Vaso di Pandora

Ciak si sogna. Cinema e Social Dreaming

Relazione presentata al 17th Conference of Bridging Eastern and Western Psychiatry: Psychiatry in a changing world.

Ciak si sogna. Cinema e Social Dreaming. L’esperienza di Kiev [1]

L’immagine non può essere interpretata. Essa possiede una quantità illimitata di legami con il mondo, con l’assoluto, con l’infinito.

A. Tarkovskij

Film come sogni, film come musica. Nessun’arte passa la nostra coscienza come il cinema, che va diretto alle nostre sensazioni, fino nel profondo, nelle stanze scure della nostra anima.

I. Bergman

Dentro di noi è sempre in funzione una sorta di cinema mentale, prima ancora che il cinema fosse stato inventato. Questo cinema interno non cessa mai di introiettare immagini alla nostra vita interiore e le sue soluzioni visive sono determinanti e talora arrivano inaspettatamente a decidere di situazioni che le risorse del linguaggio non riuscirebbero a risolvere.

I. Calvino

Il ricorso alle Arti a scopo formativo e terapeutico è di grande attualità e trova nella Cinematerapia uno dei più interessanti sviluppi.

Nati entrambi negli ultimi anni del 1800, Cinema e Psicoanalisi non da subito hanno riconosciuto il loro legame fraterno. Sembra infatti che Freud considerasse il cinema <<un passatempo senza storia>> ed è certo che rifiutò di collaborare al film di Pabst I misteri dell’anima (1925), primo omaggio alla psicoanalisi.

Ormai maturi da tempo, i due “fratelli” sono ben consapevoli di abitare gli stessi territori di confine tra sogno e realtà, ragione e sentimento, emozione e controllo, lavoro e immagine. Le analogie tra film e sogni sono evidenti: secondo Fellini, per esempio, <<il film è il sogno di una mente in stato di veglia [2]>>. Altri registi affermano di essersi ispirati ai loro viaggi onirici quando hanno pensato a un film. Per lo psicoanalista Musatti [3] i sogni sono come i film, entrambi pensano soprattutto per immagini, si dimenticano e si modificano nella memoria perché tempo e spazio non corrispondono alla vita reale.  La stessa sequenza parola-immagine- parola del cinema è ben presente anche nel sogno, nel quale <<la parola che nasce dall’immagine permette la verbalizzazione di esperienze preverbali che diventano pensabili>> (Mauro Mancia, 2007) [4].

Chiamato a sua volta “fabbrica dei sogni”, il medium cinematografico, con la sua illusione di verità che suscita la meraviglia e lo stupore, ha un potere evocativo, simbolico e allegorico straordinario. Esso rappresenta <<l’incarnazione dell’immaginario nella realtà esterna>> (Edgar Morin, 2001) [5] e può essere considerato a tutt’oggi il <<luogo privilegiato in cui l’inconscio diffonde a pioggia i propri raggi luminosi per rendere visibile l’invisibile>> (Brunetta, 1995) [6]).

L’esperienza regressiva, ma emotivamente coinvolgente, di stare seduti in una sala al buio in una posizione passiva-recettiva (altrimenti definita come “veglia sognante”, “allucinazione paradossale”,  “vertigine psichica”, o ancora “coscienza sospesa e non assente”) di fronte al magico scorrere della pellicola, che <<permette di evocare quello che non c’è rendendolo presente>> (Pietro Roberto Goisis, 2006) [7], attiva un modo di funzionamento mentale tipico del daydreaming, del sogno, del pensiero associativo della veglia. E da questo incantesimo può nascere un autentico processo creativo e di rivelazione profonda. La visione di un buon film, con i suoi movimenti identificatori e proiettivi che ci fanno sentire in gioco in ogni personaggio, apre nuove strade e nuovi scenari per la comprensione degli aspetti emotivi e spesso inconsapevoli del nostro rapporto con la realtà.

