Ho letto tutti i libri di Niccolò Amnaniti. Anche quest’ultimo. In un attimo, come gli altri. Sono libri che mi affascinano, così come mi incuriosiscono le persone, le storie di vita, la varia umanità che ci circonda.
Ammaniti coglie l’umana sofferenza e ne disegna grottesche storie, tragiche e comiche insieme. Spesso ho riso leggendo alcuni passaggi, perché sa descrivere le vicende usando frasi e parole che mi risuonano come famigliari.
Quest ultimo libro è diverso. Non è una favola noir, può essere una storia quasi verosimile, dove la protagonista è una donna adulta. Non più adolescenti i suoi personaggi, bensì adulti. Come l’autore del resto.
Si coglie il passaggio ad un’eta adulta che rimembra il bambino che c’è in essa in modo chiaro. Anche questo mi affascina. I ricordi di pensieri infantili così ben descritti e così limpidi, come molti miei.
Però questo libro mi ha lasciata più distaccata. Così come pare essere l’autore mentre descrive una donna sofferente, potrebbe essere paragonabile ad una influencer. Tutto apparentemente splendido nella sua superficiale e vuota vita. Solo quando riemerge qualcosa dall’infanzia, suo malgrado, Maria Cristina torna ad essere persona.
E poi il libro finisce bene, a differenza di altri dell’autore che hanno finale a sorpresa. Un messaggio chiaro questa volta, che induce ognuno di noi ad essere se stesso, lasciando da parte immagine, carriera e riscoprendo la semplicità e la spontaneità.