I progressi e la ricerca medica ci hanno portato ad avere a disposizione un elevato numero di farmaci per contrastare i disturbi psichici. Negli ultimi decenni, le case farmaceutiche stanno continuando a riempire gli scaffali delle farmacie di nuovi prodotti per combattere disagi e condizioni mentali. Ciò si traduce naturalmente in un ritrovato benessere per chi soffre di patologie psichiche, le quali possono essere tenute sotto controllo attraverso i principi attivi contenuti in questi prodotti. Come avviene per i farmaci lenitivi di altro tipo, però, occorre farne uso in maniera saggia e rispettare le dosi indicate, altrimenti l’aiuto finisce per peggiorare la situazione e si può sconfinare nella dipendenza da psicofarmaci.
Questa condizione è deleteria per chi soffre di disturbi, spesso ben peggiore di quella di partenza. Non è sempre facile riconoscere una persona che soffra di tale dipendenza e, quando ci si riesce, non di rado resta difficile affrontare in maniera efficace la circostanza. In questo approfondimento vogliamo segnalare come si possa identificare la dipendenza e offrire alcuni consigli sulla migliore maniera di procedere.
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La dipendenza da psicofarmaci
Se assunti in dose maggiore rispetto a quella segnalata dal curante, o per un periodo più lungo di quello indicato dalla prescrizione, gli psicofarmaci possono indurre dipendenza. Tra i prodotti più pericolosi, in quanto maggiormente capaci di indurre a questo stato troviamo ansiolitici e stimolanti.
I sedativi appartenenti al primo gruppo svolgono il delicato ruolo di attenuare, quando non interrompere del tutto, gli stati d’ansia patologici. La loro più tipica controindicazione è quella di provocare eccessivo rilassamento o sonnolenza. Tra gli ansiolitici più diffusi troviamo le potenti benzodiazepine, spesso prescritte per via del loro forte effetto sedativo. Tra esse vi sono anche i barbiturici, i quali aiutano gli insonni a riposare. Gli stimolanti, invece, sono utilizzati perché capaci di stimolare le funzioni cognitive, comportamentali e psicologiche, regolando le attitudini del paziente. Essi sono largamente prescritti quando occorre contrastare la narcolessia e il sempre più diffuso disturbo da deficit di attenzione o iperattività (ADHD).
Questi rimedi possono essere anche molto efficaci, in alcuni casi, e si dimostrano utili nella maggioranza delle diagnosi dei disturbi per cui sono stati pensati. Eppure, in determinate casistiche, possono rendere il loro utilizzatore dipendente e spingerlo a farne uso in maniera eccessiva, facendosi del male.
Riconoscere la dipendenza
Quando il paziente, all’insaputa del curante, modifica la prescrizione e aumenta la dose del psicofarmaco, o la prolunga oltre il termine indicato del trattamento, ci troviamo di fronte a un dipendente. Ovviamente, esistono vari livelli di dipendenza. C’è chi prende questa decisione semplicemente perché consapevole di stare meglio quando si trova sotto l’effetto della cura, e resta sempre in controllo, come c’è chi è in tutto e per tutto equiparabile a un tossico, e non riesce a sentirsi a suo agio se non fa uso della sostanza. La medicina definisce dipendenti tutti coloro i quali escano dalle indicazioni dello specialista e abusino dello psicofarmaco.
Cause della dipendenza da psicofarmaci
Le cause scatenanti possono essere varie. Tipicamente, il dipendente desidera indurre più spesso quel senso di euforia e rilassamento che il farmaco gli garantisce o le garantisce, migliorando il proprio umore o attivando uno stato di vigilanza più attenta e un focus più elevato. Chi soffre di patologie o disturbi mentali è molto spesso conscio di stare meglio quando è sotto l’effetto del farmaco e desidera amplificarne gli effetti benefici. Al fine di riconoscere tempestivamente i segnali della dipendenza da psicofarmaci occorre riconoscerne i vari stati di abuso. Le principali caratteristiche della dipendenza sono: tolleranza, assuefazione, craving e astinenza.
- Tolleranza: si sviluppa nel momento in cui l’organismo si abitua all’assunzione abituale di una determinata sostanza. Il corpo si adatta al principio attivo e i recettori che dovrebbero innescare l’effetto terapeutico si fanno più deboli. Ciò comporta che a parità di dosi assunte il beneficio indotto si farà sempre più flebile.
- Assuefazione: insorge quando l’organismo ha legato con la sostanza e non riesce più a farne a meno. La persona si ritrova alla continua ricerca del principio attivo e ne ha bisogno in dosi sempre più massicce e frequenti.
- Craving: fase successiva all’assuefazione e piuttosto preoccupante. Si tratta di un impulso incontrollato, mirato ad acquisire la sostanza. Si materializza in un pensiero intrusivo che sovrasta ogni altro e genera un malessere psico-fisico che aumenta fino a quando non si soddisfa il bisogno. La persona non è più lucida e la sensazione di craving offusca ogni altro ragionamento cancellando dal novero delle opzioni quella di non assumere lo psicofarmaco desiderato.
- Astinenza: si manifesta quando viene improvvisamente interrotta l’acquisizione del principio attivo, causando uno scompenso nell’organismo ormai assuefatto.
Come affrontare la situazione
Una volta che la dipendenza da psicofarmaci è assodata c’è poco da fare: occorre intraprendere un percorso di disintossicazione. È possibile rivolgersi a strutture e centri specializzati nella cura delle dipendenze.
Tipicamente, l’iter riabilitativo viene personalizzato sulla base delle esigenze dell’individuo. Non si eliminano del tutto i farmaci, bensì si riducono gradualmente e si fornisce aiuto psicologico, e all’occorrenza farmacologico, per combattere i sintomi dell’astinenza. Uno step fondamentale è quello psicoterapeutico, imprescindibile per indagare le cause, controllare il craving e identificare situazioni di rischio.
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