Guardando lo schermo con <<occhi d’oro che san vedere nella notte>> (Lella Ravasi Bellocchio, 2004) [8], il cinema  può curarci come ci cura il sogno (il nostro cinema interno) perché ci offre la straordinaria occasione di <<storicizzare il nostro inconscio facendoci rivivere  emozioni rimosse o dimenticate per sempre>> (Mauro Mancia, 2007) [9].

Psichiatri, psicoterapeuti e psicoanalisti usano sempre più spesso il cinema a vari livelli e con diverse modalità: come supporto didattico e formativo, all’interno di dibattiti, rassegne e cineforum con letture psicopatologiche e/o psicoanalitiche dei film, non infrequentemente prestando la loro consulenza a registi e sceneggiatori nell’ideazione e sviluppo delle opere. Esempi noti sono La stanza del figlio di Nanni Moretti e Prendimi l’anima di Roberto Faenza.

Alcuni (Ciappina e Capriani, Manuale di Cinematerapia) utilizzano il materiale cinematografico come strumento interpretativo alla stessa stregua di quello che faceva Freud con i sogni, all’interno di un ben definito setting terapeutico; tutti interrogano lo schermo, accostando le storie narrate nei film a quelle dei loro pazienti con infiniti rimandi, per trovare spunti di riflessione e interpretazione, cogliere inaspettate connessioni e allargare gli orizzonti di senso del loro lavoro (vedi al riguardo Gli occhi d’oro. Il cinema nella stanza dell’analisi di Lella Ravasi Bellocchio).

Una modalità nuova di guardare al cinema e ai sogni, enfatizzandone le analogie e le reciproche influenze, è la coniugazione della visione di un film al Social Dreaming (sognare sociale/sognare insieme), la più recente e raffinata tecnica psicoanalitica che indaga l’inconscio collettivo, sviluppata dal socioanalista inglese Gordon W. Lawrence al Tavistock Insitute nel 1982 [10]. L’idea di associare cinema e sogni deriva da progetti internazionali di ricerca sulla formazione di operatori sanitari in psiconcologia [11] per aiutarli a raggiungere una maggior consapevolezza delle dinamiche inconsce sempre presenti nella relazione di cura e che tanto peso hanno nel determinare frustrazioni e burn out. Un film a tema (come La stanza di Marvin sul cancro o Mare dentro sull’eutanasia, per esempio) viene qui utilizzato come strumento facilitatore del sogno degli spettatori che si incontrano di nuovo nella stessa sala di proiezione la mattina successiva, all’interno delle “matrici” del Social Dreaming. La matrice [12], dal latino mater, ha qui il significato di “utero” : <<luogo dove nasce qualcosa e dove non c’è la tirannia di appartenere a un gruppo perché il tramite del discorso è il sogno e non l’individuo>> (Gordon Lawrence). Essa consente a sogni e ricordi di venire sperimentati non più come realtà individuali bensì come espressione di un patrimonio comune e trans-individuale. Fuori dalla stanza d’analisi, dove sono stati così a lungo gelosamente custoditi, i sogni possono quindi tornare a pieno titolo nel mondo, a occuparsi della natura dei collegamenti tra le persone. I sogni dell’uno si legano e connettono ai sogni dell’altro, in un clima di reciproca disponibilità garantito dai conduttori (o meglio dagli host, letteralmente “chi ospita” la matrice e ne facilita il compito) e vengono ricondotti all’immaginario sociale condiviso di chi abita un luogo, uno spazio, una città, un’istituzione. Un singolo sogno può generare tante associazioni quanti sono i partecipanti, che scoprono così la fecondità della matrice, che <<diventa essa stessa un processo onirico (…) un sogno sui sogni>> [13]. Alla stessa stregua, nell’associare il cinema al Social Dreaming non si vuole applicare <<una lente psicoanalitica ad un film>> [14] bensì mantenere viva l’attitudine a pensare e a comunicare a vari livelli senza opinioni precostituite, per consentire una lettura veramente collettiva, un’autentica riscrittura della pellicola a più voci, una partitura a più mani. Se la risposta a un sogno può essere solo un altro sogno, anche un film attende un altro film finalmente condiviso.

