Lo sapevamo per esperienza su altri fronti e la Dott.ssa Narizzano ci aveva avvertito che riguardo alle abitudini alimentari la storia era la stessa: i cambiamenti sono duri da digerire (scusate il gioco di parole) e hanno bisogno di tempo. Quello che non ci aspettavamo era il versante da cui sarebbero venute le resistenze maggiori.
L’importanza si avere abitudini alimentari sane
Ma andiamo per ordine. Parallelamente al progetto “Cibo e psiche“, in piedi ormai da alcuni anni e che ha avuto il merito di stimolare una riflessione più approfondita non solo su cosa mettiamo in corpo, ma soprattutto sul perché lo facciamo, come Comunità Redancia Po abbiamo usufruito proficuamente della collaborazione con la Dott.ssa Narizzano anche per consulenze caso-specifiche e indicazioni più generali sulle corrette abitudini alimentari. Ogni modifica introdotta è sempre stata accompagnata inizialmente da mugugni, proteste e ridicolizzazioni da parte di ospiti e di operatori, salvo poi diventare strutturali e nessuno ci pensava più.
Qualche esempio? Colazione salata e maggiormente proteica un paio di volte a settimana, legumi almeno una volta a settimana al posto della carne, spuntino di frutta a metà mattina per non arrivare con il picco di insulina a pranzo e sbranare anche le gambe del tavolo…
La protesta per la pasta
Quando però in primavera abbiamo provato ad aggredire un caposaldo dell’identità nazionale, i 100 grammi di pasta, e a discutere dell’introduzione della pasta integrale, la levata di scudi è stata generale. Dibattiti accesissimi, resistenza ad oltranza… Ah dimenticavo di dire: sto parlando degli operatori! Sì perché prima di portare in équipe queste proposte eravamo sicuri che ci sarebbero state delle obiezioni da parte dei nostri ospiti ma non ci aspettavamo sicuramente posizioni così conservative da parte dei colleghi.
Premetto che: i nostri ospiti in tema di BMI si attestano per la maggior parte nelle fasce comprese tra sovrappeso e obesità grave, la grammatura di pasta per persona che si voleva ridurre non partiva da 100 ma da circa 120 grammi a persona (un sacco di pasta da 5 kg a pasto per 40-44 persone), per la pasta integrale la proposta era di introdurla due volte a settimana. È stato chiaro da subito che le paure evidentemente non riguardavano tanto il rischio di denutrizione o di perdere completamente il piacere di mangiare un piatto di pasta, c’era qualcos’altro sotto.
Abbiamo pensato che il modo migliore per affrontare il problema fosse parlarne, parlarne approfonditamente, dedicare uno spazio adeguato durante la riunione di équipe alla questione, perché chiaramente il tema non era solo il cibo in sé ma che ruolo gli attribuivamo nel nostro lavoro, la relazione appunto tra “Cibo e Psiche”. Per far in modo che non diventasse terreno di scontri e di sabotaggi era necessario il dialogo e una condivisione delle scelte, non far passare l’idea di decisioni calate dall’alto senza possibilità di riflessione.
L’importanza dell’educazione per capire le abitudini alimentari
La Dott.ssa Narizzano, coinvolta, si è proposta di intervenire in collegamento per rispondere a domande e risolvere dubbi. Sono stati così sfatati falsi miti tipo che un po’ di verdura in più nella dieta avrebbe aumentato il rischio di occlusione intestinale in pazienti già predisposti alla stipsi e si è arrivati a una mediazione che tranquillizzasse i più preoccupati: la grammatura non sarebbe stata portata a 80 ma a 90 grammi, la pasta integrale sarebbe stata introdotta una volta a settimana e una volta il pane integrale.
Oltre a qualche accorgimento per riempire le pance e ingannare il cervello: verdura come antipasto e porzioni di pasta piccole per poter fare il tanto agognato bis. La cosa più interessante che è emersa sono state però le argomentazioni alla base delle resistenze ai cambiamenti alimentari, fondamentalmente due filoni esemplificati dal “mangia che stai tranquillo” e dal “poverino non hai nessun’altra soddisfazione nella vita”.
Non sono atteggiamenti da biasimare, ma sicuramente da affrontare. Ci parlano delle difficoltà che ognuno di noi può incontrare nel relazionarsi con la patologia psichiatrica grave, nel sentirsi realmente terapeutici di fronte alla cronicità. In questo senso purtroppo spesso le speranze vengono meno, il rischio di burn out è sempre dietro l’angolo e se non ci si sente in grado di trasmettere un senso di cura in altro modo si cerca una via che bypassi il contatto emotivo troppo stretto e magari di difficile gestione. A quel punto la soddisfazione orale più simbolica, ti faccio abbuffare di parole, scade nella concretezza e diventa ti faccio abbuffare di cibo. Anche stimolare la ricerca di piaceri che si elevino al di sopra dei semplici bisogni primari non è mai facile, ma questo fa parte del nostro lavoro, sia dal punto di vista terapeutico che riabilitativo.
L’arte terapia
C’è la ricerca del bello che cura per esempio, e non sto parlando di Luca Argentero nella serie televisiva “DOC”, ma dell’arte, con accompagnamenti a mostre e musei, e della natura, una volta al mese ci accompagnano in una passeggiata sui monti le guide del CAI. Ci sono lavoro, studio , hobby e sport… Insomma nel 2024 non possiamo e non dobbiamo più accontentarci del “poverino non hai altra soddisfazione nella vita” né arrenderci al “mangia che stai tranquillo”.
E dopo tutto questo i nostri ospiti come l’hanno presa? Pochi problemi, per loro 80, 90, 120 sono solo numeri, come ho detto con qualche stratagemma la pancia risultava lo stesso piena, e la pasta integrale può essere ottima se valorizzata con il giusto condimento (a base acida, ho imparato).