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Psicologia del congedo parentale: c’è davvero parità di genere?

Negli ultimi anni il congedo parentale e il congedo di paternità si stanno diffondendo sempre di più anche tra gli uomini, permettendo così alle donne lavoratrici di riprendere la loro attività già dopo pochi giorni dal parto. Tuttavia, i condizionamenti sociali che vedono le figure maschili come quelle forti della coppia e le figure femminili come i classici angeli del focolare sono ancora forti, soprattutto in alcune zone d’Italia.

Viene da chiedersi, quindi, se la parità dei sessi di cui tanto si parla sia una possibile realtà o, per ora, ancora solo un’utopia.

Parità dei sessi in Italia: bugia o verità?

In Italia, come si evince da un’analisi svolta dall’Istat, il congedo parentale attualmente viene richiesto solo dal 7% dei padri, mentre negli altri Paesi europei la percentuale è decisamente più alta. In Svezia, in particolare, ben il 69% dei neopapà ne usufruisce.

Come riportato anche dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) nel libro “Doing Better for Families“, «In confronto a molti paesi OCSE, in Italia le donne hanno più difficoltà a conciliare lavoro e famiglia. Spesso esse si trovano a dover compiere una scelta tra avere un lavoro e avere dei figli; il risultato è che sia il tasso di natalità, sia il tasso di occupazione femminile sono bassi».
La situazione risulta piuttosto allarmante se messa in relazione con l’epoca che stiamo vivendo. Secondo dati Eurispes le donne italiane sono in media agli ultimi posti non solo per il tasso di occupazione, ma anche per il tempo libero che possono dedicare a sé stesse (solo 41 minuti al giorno). Sempre Eurispes ci fa sapere che, in maniera del tutto errata, l’85,4% degli uomini ritiene che ci sia una distribuzione equa nel nucleo familiare per quanto riguarda l’educazione e la cura dei figli. I minuti dedicati alla prole, invece, secondo una statistica realizzata dal Sistema Informativo della Rete di rilevazione Comunale(SIRC), sarebbero quotidianamente solo 38 da parte dei padri, contrapposti a ben 4 ore e 45 minuti da parte delle madri a cui toccherebbe anche la gestione della casa.

Situazione in lieve miglioramento

Altri dati arrivano dall’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani, il quale rende noto che, anche se la situazione pende ancora favorevolmente nei riguardi delle donne, qualcosa si sta muovendo. Tra il 2015 e il 2019 circa l’80% dei congedi parentali è stato richiesto dalle neomamme, ma fortunatamente la percentuale è salita anche per i neopapà (fino al 21%), i quali hanno fatto richiesta anche del congedo di paternità oltre a quello parentale.

In cosa consiste il congedo parentale

Per avere più chiara la visione di cosa sia il congedo parentale, si può fare riferimento al sito ufficiale dell’INPS, che cita: “Il congedo parentale è un periodo di astensione facoltativo dal lavoro concesso ai genitori per prendersi cura del bambino nei suoi primi anni di vita e soddisfare i suoi bisogni affettivi e relazionali”. Il provvedimento è destinato a lavoratori e lavoratrici dipendenti entro il primo anno di età del neonato e se ne può usufruire per un massimo di dieci mesi, che possono diventare undici qualora il padre si astenga dal lavoro per almeno tre mesi.
L’estensione a undici mesi è prevista anche per genitori single così come per i genitori adottivi o affidatari, che possono usufruirne entro i primi dodici anni di convivenza col minore ma sempre entro il compimento dei diciotto anni di età.

Il congedo di maternità o paternità

Lievemente differenti dal congedo parentale, il congedo di maternità e quello di paternità spettano per periodi brevi alle neomamme e ai neopapà subito dopo la nascita. Il congedo di maternità ha una durata massima di cinque mesi.

Pur essendo in linea con le normative europee, l’uso che in Italia viene fatto del congedo di maternità/paternità è decisamente differente da quello degli altri Paesi membri. A causa di un retaggio culturale retrogrado e persistente ancora oggi, la maggior parte dei congedi viene richiesta dalle donne, mentre gli uomini che ne usufruiscono sono purtroppo ancora pochi.
Nel caso delle famiglie omogenitoriali, invece, il nostro Paese risulta ancora più indietro: il congedo non è previsto e spetta esclusivamente ai datori di lavoro privati la scelta di offrire o meno ai propri dipendenti un periodo di astensione lavorativa.

Una scelta di responsabilità

La questione culturale apre le porte a un’importante riflessione: il fatto che la cura e l’educazione dei bambini sia generalmente una prerogativa delle mamme, fa sì che da parte dei padri venga a mancare un certo senso di responsabilità nei confronti dei figli in età neonatale. Ecco quindi che le scarse richieste di congedi di paternità e congedi parentali vanno di pari passo con l’incapacità e la carente volontà di occuparsi dei piccoli da parte di molti neopapà.

Tutto ciò è decisamente sbagliato e non solo da un mero punto di vista culturale: si è potuto infatti notare da statistiche OCSE che i padri che si occupano dei loro bambini fin dai primissimi giorni di vita sviluppano anche successivamente un rapporto più intenso e connesso con i propri figli rispetto a chi non lo fa.

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