Tale esperienza è stata da me introdotta, insieme alla psicoanalista Giovanna Cantarella,  nell’ospedale di Melegnano nel 2007 e da allora regolarmente proposto in workshop che accolgono da 30 a 40 operatori di varie professionalità e provenienza. Strumento duttile e applicabile con facilità all’interno di un contesto ampio ma rigido come quello ospedaliero, si è rivelato uno straordinario metodo di formazione, rigeneratore di quei pharmakoi viventi che sono tutti gli operatori sanitari ingaggiati in relazioni d’aiuto.

Mentre nel Social Dreaming si succedono più matrici nell’arco di più giorni, nel mio lavoro con il cinema sono previste due o tre matrici la mattina seguente alla visione del film. Al termine delle matrici fa seguito il dialogo, di circa 45 minuti, durante il quale i sognatori sono invitati a comunicare i propri vissuti sulla comune esperienza e a condividere ipotesi di lavoro sui temi emersi nelle matrici. Nei nostri incontri si fa luce sull’incontro di cura, le angosce del rapporto con il paziente ma anche l’organizzazione dell’ospedale in cui si opera e da cui ci si può sentire soverchiati.

Se per Gordon Lawrence  <<il lavoro del Social Dreaming si limita ad approntare un setting in cui pensieri nuovi possono trovare spazio per essere accolti>> [15], le sue applicazioni  si sono differenziate nel corso degli anni: da singoli workshop della durata di un fine settimana con partecipanti provenienti da ambiti diversi, con valenza soprattutto di intrattenimento, a lavoro ”on going” in istituzioni (scuole, aziende, ospedali) con finalità più strettamente formative, dove favorisce <<trasformazioni dell’auto-rappresentazione dell’organizzazione in modo che nuovi elementi altrimenti scissi, alieni e silenti vengano integrati>> [16]. L’ attivazione all’interno delle matrici del pensiero associativo rompe infatti gli schemi abituali e cambia in modo radicale il proprio punto di vista sugli eventi. Questo vertice osservativo confronta istantaneamente i singoli e i gruppi con nuovi livelli di consapevolezza e responsabilità [17].

Ho avuto modo di proporre Cinema e Social Dreaming in luoghi e ambiti diversi: dall’ospedale alle scuole elementari e nei licei, dalle biblioteche di paese a quelle di un carcere di città, dai teatri ai cinema per entrare direttamente nella comunità dei sognatori e permettere inusitate esplorazioni nell’immaginario sociale.

Impossibile qui ripercorrere le tappe che mi hanno portato a incontrare operatori socio- sanitari, studenti, carcerati, universitari della terza età, frequentatori dei cinema, disabili e gravi pazienti psichiatrici che nei diversi contesti hanno consentito di restituire la cittadinanza ai sogni,  ponendo le fondamenta per una concreta esperienza di tolleranza tra i partecipanti.

Se le immagini dei film, da Mar adentro a Habla con ella, da Wit a Smultronstället, da Die Welle  a Bin-Jip 3 – Iron, da Il vento fa il suo giro (The Wind Blows rundan) a Kurosawa’s Dreams, solo per citarne alcuni,  ritessono il mondo come dice il filosofo bosniaco Zizek [18], le matrici, potenziali nuove agorà dove riprendere a interrogarsi attraverso il linguaggio straniero dei sogni, lo risanano [19].

Colui che la accoglie e facilita è il conduttore, l’host: regista discreto e parsimonioso ma attento, conserva i confini di tempo e di impegno, offre un modello su come lavorare con i sogni resi disponibili dai partecipanti.

