Breve intervista a Enrico Zanalda: Presidente della Società Italiana di Psichiatria Forense.
Sono qui con il presidente della Società Italiana di Psichiatria Forense, mi trovo ad Alghero dove si è appena concluso il XXVI Congresso Nazionale di Psichiatria Forense “Guerra e Pace. La Psichiatria forense nell’attualità”, siamo venuti a conoscenza di questo tragico fatto della collega psichiatra di Pisa che è stata aggredita.
In realtà nel tuo congresso si è parlato del problema della violenza anche nei confronti degli operatori, quindi vorrei che tu ci dicessi qualcosa rispetto a come intendi affrontare dal punto di vista politico istituzionale e anche tecnico-scientifico il problema, proponendo magari iniziative o quant’altro.
Innanzitutto devo dire che siamo costernati perché le notizie sono che sia gravissima e quindi questo ci mette una condizione veramente di grave costernazione.
Non è la prima volta che capita purtroppo e questa violenza non è solo rivolta verso gli psichiatri.
Noi psichiatri abbiamo perso una collega nel 2013 a Bari e poi abbiamo avuto recentemente due colleghi non psichiatri, un cardiologo e un altro collega che sono stati uccisi pochi mesi fa, quindi effettivamente abbiamo una situazione di esasperazione da parte della popolazione per un sistema sanitario che non da più le risposte che dava un tempo e su cui forse c’è ancora una grande attesa e una grande delusione da parte della popolazione che perlopiù non reagisce in questo modo così drammatico.
Però di attacchi verbali e di proteste rispetto ai malfunzionamenti ne abbiamo continuamente quindi non c’è solo questa punta dell’iceberg così grave che è capitata.
Io credo che il nostro mestiere comporti dei rischi sicuramente però questi rischi vanno in qualche modo contenuti e questo si può fare migliorando tutto ciò che può contribuire alla prevenzione.
È chiaro che se un servizio ha una riduzione del personale e una riduzione degli operatori che si occupano delle situazioni più difficili, ha una minore possibilità di intercettare i bisogni dell’utenza.
Se abbiamo uno staff al completo sicuramente si corrono meno rischi perché c’è una maggiore possibilità di essere in una condizione emotiva più tranquilla, di lavorare in una condizione più adeguata e quindi poter intervenire prima su situazioni di questo tipo.
Io credo che bisogna stimolare il paese e investire di più nel nostro servizio sanitario perché questo aiuta poi gli operatori a poter lavorare in maniera più tranquilla e i pazienti ad essere meglio seguiti.
Abbiamo attualmente un numero elevato di pazienti, anche con misure di sicurezza e quelli forse sono poi quelli meglio seguiti.
Ci sono tanti pazienti che vengono seguiti per anni e poi vengono persi di vista oppure si allontanano e noi non abbiamo la forza per tenerli agganciati.
Questo comporta dei rischi importanti. Quindi è questione di tempestività e adeguatezza dell’intervento e perché l’intervento sia tempestivo adeguato è necessario che ci sia un numero di personale sufficiente e anche adeguatamente preparato
Esatto!
Ti ringrazio molto.
Condivido
Condivido. Serve più personale sia come psichiatri sia come psicologia sia come educatori, tecnici della riabilitazione, infermieri formati per la salute mentale. Orari pieni nei CSM H24 7 GIORNI SU 7, NUMERI VERDI GIALLI CHE RISPONDONO SEMPRE, a salvaguardia dei pazienti e delle loro famiglie, degli operatori e dell’intera societa. Maggiore sensibilizzazione del problema alla popolazione!!!! La salute mentale è l’adeguatezza cura e un problema di tutti
La sua tragica morte, ci deve oltre a sconvolgere, imporre di riflettere sui limiti della nostra professione.
Certo i limiti. Sono d’accordo su quanto dobbiamo cogliere i nostri limiti e quelli degli altri, quelli che curiamo.
