Vaso di Pandora

Disturbi dell’umore

I disturbi dell’umore rappresentano la patologia psichiatrica che più si avvicina al modello medico di malattia, dal momento che la loro origine è stata attribuita a vari fattori organici ed in particolare ad alterazioni genetiche e neurochimiche. D’altro canto, sono state formulate anche ipotesi alternative che prevedono un impatto eziologico da parte di fattori socio-ambientali, psicodinamici, cognitivi ed etologici.

È possibile quindi che nella eziopatogenesi della depressione vari fattori intervengano contemporaneamente e che nel singolo caso ciascuno di essi abbia una diversa importanza.

Nell’ultimo decennio si è assistito ad un notevole progresso nell’identificazione dei principali meccanismi neurobiologici alla base della depressione: infatti la presenza di anomalie nei livelli e nel funzionamento di neurotrasmettitori quali tra i principali serotonina, norepinefrina e dopamina è ormai data per assodata; diversi studi indicano però che le monoamine non sono le uniche sostanze che giocano un ruolo chiave nella fisiopatologia della depressione. Rimane tuttavia da chiarire se queste alterazioni a livello dei neurotrasmettitori e dei neurormoni rappresentino la causa o, piuttosto, una conseguenza della malattia depressiva (A.C. Altamura, 2008).

Nella sintomatologia della depressione troviamo sintomi riguardanti la compromissione del tono affettivo, della psicomotricità, della sfera cognitiva e del sistema neurovegetativo; tra le alterazioni delle funzioni neurovegetative, in particolare, l’insonnia rappresenta uno dei sintomi che più precocemente si possono manifestare nel depresso. Sebbene l’insonnia sia presente nelle persone depresse in una percentuale fino all’80%, essa non rappresenta un sintomo patognomonico della patologia affettiva. E’ noto infatti che tra il 35 e il 50% dei soggetti afferenti ad un centro del sonno perché affetti da insonnia cronica, l’insonnia è l’espressione sintomatologica di un disturbo mentale non necessariamente rappresentato dalla depressione.

Nella depressione, l’insonnia ha delle caratteristiche piuttosto comuni: si può manifestare infatti con frequenti risvegli notturni o con un risveglio precoce, il sonno non risulta ristoratore e, soprattutto se la quota ansiosa è elevata, il paziente può avere l’impressione di non riuscire a dormire da giorni o mesi. Nelle forme depressive bipolari è frequente la condizione di ipersonnia con tendenza a prolungare il sonno mattutino; nelle forme atipiche sono presenti difficoltà di addormentamento ed un aumento globale delle ore di sonno sino, in casi gravi, a giungere alla vera e propria letargia. Perlis sottolinea l’importanza dell’insonnia come fattore strettamente legato alla depressione, asserendo anche che, in alcuni casi, rappresenta proprio il sintomo prodomico di uno stato depressivo, oltre che, ovviamente, il maggior responsabile dell’ansia che angoscia i pazienti ogni sera, per il timore di non riuscire a prendere sonno. E’ a mio avviso necessario, quindi, indagare approfonditamente i disturbi del sonno e cercarne il trattamento adeguato, con lo scopo di ottenere risultati sia terapeutici che preventivi del male oscuro che affligge, da tempi immemorabili, gli esseri umani.

Le fasi del sonno ubbidiscono ad uno schema che va da uno stadio di sonno più leggero (fasi non-REM) ad uno progressivamente  più profondo (REM). E’ ormai noto che i disturbi del sonno nel paziente depresso si associano ad alterazioni elettroencefalografiche  piuttosto “tipiche”: riduzione del tempo intercorrente tra l’inizio del sonno e la comparsa del primo periodo REM, aumento dell’intensità e anomala distribuzione delle fasi REM che si fa prevalente nelle prime ore della notte, e riduzione del sonno delta (stadio 3 del sonno in cui il sonno è molto profondo ed è più difficile svegliarsi). Queste alterazioni sono probabilmente collegate ai meccanismi patogenetici della depressione, e una prova sarebbe rappresentata dal fatto che la privazione parziale o totale del sonno (sleep deprivation) sarebbe in grado di indurre un miglioramento della sintomatologia depressiva che può anche arrivare fino alla remissione.

Sappiamo anche che la fase REM è coinvolta nella memoria emotiva. Se la fase di sonno ad onde lente (sonno non REM) ha una durata troppo limitata, il paziente ricorda in particolar modo le emozioni negative. Per fornire un esempio di questo, è noto che i pazienti affetti da insonnia spesso dormono anche sei ore per notte (una quantità di sonno adeguata), ma il tempo che trascorrono da svegli nell’incapacità di addormentarsi viene percepito come enormemente lungo.

In sostanza, depressione e sonno sono sicuramente strettamente correlati, ma con una relazione causa-effetto ancora da definire con precisione. Infatti, come sostiene Perlis, l’insonnia potrebbe non essere semplicemente un sintomo della depressione bensì, talora, addirittura un fattore scatenante. In altri termini, possono essere i disturbi del sonno che ci provocano problemi relativi all’umore? Altri ricercatori hanno ipotizzato che la compromissione del sonno che risulta evidente nei pazienti depressi possa rappresentare un tentativo dell’organismo di reagire alla depressione, dal momento che rimanere svegli favorirebbe la produzione degli stessi neurotrasmettitori implicati nell’eziopatogenesi della depressione quando presenti in concentrazioni ridotte.

A conferma di questo sappiamo che lo stato di veglia è utilizzato come trattamento antidepressivo, seppur con risultati non ancora uniformi: pur non essendo una cura particolarmente recente, essa non è di fatto troppo nota e diffusa. Da questa strategia terapeutica deriva una celebre asserzione di un autore italiano: “la depressione spesso toglie il sonno, ma togliendo il sonno si può battere la depressione” (C. Colombo).

Le ultime scoperte in questo campo sono relative allo studio condotto da Siegfried Kasper presso l’Università Medica di Vienna e pubblicato sulla rivista “Proceedings of the National Academy of Sciences”: i risultati dello studio portano gli Autori a concludere che “il cervello dei depressi non riesce a riposarsi”, frase dal suono notevolmente mediatico e pertanto diffusa ad ampio raggio anche in Italia. In particolare, volendo esaminare un po’ più approfonditamente l’argomento, sembra che nel paziente depresso vi possa essere un’ipofunzione di un “recettore” decisivo per raggiungere lo “stato di calma interiore”. I ricercatori viennesi hanno evidenziato che la ragione di questo sarebbe da ricercarsi nel cervello di un paziente affetto da depressione, nel quale  non si attiverebbe adeguatamente la cosiddetta “modalità di default”, indotta, in condizioni normali, dal corretto funzionamento del recettore 1A della serotonina. Questo recettore avrebbe un potente effetto inibitorio che permetterebbe al cervello di porsi in modalità “stand by” e che, nei depressi sarebbe significativamente ridotto.

Questo recente studio potrebbe dunque aprire le porte a nuove terapie per i disturbi affettivi e forse per altre patologie psichiatriche vista la diffusa presenza del sintomo insonnia nelle stesse. E’ in tal senso importare ricordare come secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità la depressione tra poco più di 20 anni rappresenterà l’onere sanitario più pesante, tanto da un punto di vista economico che sociale.

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