Innanzitutto sistema la sala, laddove possibile collocando le sedie irregolarmente, a spirale o a fiocco di neve, in modo che i partecipanti non incrocino l’uno lo sguardo dell’altro e si predispongano a lasciare il loro inconscio individuale, che alimenterebbe il narcisismo,  per così dire fuori dalla porta a favore dell’inconscio collettivo.  Personalmente aggiungo l’offuscamento delle luci per riprendere l’atmosfera crepuscolare della visione filmica nonché di quella onirica, artifizio questo particolarmente prezioso quando le matrici si svolgono nel cinema o in teatro, dove le poltrone hanno postazioni fisse.

Il conduttore dà quindi avvio alla matrice annunciandone la durata e il compito primario: <<Trasformare il pensiero dei sogni attraverso le libere associazioni, così da creare legami e trovare connessioni per liberare nuovi pensieri e nuovi modi di pensare>> [20]. Aspetta i sogni dei partecipanti ma non li interpreta individualmente, piuttosto ascolta la narrazione e cerca di immaginare come questi possano collegarsi; man mano che la matrice procede formula nella sua mente ipotesi di lavoro che suggerisce in seguito. Facendo da guida, interviene raramente, può portare a sua volta un sogno, solo se serve a illuminare gli altri, notare temi che possono essere sfuggiti all’attenzione dei partecipanti, cercare di riportare la matrice al suo compito, quando necessario, sempre aperto però all’imprevedibilità della stessa. Quando lavora bene, come ricorda Gordon Lawrence, <<gli inconsci cominciano a risuonare tra loro come l’eco di una montagna, quello che uno sente comincia a essere sentito anche dall’altro>> [21], a indicare che la matrice è esperienziale e promuove capacità di pensiero.

I sogni di Kiev

(…)Fiumane che passai! voi la foresta

immota nella chiara acqua portate,

portate il cupo mormorìo, che resta.

Montagne che varcai! dopo varcate,

sì grande spazio di su voi non pare,

che maggior prima non lo invidïate.

Azzurri, come il cielo, come il mare,

o monti! o fiumi! era miglior pensiero

ristare, non guardare oltre, sognare;

il sogno è l’infinita ombra del Vero (…).

Giovanni Pascoli (Alexandros, 1904)

Posso qui fare solo un breve accenno all’esperienza di Kiev nel dicembre 2012 dove, invitato dalla società Balint ucraina, ho condiviso, presso la clinica di medicina psicosomatica, un incontro di Cinema e Social Dreaming con una trentina di colleghi psicologi e psichiatri oltre a medici di specialità diverse e a qualche insegnante di scuole per disabili e universitari, provenienti dai luoghi più disparati dell’Ucraina.

Il venerdì sera è stato proiettato in lingua russa Sogni (夢 Yume), diretto da Akira Kurosawa nel 1990. «Un occidentale fa un sogno, un orientale, al contrario, lo vede» (Sauro Borelli) [22]. Film magico, capolavoro onirico, testamento cinematografico del grande regista nipponico, è il racconto di otto sogni, una <<sintesi delle visioni di un uomo che molto ha visto e molto ha vissuto. E che racconta l’irraccontabile>> (Walter Veltroni) [23].

Kurosawa ripercorre la strada dal bambino all’anziano in dimensioni diversissime che vanno da due ricordi- sogni dell’infanzia  alla cupa impotenza di quelli della maturità senza mai abbandonare la fiducia e la passione di essere al mondo, al punto da far dire al vecchio dell’ultimo sogno : <<dicono che la vita è dura, ma creda a me,vivere è bello, anzi, è entusiasmante>>.

