Commento alla notizia del 5 agosto 2016
Tutto vero, tutto osservabile per chi con gli adolescenti vive a stretto contatto, per chi conosce da vicino il mondo delle scuole, dei locali e delle ormai “compiuterizzate amicizie”. Ho letto con piacere la denuncia dell’insegnante milanese riportata nell’articolo perché purtroppo troppo spesso il silenzio la fa da padrone attorno a queste situazioni. Forse per mancanza di formazione/informazioni, forse per desiderio di tranquillità o forse banalmente per paura gli adulti che dovrebbero osservare, prendersi cura e formare le giovani generazioni tacciono. Se si parla di disturbi alimentari (anoressia in particolare) tutto sembra più affrontabile, perché è lì sotto gli occhi di chiunque quel corpo che si assottiglia sempre più. Ma quando si ha a che fare con le nuove dipendenze ecco che tutto si complica.
Genitori che sembrano non riconoscere i propri figli, quando forse non li hanno mai davvero conosciuti, delegando la strutturazione del tempo libero, della studio e delle amicizie ai pari, alla televisione e alla rete informatica; genitori che si arrendono ad un modo che non apprezzano ma al quale affidano senza supervisione i propri figli; insegnanti che lamentano l’inadeguatezza dei propri alunni ma che troppo spesso preferiscono espulsione o il silenzio alla prevenzione e alla formazione. Ad oggi è difficile capire da dove iniziare: insegnanti che colpevolizzano le famiglie e famiglie che fanno lo stesso con la scuola e con gli amici dei figli. Tutti alla ricerca di qualcuno al quale far sentire il peso della responsabilità ma spesso ignorando le proprie.
Lavorando con gli adolescenti, questo è per me un tema molto sentito e molto vero. Ogni giorno cerchiamo di riportare i ragazzi da un mondo di solitudine e di autodistruzione ad un percorso di crescita costruttivo cercando di realizzare obiettivi senza poter e dover ignorare gli strumenti e i modi delle nuove generazioni. In questo articolo si parla di un mondo anestetizzato, entro il quale i giovani si rifugiano, fatto di alcool e droghe mossi dal sentirsi non meritevoli di attenzioni. Ma come i giovani di oggi arrivano a sperimentare quella sensazione di inadeguatezza? E’ vero che sono molti ma è altrettanto vero che non sono tutti.
Quali sono allora i fattori di protezione? Ci si droga (in senso generale) per non pensare, per “viaggiare con la testa”, per sentirsi all’altezza delle situazioni e socialmente competenti. Questo raccontano gli adolescenti di oggi. L’impressione è che sia sempre più carente l’esperienza reale, il confronto, il dialogo e la fiducia che permette lo svilupparsi di progetti da inseguire anziché cercare sensazioni estreme nell’immediatezza.
Osservandoli si vede come, ad esempio, l’utilizzo ormai dilagante dei social network abbia sostituito il sano “vecchio” modo di trovare amicizie anestetizzando tutte quelle emozioni che permettono di sviluppare una identità propria attraverso il confronto, il dialogo e il sentire. Troppo spesso quel mondo emotivo è filtrato da uno schermo anonimo dietro il quale si può essere chiunque ma spesso in realtà non si è nessuno. Difficile ad oggi identificare luoghi di aggregazione per adolescenti, molto più semplice e rapido creare gruppi sui social o “chiedere l’amicizia” e aspettare che venga accettata contando i “mi piace” su ciò che viene pubblicato.
Le famiglie poi spesso sono troppo impegnate a rincorrere il tempo per ricavare uno spazio di reale confronto e dialogo con i propri figli.
Ed ecco che si crea il terreno fertile affinché i giovani cerchino da soli come vivere (o non vivere) ciò che sentono cercando soluzioni immediate e in qualche modo apparentemente gratificanti; esistono strumenti anestetizzanti, altri esplosivi. Si perché se di sostanze si parla è doveroso sottolineare che anche la scelta della sostanza merita una riflessione perché tanto ci dice dei motivi che ne hanno scatenato l’utilizzo. Parlare di dipendenza da cibo, cannabis, alcool (per fare alcuni esempi) significa raggruppare effetti, e quindi cause, molto diversi. Ciò che in comune rimane è la preoccupazione del loro utilizzo e la necessità di impegnarsi in una seria ricerca e applicazione di strumenti di prevenzione (e cura) attraverso una adeguata informazione e la proposta di strumenti alternativi adeguati ai bisogni dei giovani.
Quanto davvero i giovani di oggi sono informati sui rischi e sulle conseguenze devastanti dell’utilizzo di sostanze?
Cosa gli adulti possono fare per prevenire questa tendenza che sembra essere sempre più dilagante e coinvolgere ragazzi sempre più giovani?