Quanto accaduto mi sconvolge come per altro mi sconvolge il suicidio. L’omicidio di una collega mi addolora e mi sento vicina a chi fa questo lavoro con attenzione e sensibilità e inevitabile a volte dolore e sofferenza mentale. E certo ancor di più mi addolora una morte e un omicidio.
Questo tristissimo caso impone, insieme al dolore e alla affettuosa partecipazione, l’esigenza di una riflessione serena per quanto possibile; anche di fronte all’emergere nei media di qualche nostalgia del passato, di quando un paziente ritenuto pericoloso veniva rinchiuso a tempo anche indefinito per prevenire un suo possibile gesto violento. Non sono affatto mancate trasmissioni Tv così orientate.
Eppure basterebbe ricordare che esistono da sempre anche persone esenti da sintomi psicotici il cui comportamento e circostanze di vita fanno seriamente temere il verificarsi di un comportamento violento o anche omicida. Basta ricordare i ben noti casi di coniugi o compagni autori di minacce al partner abbandonante o fedifrago, con non raro passaggio all’atto; malgrado il giustificato allarme per queste situazioni, nessuno si sogna di includere fra gli interventi preventivi la reclusione anche perenne del coniuge minaccioso! Ciò si verifica anche in tante altre situazioni di inveterato odio più o meno reciproco.
Perchè il paziente mentale dovrebbe esser trattato diversamente? Ovviamente, ciò ha a che fare con l’angoscia di fronte all’alienità, alla difficoltà di capire.
E non è male ricordare che il concetto di pericolosità che ci trasciniamo era entrato nelle famigerata legge del 1904 come momento limitativo, regolatore degli ingressi in strutture manicomiali e pre-manicomiali nate un tempo con finalità esplicitamente assistenziali e di controllo sociale rivolte alle fasce sociali più sacrificate. Questo aspetto non è mai venuto meno, come sa chi ricorda la composizione socioeconomica delle popolazioni manicomiali: ma è stato a lungo oscurato a favore di mistificate esigenze di terapia coattiva e di contrasto alla violenza anche omicida. Nell’esplicito dettato della legge, soltanto la pericolosità – anche presunta – giustificava l’onere economico di un protratto ricovero a carico della collettività.
Ben altri sono oggi gli interventi necessari, come emerso nell’intervista a Enrico Zanalda: già nel 2007 il Ministero della Salute segnalava in tutti i Servizi Sanitari una progressione da comportamenti meno violenti ad altri decisamente allarmanti. Emanava quindi una raccomandazione per prevenire gli atti di violenza a danno degli operatori tutti, non solo quelli impegnati nei Servizi psichiatrici. Fra i motivi prevalenti indicava le lunghe attese di prestazioni con comprensibile frustrazione, il ridotto numero di personale, la carenza di formazione. Ottica limitata quella che ispirava i suggerimenti: tolleranza zero verso la violenza, pronta segnalazione degli eventi sentinella, coordinamento con le forze di polizia. Solo marginalmente si suggeriva una specifica attività di formazione del personale. Si suggeriva dunque un atteggiamento generale tanto orientato alla ricerca di immediata sicurezza , all’intervento sull’ultimo step di un percorso lungo e complesso, da rasentare una impostazione simil -paranoicale, e non proprio idoneo a favorire il rapporto di cura fra paziente, specie psichiatrico, e Servizio. Tuttavia, sottolineava giustamente un grosso problema reale.
Non credo che da allora ci sia stato un miglioramento: anzi i segni di affanno di un Servizio pubblico sempre più depotenziato si stanno moltiplicando, anche a carico dei Servizi Psichiatrici. Si moltiplicano le segnalazioni sulla carenza di infermieri, poco attratti da condizioni di lavoro che, anche per questo, peggiorano, in un circolo vizioso difficile da interrompere. Lo stesso vale per i medici, nonchè per le altre professionalità così importanti per l’approccio disciplinare essenziale all’intervento psichiatrico.
Non si tratta soltanto di difficoltà pratica di far fronte alle richieste: la frustrazione degli operatori tende a togliere spazio mentale a quella capacità di accoglienza che è parte essenziale della terapia.