Nel  primo sogno, Il sole sotto la pioggia, un bambino si imbatte nei demoni-volpe a dispetto della raccomandazione di sua madre di non uscire di casa. Ne Il  pescheto, un altro bambino vede gli spiriti di un frutteto abbattuto di recente dall’uomo. I tre sogni successivi riportano agli anni Trenta e Quaranta.  La tormenta sorprende un gruppo di scalatori, uno dei quali vede una yuka-onna (una donna delle nevi), che lo tenta con la sua voce suadente. Nel quarto, Il tunnel, un comandante, unico sopravvissuto, incontra gli uomini del suo battaglione, appena morti. In Corvi c’è un omaggio a Van Gogh, interpretato da Martin Scorsese, i cui quadri diventano paesaggi reali. Nel sesto (Fuji in rosso)  si vedono gli effetti di un disastro nucleare di fronte al Monte Fuji. Il demone che piange riprende gli esiti della radioattività sulla terra e mostra le scene di un’eventuale apocalisse.Nell’ultimo sogno, Il villaggio dei mulini, il protagonista si trova immerso in un paesaggio bucolico di grande bellezza e serenità.

‎La mattina seguente alla visione del film ci siamo ritrovati nella stessa aula dell’ospedale  per la prima matrice.

Nessuno parla inglese, il mio interprete è ucraino, la lingua dei sognatori. Una donna nell’angolo dà voce sommessa alle ultime immagini della notte. I sogni vengono alla luce uno dopo l’altro, intervallati da silenzi, le voci non sempre sono chiare. Non tutto è nitido, sembra difficile mettere a fuoco le figure che la notte ha portato, alcune sembrano sconosciute ma poi trovano il volto di madri o figli. È un’intimità che si raccoglie insieme, anche se all’inizio fatica a riscaldare. Qualcuno racconta di essersi trovato nel bel mezzo di un set cinematografico a Odessa, dove si stavano facendo dei provini ma senza successo: <<(…) bisognava andare da qualche parte, seguire un certo ordine … ci siamo ritrovati a casa di un commerciante molto ricco che vendeva gioielli con tante scale di legno e tantissima gente (… ) il signore aveva un aiutante che parlava in russo, ma bisognava parlare in ucraino. Ci veniva detto che era un film che sarebbe stato girato tra un anno, in lingua russa. Le persone che erano con me sembravano semplici ma io dovevo trovare un accordo con loro>>.

Fa eco un’ altra voce: <<pensavo in quale lingua avrei raccontato domani i sogni, sceglierò tutte le lingue che conosco cercando di capire quale sarà la migliore per comunicare – dicevo tra me e me nel dormiveglia ieri sera- ricordo una serie di sogni molto corti … l’immagine di una grande collana …>>.

Poi  c’è chi riferisce una sensazione di spaesamento vissuta in sogno: <<uno spazio chiuso, colore grigio, nebbia spessa (…) fino a una porta aperta in modo inaspettato da me. Mi sembra di uscire come un uccello da una gabbia, accompagnato dalla musica dell’ultimo episodio del film>>.

I fotogrammi si succedono uno dopo l’altro e il rischio, avvertito da molti, di essere sommersi da una quantità enorme di stimoli senza le difese razionali per selezionarli, come avviene nella vita reale, è grande. Compaiono immagini di invasioni, di guerra, di Chernobyl vicinissima ma per alcuni così lontana al punto da ironizzare che in realtà non è successo niente di così terribile.

Il montaggio sembra libero nella matrice che lo contiene, procede a balzi, fissa scene del film vissute e rivisitate nei sogni di ciascuno, accoglie inquadrature isolate che sfumano in immagini rarefatte e apparentemente prive di nesso.

L’intervallo tra la prima e la seconda matrice non aiuta a fugare la paura, l’assenza di una regia forte e determinata.

La seconda matrice si aggrappa agli episodi del film, fatica a immergersi di nuovo nell’atmosfera crepuscolare dei sogni. Compaiono poche immagini: vodka russa e pastiglie per dormire.