Mi chiedo quale sia il fattore di personalità prevalente legato alle diverse forme di
dipendenza che oggi affliggono i giovanissimi. Si diceva (e lo si dice anche adesso per la verità) che tra i fattori più comuni alle diverse forme di dipendenza negli adolescenti, ci fosse la “ricerca di sensazioni” . Tutti noi ricordiamo la variabile “sensation seeking” valutata come uno dei tratti di personalità alla base del comportamento di “ricerca del rischio” di molte persone che rimangono “vittime” dell’uso di sostanze sul lungo periodo. Il costrutto può essere definito come il bisogno di nuove sensazioni ed esperienze e la conseguente propensione ad assumere rischi fisici e sociali al solo scopo di sperimentarli. Vengono subito in mente gli “eroi” della Beat generation quelli “on the road” di Kerouac o i motociclisti con gli immancabili occhiali da sole di Easy rider il cui stile di vita è in netto contrasto con la concezione borghese dell’esigenza di avere una dimora stabile, un lavoro fisso, un solido conto in banca, delle responsabilità. E invece qui si propugna una vita da nomadi, la ricerca del brivido, lo sfuggire al “desolato stillicidio del diventar vecchi”. Insomma, l’elogio dell’insicurezza, in un certo senso!
Oggi invece sembra cambiata la tipologia del tossicodipendente che pare animato da altre motivazioni:
1. non più la ricerca di avventura e del brivido
2. non più la disinibizione
Insomma, è vero che dietro l’uso delle droghe si cela innanzi tutto uno stile difensivo improntato su un uso massiccio della negazione, ma non è la “negazione” del sistema il fine ultimo. Non c’è la critica spietata ad un sistema che si rifiuta sostanzialmente (o almeno questa è la visione romantica di tutti coloro che hanno amato Kerouac o Easy rider), ma semmai una sofferenza straziante per l’impossibilità (reale o soltanto percepita) di essere parte integrante di questo sistema. Mi drogo perché il sistema mi rifiuta in qualche modo, cioè non mi accorda tutto quello che promette. Non vedo oggi il bisogno di sensazioni forti che spinge il soggetto a ricercare esperienze e ad attuare comportamenti in grado di soddisfare, anche se solo in parte, l’eccitazione di cui necessita o un anelito seppure indistinto di libertà. Insomma, penso che viviamo in un periodo in cui la variabile “sensation seeking” non sembra più essere tanto rilevante nello studio del comportamento degli adolescenti. Questi adolescenti (parliamo in senso lato con la consapevolezza che le generalizzazioni mai fanno giustizia dei casi individuali) non sembrano più attraversare quel “periodo fatidico in cui risulta primario il bisogno di assumere rischi, per mettere alla prova le proprie capacità e di concretizzare il livello di autonomia raggiunto”.
Qui mi pare che a spingere l’adolescente all’abuso di sostanze, sia principalmente la paura dell’autonomia e delle responsabilità e un disperato bisogno di omologazione. E poi la paura dei cambiamenti, la profonda insicurezza nelle proprie capacità e risorse, il bisogno del “magic helper” degli “Altri”: il partner, i genitori, i superiori, gli amici, di cui possano “fagocitare” l’esistenza, l’energia, l’esperienza. Tranne poi odiare a morte questi stessi “Altri” contro cui si ribellano alla fine proprio perché dipendono da loro e vivono la tremenda consapevolezza di non essere capaci di autonomia e l’unico modo che trovano di reagire a questa angosciosa sensazione di fragilità e soffocarla nell’estasi della droga.
Allora, più che la “sensation seeking” è la “recreation/relief seeking”, cioè la ricerca dello svago o della consolazione ad oltranza, il bisogno di conforto a tutti i costi ad essere rilevante; è la “ricerca di svago/ricreazione” quella che anima l’adolescente che mira a consolarsi dell’impossibilità di far parte a pieno titolo di questa “società dei balocchi”. Quindi, niente furore iconoclasta o istinto rivoluzionario, niente “adolescenti sulla strada”, ma “pantofolai davanti alla tv 3d ultimo modello”, arrabbiati e annoiati. Al contrario, chi vuol mettere in discussione questo stile di vita attuale si fregia di essere lucido e determinato ed è proprio questa consapevolezza combattiva, grintosa ad essere più temuta dal sistema. Paradossalmente, è proprio il “tossicodipendente” che risulta essere perfettamente integrato nel sistema a rappresentare uno dei sostegni più efficaci di certa visione del mondo. Insomma, il tossicodipendente non fa più paura al sistema: egli diventa soltanto un soggetto da curare per le comunità terapeutiche. Il “problema”, eventualmente è soltanto per loro. È vero anche che permane la sensibilità alla noia (avversione per eventi ripetitivi). Quella sì, ma l’unico evento ripetitivo che si sforzano di fuggire molti adolescenti e adulti è “l’abitudine a pensare” se è vero che è proprio dalla noia che nasce il pensiero. E l’abitudine che vivono con maggiore ansietà è quella di pensare di dover vivere quotidianamente in un ambiente che appare sempre “squallido” se paragonato a quello scintillante promesso dalle pubblicità mirabolanti trasmesse dai media. E allora se proprio non posso essere protagonista di questa realtà cosa c’è di meglio che rifugiarsi in relazioni o versare in situazioni in cui posso finalmente sentire di avere un ruolo, fosse anche solo quello della vittima?
Insomma, si tratta alla fine sempre delle solita, vecchia storia: la priorità va sempre alla protezione dell’ego.