Ho letto commenti sulla stampa di ignoranti e incompetenti col titolo di specialista in psichiatria che se la prendono con la
Legge 180 anziché con loro stessi.
La presunzione si collega inevitabilmente alla stupidità.
Pensiamo anche ai danni, certo non così drammatici, che subiamo e che procurano disturbi del sonno, stati di angoscia, ripensamenti ossessionanti (avrò fatto la cosa giusta), l’angoscia di temere un suicidio del nostro paziente.
Microtraumi emotivi che ci rendono difficile lo staccare, il non pensare al lavoro.
A me sembra che sia giunta l’ora di affrontare e risolvere la questione del vizio parziale di mente che consente agli Avvocati di perseguire e ai Giudici di concedere un risultato buono per il paziente ma non per la società. Perché tra gli imputati per i quali l’ ottengono e a cui viene concesso c’è un numero esiguo di individui antisociali che possono, tramite questo sotterfugio, evitare la punibilità e il carcere come tutti gli altri cittadini, quando se lo meritano.
Caro Gianni,
ero presente al congresso di Alghero quando accadeva il tragico evento e come sai abbiamo condiviso con i colleghi di tutta Italia l’amarezza per quanto si stava realizzando nei tristi giorni.
Insieme ad altri abbiamo sperimentato la rabbia, l’impotenza, lo sconforto.
Rientrato poi a Genova e inserito (di fatto) nelle numerose chat che si sono attivate i sentimenti sono mutati.
Ho avvertito solo una profonda confusione e smarrimento.
Mi sono ricordato subito di Fernanda uccisa a Genova e poi gli altri operatori liguri colpiti, minacciati, insultati e perseguitati durante il loro lavoro.
Intanto nelle chat le parole si rincorrono.
Troppa confusione, troppa retorica, troppi nemici della conoscenza, troppa nostalgia del passato ma anche troppo entusiasmo per un futuro già presente, troppo di tutto.
Intanto, la tragica notizia è già scivolata via nelle pagine dei giornali.
Penso alla mia responsabilità nei confronti del personale sanitario, penso alla loro sicurezza, alla loro salute. Dalla loro salute dipende la salute dei pazienti a noi affidati.
Come presidente della SIP Liguria, a marzo ho invitato i colleghi a condividere come priorità la salute dei servizi di salute mentale.
Da tempo i colleghi (in trincea e non dall’alto della collina) condividevano con me l’impressione che l’aria si faceva tesa, ma altri avevano il sole negli occhi e hanno perso di vista il nuovo mondo.
Per ora meglio il silenzio.
Questo quanto ho scritto per la rivista del Comitato Utenti Psichiatrici, condiviso ovviamente.
La dolorosa notizia dell’omicidio della psichiatra da parte di un “ex utente” mi rattrista profondamente, da psichiatra so quanto è difficile faticosa poco gratificante la professione, anche se mi piace, e so di avere avuto paura tante volte, sicuramente non per aver fatto del male ma per la difficoltà della comunicazione. Ed è doloroso che questa fatica sia poco capita e si precipiti in giudizi disprezzanti questo mestiere sia chi lo fa sia chi ne deve usufruire, ne vuole usufruire è obbligato ad usufruirne. Giudizi e semplificazioni che offendono tutti psichiatri ed utenti. E fanno male.
Sono siamo vicini al dolore della famiglia, noi utenti, siamo altrettanto consapevoli che ci sono carenze di risorse che creano danni, che non permettono il tempo utile necessario alla comprensione, che ci sono contraddizioni nell’organizzazione dell’assistenza, diversa in luoghi diversi, che alla psichiatria si rimandi quello che da fastidio, i comportamenti disturbanti, non la sofferenza mentale.
Credo di poter esprimere a nome del CUPs il nostro dolore e partecipazione così come abbiamo sofferto e partecipato al dolore che la morte di utenti per pratiche inadeguate e per carenze di assistenza ci ha dato.