Alcuni si addormentano per davvero. Certe immagini del film restano vivide: il primo episodio con la madre che sbarra la porta di casa al figlio e lo rimanda nel bosco con un coltello perché ha trasgredito un divieto fa rievocare il tempo degli aborti forzati in Unione Sovietica. Non tutto è perduto, compaiono anche scenari belli, in cui c’è una casa da riparare, sullo sfondo bucolico ancora intatto:<< arrivo in posto nuovo e capisco che devo costruirmi una casa; poi vedo tra gli alberi al limitare del bosco una casetta molto vecchia e un po’ cupa. C’è molto da fare, l’ultima stanza non ha parete, i pavimenti mentre li guardo si trasformano in un fiumiciattolo (…). Vedo il fondale di sabbia bianca ed entro nell’acqua molto limpida e calda. È un paesaggio che mi piace molto>> che rimanda all’ultimo sogno di Kurosawa.

Il dialogo del pomeriggio, prima di incontri in large group e in piccoli gruppi previsti dalla società Balint, non ricompone lo sguardo. I sognatori avvertono la fatica, più della sorpresa, tanti restano trincerati dietro il commento del film, troppo angosciante per certi episodi, altri viceversa trovano una risonanza profonda anche nella possibilità di <<piangere finalmente insieme>>. Un partecipante segnala di aver intravisto la potenzialità della matrice di stabilire legami nuovi e spera che questo possa avvenire il giorno dopo nella terza e ultima matrice. Dietro le quinte mi viene segnalata la preoccupazione da parte degli organizzatori riguardo il proseguimento dell’esperienza.Ma si sa che la notte porta consiglio.La terza matrice, la domenica mattina,  ci sorprende davvero.

Prima di riaccendere lo schermo della notte, un sognatore dà voce a uno scenario condiviso da tutti mentre stavano arrivando all’ospedale:<< piccole gocce di cielo scendevano sulla strada, quasi fossero i sogni volati fino a qui>>.

Inizia subito la danza dei sogni e partecipano tutti, nessuno resta escluso. Arrivano immagini di luoghi dove s’incontrano più persone: un grande appartamento con uomini e donne che  si scambiano dei doni; un posto pubblico, forse un ristorante o un teatro; una festa per strada dove a ciascuno viene fatto il regalo più strano. Qualcuno guida la macchina e si ferma a caricare amici con i figli; un altro, in auto da solo, viene fermato dalla polizia e deve esibire i documenti prima di ripartire senza poi riuscire ad arrivare alla meta stabilita. Sempre in macchina una persona sta salendo su una montagna, un’altra viene sorpresa da una tempesta di neve come nell’omonimo episodio del film. Uno ancora si trova alla guida senza aver mai guidato prima e si sorprende di essere in grado di farlo.

I sogni si sintonizzano poi sulla figura di un cane, sempre quello, incontrato in scenari differenti: un pastore tedesco, a volte due, giocherellone e invadente o a passeggio educato col padrone, sempre docile. Un sognatore dopo averlo incontrato si sveglia impaurito. Sorprendentemente, uscendo di casa, prima di arrivare ne incontra uno identico per strada. Vengono in mente i tanti cani liberi di Kiev. Su tutti si staglia la figura del cane kamikaze di uno degli episodi apparentemente più inquietanti del film, quello del Tunnel.

Non si negano più le emozioni, nessuna  censura anche per le immagini che spaventano, diventano transitabili le ombre più scure, le angosce più profonde: la casa di un sognatore nella quale <<entrano tante persone sconosciute … impossibile fermarle, le porte non hanno serrature … i mobili, gli arredi, gli oggetti spariscono tutti …>>. Il sognatore assiste disarmato, cerca di telefonare ai vicini, agli amici, ai parenti ma nessuno risponde … esce di casa, scende in strada e si accorge che c’è tutto il suo mondo, a tutti è successa la stessa cosa. Arrivano altri sogni, incubi ricorrenti per qualcuno, che si è più volte svegliato prima di finirli, e all’interno della matrice riesce finalmente a completarli. Tra i tanti, il sogno di un figlio senza occhi e senza neppure le orbite per accoglierli a cui segue la scoperta che nonostante questo sta bene e ci vede benissimo. Arriva anche l’immagine di una catastrofe imminente accompagnata dal senso d’impotenza per non essere in grado di contrastarla. Eppure non si viene travolti, arriva un suono dolce, accompagnato dalle voci di bambini che cantano il girotondo…

