepaldi: «Nonostante l’ammirevole tentativo di condurre il primo studio quantitativo nazionale sul fenomeno degli hikikomori in Italia, i limiti della ricerca sono tali da rendere i dati raccolti difficilmente interpretabili e dunque poco utili sul piano pratico. La colpa non è tanto di chi ha svolto concretamente la ricerca, ma degli esperti che avrebbero dovuto supportare il CNR nella costruzione delle domande e dei relativi item di risposta».

Anche la stima di 54 mila hikikomori adolescenti in Italia non sarebbe precisa secondo Crepaldi: «Anche qualora proiettassimo il sottocampione degli isolati da oltre sei mesi sulla popolazione nazionale, comunque al loro interno non avremmo le casistiche più gravi, ovvero coloro che hanno già abbandonato la scuola e passano quasi tutto il tempo all’interno delle mura di casa. Il nostro auspicio dunque è che in futuro si possa ripetere lo studio cercando di superare i limiti identificati in questo articolo e magari condurre anche una ricerca quantitativa a livello nazionale su una fascia d’età più ampia, poiché la maggior parte dei ritirati sociali italiani non si trova più in età scolare».

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