Il coinvolgimento del nostro Centro Diurno nel progetto “Diari di Bordo” è stata una piacevole novità, arrivata in un periodo complesso e ricco di incertezze per tutti e sotto tutti i punti di vista.
La realtà del Centro Diurno, per sua natura molto diversa rispetto alle strutture residenziali, ha dovuto subire modifiche sostanziali nel servizio offerto con l’arrivo dell’emergenza sanitaria. In precedenza il gruppo degli utenti in carico poteva usufruire – con orari piuttosto flessibili – di ampi spazi di ritrovo condivisi con utenti e operatori della CRA Casa Villa Maura (Comunità Riabilitativa ad Alta Attività Assistenziale), mentre ora si trova ad essere contingentato, regolamentato con orari più definiti e nettamente separato dall’area riservata alla Comunità. Se da un punto di vista sanitario è chiaro e condivisibile l’intento, è palese che questa riorganizzazione abbia causato difficoltà logistiche e necessità di attivare un percorso di adattamento non solo degli operatori e del contesto, ma soprattutto delle persone che usufruiscono del servizio.
Contro ogni aspettativa iniziale, il nuovo setting è stato “digerito” piuttosto velocemente ed è diventato, altrettanto rapidamente, un punto di partenza per focalizzare maggiormente l’attenzione su un aspetto del percorso riabilitativo che in precedenza veniva “accantonato”, “rifiutato” o “posto in attesa” da molti utenti: il “mettersi alla prova”. Da un lato alcune persone hanno avuto la conferma di avere ancora una grande necessità di supporto da parte del Centro Diurno, dall’altro qualcuno è riuscito, spronato e comunque assistito continuamente, ad attivare risorse funzionali e positive, compiendo un ulteriore passo avanti nel proprio percorso riabilitativo.
Premesso questo, penso che ora sia più semplice comprendere lo scenario in cui abbiamo attivato la nostra partecipazione al progetto “Arte che cura” del gruppo Redancia. Nonostante ad oggi siano “passati” già 3 Diari di Bordo dal nostro servizio (e uno attualmente in attesa di essere completato e spedito), le persone che hanno collaborato e collaborano al progetto, si dicono ancora un po’ confuse, tanto che a volte ci richiedono di spiegarne nuovamente il funzionamento. Questo principalmente perché, a mio avviso, la presenza obbligatoriamente frammentata in struttura, conduce ad una significativa soluzione di continuità e alla mancanza di un filo conduttore che consenta di accompagnare l’utente in un percorso fluido che possa rinnovare quotidianamente il “ricordo” del progetto in atto. Altre difficoltà si aggiungono a quelle già citate, come ad esempio l’impossibilità per alcuni di raggiungere fisicamente la struttura e la necessità di sospensioni precauzionali della presenza in sede per manifestazioni di sintomatologie ascrivibili al Covid19 o per contatti stretti con persone risultate positive all’infezione. Quando possibile le persone che non hanno potuto frequentare il Centro Diurno sono state ugualmente coinvolte nel progetto dei “Diari di Bordo”, utilizzando incontri con l’operatore al domicilio o sul territorio di residenza, telefonate e messaggistica istantanea.
Non so se le nostre modalità di attuazione sono riuscite a mettere “l’arte al centro”, come spiega la Dott.ssa Francesca Fedeli nel suo articolo di febbraio, o a “creare connessioni”: certamente ci abbiamo provato. E continueremo a farlo, magari pensando a nuove strategie di coinvolgimento per stimolare una sempre maggiore partecipazione attiva e consapevole.
Il “gruppo”, in quanto luogo di accoglienza e condivisione delle idee, ha dovuto affrontare – e sta affrontando ancora oggi – un notevole cambiamento, processo che non per forza deve essere letto con sfumature negative ma piuttosto come sinonimo di movimento, trasformazione, apprendimento.