Così finisce la matrice, in un clima di forte condivisione, ripreso nel dialogo finale.Il filtro poroso del film, riattraversato più volte nei sogni, qui solo accennati, lascia intravvedere il grande potenziale offerto dal Social Dreaming: dalla notte buia di un sogno individuale che rimanda al senso di solitudine, incomunicabilità e invisibilità a un clima di reciprocità in cui tutti sono attivi. È un’esperienza a largo raggio che trasforma lo spazio onirico, le sue ansie in possibili nuove visioni e aperture cariche di speranza. Contribuisce a ricreare un senso di appartenenza e a reinventare i rapporti tra sé e il mondo, un bisogno quanto mai attuale e urgente in comunità traumatizzate da conflitti etici e politici come purtroppo la stessa Ucraina oggi.

NOTE

1) In: Ignazio Senatore (a cura di), I registi della mente, Falsopiano, Alessandria 2015, p. 149-160.
2)  www.cinemaepsicoanalisi.com/frasi-registi.htm
3)   Vedi Cesare Musatti, Scritti sul cinema, Testo & Immagine, Torino 2000.
4) Mauro Mancia, Un pensiero in Lella Ravasi Bellocchio, Gli occhi d’oro, ancora, Moretti e Vitali, Bergamo 2007, p.10.
5) Edgar Morin, L’identità polimorfa in: L’identità umana, Raffaello Cortina, Milano 2002.

6)  Gian Piero Brunetta, Cinema e Psiche in: M. De Mari, Elisabetta Marchiori, Leo Pavan  (a cura di), Psiche & Immagine. Incontri culturali sul rapporto tra cinema e psichiatria, Lavia-Kendall, Pavia 1995, pp. 9-15.
7)  Pietro Roberto Goisis, Un’ora sola … ma di magia  in: M. De Mari, E. Marchiori, L. Pavan, La mente altrove. Cinema e sofferenza mentale, Franco Angeli,  Milano 2006, p. 201.
8) Lella Ravasi Bellocchio, Gli occhi d’oro, Moretti e Vitali, Bergamo 2004, p. 55.
9)  Mauro Mancia, op. cit., p.10.
10) Gordon W. Lawrence (a cura di), Social Dreaming. La funzione sociale del sogno, Borla, Roma 2001.

11) Domenico Nesci, Tommaso Poliseno, Sara Andreoli, Gaia Mariani, “La malattia oncologica nell’immaginario: alcune riflessioni sui Workshops Cinema e Sogni del 2002” in:  Rivista internazionale di psicoterapia e istituzioni, numero 2, 2006.
12) Concetto basilare dell’analisi di gruppo, la matrice è definita da Foulkes l’ipotetica rete di comunicazione e relazioni in un dato gruppo (Siegfried.Heinrich Foulkes, La Psicoterapia gruppoanalitica, Casa Editrice Astrolabio, Roma 1976, p.140). È’ il terreno comune e condiviso che determina il significato e il senso di tutti gli eventi e sul quale poggiano tutte le comunicazioni e le interpretazioni, verbali e non verbali. La matrice di “sogno sociale”, della durata di un’ora, un’ora e mezza, <<può essere considerata un sistema temporaneo in cui si può entrare in rapporto con l’inconscio, ci si può parlare>> (Gordon W. Lawrence, Introduzione al Social Dreaming, Borla, Roma 2008, p.130), <<uno spazio aperto dove i sogni condivisi e le associazioni libere possono presentarsi, tenuti insieme con flessibilità dalla rete di connessioni che la matrice crea>> (Franca Fubini, “Social Dreaming: sogni in cerca di un sognatore”, in: Gordon W. Lawrence, Esperienze nel Social Dreaming, Borla, Roma 2004, p.337) .
13) Gordon W. Lawrence 2001, p. 28.
14) Glen O. Gabbard, “The Psychoanalist at the Movie” in: International Journal of Psycho- Analysis, 78, 1997, pp. 429-434.
15) Laura Ambrosiano, introduzione all’edizione italiana di Gordon W.. Lawrence,  Social Dreaming, Borla,  Roma 2001,  p.8.
16) Ibidem, p.7
17) Le matrici, come “apparato per pensare”  in termini bioniani ,consentono di trasformare i pensieri grezzi dei sogni espressi da semplici immagini in un racconto che viene narrato e mette in moto altre nuove associazioni e trasformazioni. La teoria del pensare di Bion si differenzia radicalmente da quella freudiana perché il pensare è uno sviluppo che viene forzato e indotto dalla pressione dei pensieri che cercano significazione e non il contrario ( W. Bion, “A theory of  Thinking” in: The International Journal of Psychoanalysis, 1962, 43: 306-310).

18)  <<Il cinema è la tessitura del mondo>> secondo Slavoj Zizek, citato in A. Gnoli, “Il pensiero fortissimo di Slavoj Zizek”, in: La Repubblica, 04.07.2009, p.43.

19)  La matrice è <<un’impresa risanante>> secondo Gordon W. Lawrence, Introduzione al Social Dreaming, Borla, Roma 2008,  p. 130.

20) Così è stato riformulato da Gordon W. Lawrence che ricorda come agli inizi, comportandosi come un conduttore di gruppo, egli rimanesse in silenzio aspettando a volte anche 20 minuti prima che venisse raccontato il primo sogno perché i partecipanti non sapevano come intervenire (comunicazione personale, Norma, 20 marzo 2009).

21) Ibidem

22) www.cinema.it/recensioni/sources/mymovies/957323  Ibidem

Bibliografia

Ambrosiano Laura, introduzione all’edizione italiana di Lawrence Gordon,  Social Dreaming, Borla,  Roma 2001.

Bion Wilfred R., “A theory of  Thinking” in: The International Journal of Psychoanalysis, 1962, 43: 306-310

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Foulkes Siegfried Heinrich, La Psicoterapia gruppoanalitica, Casa Editrice Astrolabio, Roma 1976.

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La vegetariana è la prima opera che leggo di Han Kang. E forse, non l’avrei nemmeno letto se l’autrice non avesse vinto il Premio Nobel per la Letteratura. Per fortuna, l’ha vinto.  

amore e psiche
21 Novembre 2024

Amore e psiche

Amore e Psiche: vale la pena di riportare l’originale versione che Apuleio nel suo Metamorfosi dà del mito, pur rifacendosi a narrazioni anteriori. Penso ci parli del complicato rapporto fra mente conoscente – Psiche –…

Storie Illustrate
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8 Aprile 2023

Pensiamo per voi - di Niccolò Pizzorno

Leggendo l’articolo del Prof. Peciccia sull’ intelligenza artificiale, ho pesato di realizzare questa storia, di una pagina, basandomi sia sull’articolo che sul racconto “Ricordiamo per voi” di Philip K. Dick.

24 Febbraio 2023

Oltre la tempesta - di Niccolò Pizzorno

L’opera “oltre la tempesta” narra, tramite il medium del fumetto, dell’attività omonima organizzata tra le venticinque strutture dell’ l’intero raggruppamento, durante il periodo del lock down dovuto alla pandemia provocata dal virus Covid 19.

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14 Settembre 2022

Lo dico a modo mio - di Niccolò Pizzorno

Breve storia basata su un paziente inserito presso la struttura "Villa Perla" (Residenza per Disabili, Ge). Vengono prese in analisi le strategie di comunicazione che l'ospite mette in atto nei confronti degli operatori.